La faccenda delle dimissioni del comitato di documenta: contro l’unilateralità dello sguardo

Il mondo dell’arte ha sviluppato invece negli anni e nei decenni una peculiare incapacità non solo nel prendere posizione, ma anche semplicemente nell’indagare il contesto – il presente

I fatti. Il 16 novembre 2023 l’intero comitato che era stato nominato per selezionare il curatore della prossima documentadi Kassel – composto da Simon Njami, Gong Yan, Kathrin Rhomberg, Maria Rodriguez – si dimette. La ragione è da rintracciare nelle precedenti dimissioni degli altri due membri Bracha Lichtenberg Ettinger e di Ranjit Hoskote: la prima aveva dichiarato di non poter più affrontare il compito vivendo in un paese in guerra, Israele, mentre il secondo aveva denunciato ‘pressioni’ dovute al presunto antisionismo di alcune sue dichiarazioni e posizioni (antisionismo, peraltro, prontamente convertito in antisemitismo).

Le dimissioni del comitato di documenta a Kassel

È utile e necessario riportare alcuni passaggi della lettera del comitato, molto ponderati ma estremamente significativi nella loro lucidità, e nella preoccupazione per “il futuro di documenta”: “Se l’arte deve rendere conto delle complesse realtà culturali, politiche e sociali dei nostri giorni, ha bisogno delle condizioni adeguate che consentano le differenti prospettive, percezioni e discorsi. Le dinamiche degli ultimi giorni, con il discredito pubblico e mediatico incontrastato del nostro collega… ci fanno dubitare molto che questo prerequisito per ogni prossima edizione di documenta sia presente attualmente in Germania.” Ma soprattutto: “L’arte necessita di un’analisi critica e multilaterale delle sue diverse forme e contenuti, per essere a sua volta capace di risuonare e di sviluppare la sua capacità trasformativa. Le riduzioni categoriche, monolitiche e le ipersemplificazioni di contesti complessi, invece, minacciano di stroncare sul nascere ogni analisi di questo tipo.”

documenta 15. Taring Padi. Photo Marco Enrico Giacomelli
documenta 15. Taring Padi. Photo Marco Enrico Giacomelli

La relazione tra la Germania e documenta

Il rischio che il comitato ha individuato, insomma, è che (al netto delle giuste responsabilità politiche e sociali che la Germania ha in relazione al suo passato), vengano messe in atto “politiche di opinione volte a sopprimere sin dall’inizio approcci sgraditi e discussioni aperte, sostituendo troppo facilmente l’ipersemplificazione e i pregiudizi al dibattito e allo scambio.” 
È un rischio concreto – ancora più grave se pensiamo alla storia densa della stessa mostra, al luogo in cui e ai motivi per cui è nata, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale -, che trascende peraltro il contesto specifico sia di documenta che tedesco, ed è di fatto rintracciabile con minime differenze in tutte le nostre società. Di fatto, nel lasciare l’incarico i membri del comitato sottolineano l’impossibilità non solo di una grande mostra (quindi dell’esporre arte), ma proprio in un certo senso del ‘fare arte’ nelle condizioni attuali, che negano quelle “sfumature” che sono la precondizione della complessità.

L’opinione di Candice Breitz

Una grande artista contemporanea come Candice Breitz, che da anni rappresenta una delle principali voci di quella lucidità così scarsa oggi, ci aiuta a comprendere in un suo post dal titolo eloquente, “Now is the time for political courage”, la portata, e le conseguenze potenziali, di questo evento: “Questo paese non merita di ospitare documenta – ‘la più importante mostra d’arte nel mondo’ – se non è capace di accettare che esistano altre visioni del mondo oltre a quella tedesca.” Now is the time for political courage. Il mondo dell’arte ha sviluppato invece negli anni e nei decenni una peculiare incapacità non solo nel prendere posizione, ma anche semplicemente nell’indagare il contesto – il presente, l’oggi: il contemporaneo – in cui l’arte stessa nasce e si sviluppa da una prospettiva che non sia meramente ‘diaristica’ o ‘archeologica’. Il mondo dell’arte preferisce da tempo la comodità di non scegliere, di non riflettere (a meno che, ovviamente, questa scelta e questa riflessione non sia preventivamente validata) perché così è più comodo, è più facile. Questa è evidentemente una conseguenza nefasta (una delle tante) della convinzione che il mercato e il capitale siano in grado di appianare e addirittura di eliminare ogni conflitto: convinzione nata e cresciuta nell’epoca d’oro della globalizzazione, ed evidentemente sottoposta a durissimi colpi dalle crisi geopolitiche e finanziarie dell’ultimo quindicennio, fino al disastro sotto gli occhi di tutti in questi mesi. Ma che ancora fatica a essere abbandonata.

Documenta 15 Lumbung kios
Documenta 15 Lumbung kios

La lettera di dimissioni del comitato di documenta

La conclusione della lettera di dimissioni, che rimarrà agli atti, ci colpisce non solo per la sua precisione tremenda, ma anche perché constata una situazione che non è particolare ma generale, e può essere applicata a molti altri contesti: “Nelle attuali circostanze, non crediamo che ci sia spazio in Germania per uno scambio aperto di idee e per lo sviluppo di approcci artistici complessi e sfumati di cui gli artisti e i curatori di documenta hanno bisogno.” Bum.
Il punto è che non solo l’arte, gli artisti, i curatori hanno bisogno di questa complessità, di questa apertura, di questa profondità, ma che l’arte è questa complessità, di questa apertura, di questa profondità.
La capacità di considerare un problema o una situazione da più punti di vista è l’essenza dell’opera, l’abilità che noi stessi sviluppiamo attraverso le opere d’arte. Mentre l’aver trasformato le nostre società in ambienti altamente ostili a questa capacità, orientati invece all’unilateralismo (la dittatura dell’o-o), alla contrapposizione feroce con l’altro (fino alla sua potenziale eliminazione, o comunque costante denigrazione), rappresenta la questione principale da affrontare: una questione di strumenti culturali, intellettuali, sociali, e quindi una questione politica. Molto probabilmente, la questione politica della nostra epoca. 
L’avere poi accettato, tutto sommato serenamente, che anche la maggioranza delle opere si adeguasse a questa forma di ottusità è una scelta compiuta e diluita nel tempo, di cui solo oggi siamo forse in grado di valutare i risultati tragici. Non solo, dunque, tempi scadenti si riflettono in opere scadenti, ma opere scadenti (un’arte scadente) è tra le cause di tempi scadenti e oscuri. È arrivato davvero il momento di darsi una svegliata, come la lettera e il monito del comitato dimissionario invitano perentoriamente a fare.

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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