Spazi matriarcali, parte seconda (VIII). Essere tutto e tutti

“Lo spazio matriarcale (come idea e come pratica) in effetti oltrepassa, supera il genere. Al limite, non ha (solo) a che fare con la dimensione femminile. Coincide, come sistema di pensiero, con la wholeness, il senso di essere tutto e tutti”. Christian Caliandro torna ad affrontare il tema degli spazi matriarcali.

Torino, Barriera di Milano, 3 ottobre 2020. Interventi minimi vuol dire un’illuminazione – quella che hai avuto nell’ottobre 2017, quando stavi disallestendo le opere de La Seconda Notte di Quiete. La scoperta, cioè, che dopo l’intervento nello spazio urbano lo spazio stesso risulta modificato dall’arte e dall’opera – l’arte rimane come attaccata alla realtà, dopo averla trasformata e alterata… O meglio, la realtà stessa è arte, era ed è già artistica (cfr. in proposito Andy Warhol, Pat Hackett, POP. Andy Warhol racconta gli anni Sessanta, Meridiano Zero 2008). E allora, al limite, l’opera non è necessaria perché tutto è opera, tutto è arte. E TU SEI TUTTO. È quello che dice Jim Carrey a proposito della wholeness, la scoperta che io non esiste, che l’identità non esiste, è una costruzione invenzione illusione, e che puoi essere CHIUNQUE e QUALUNQUE COSA, una sensazione molto diversa dal non essere niente e nessuno – una sensazione di pienezza, ricchezza, benessere, comprensione.
È ciò che hai sentito e percepito all’alba del 18 agosto a Siena, sul tetto dello studio di Serena Fineschi, quando infatti hai scritto sul telefono: “Dio è il mondo. Dio sono io”.
Quindi: “Tutto è Dio. Io sono tutto. Io sono Dio”.

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“Nella Cecenia di oggi il baratro fra ciò che è palese e ciò che è segreto sta aumentando sempre di più. E così quello tra la vita mostrata al paese sui canali televisivi russi e quella nascosta, clandestina, tramandata solo per via orale nei racconti della gente” (Anna Politkovskaja, Proibito parlare, Mondadori, Milano 2007, p. 171).

Lo spazio matriarcale è fatto della comprensione dell’altro – del saper adottare il punto di vista e il pensiero dell’altro pur non condividendolo.

In realtà, il riconoscimento è l’opera.

In treno da Torino a Bari, 4 ottobre 2020. Si tratta di drizzare le antenne e sintonizzarsi sullo zeitgeist.

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Frida Kahlo, Las dos Frida, 1939. Museo de Arte Moderno, Città del Messico

Frida Kahlo, Las dos Frida, 1939. Museo de Arte Moderno, Città del Messico

Il sistema delle immagini. Le foto iconiche (il colpo di pistola alla tempia di un vietcong nel 1968, la bambina che corre nuda e scarnificata dal napalm nel 1972, il giovane cinese che sfida i carri armati in piazza Tienanmen a Pechino nel 1989, ecc. ecc.) sono, appunto, icone. Immagini monumentalizzate e musealizzate. Le post-immagini non riescono a raggiungere questo livello… perché? Perché rimangono ancorate alla realtà, al flusso spaziotemporale, all’immediatezza del reale, al vissuto e allo scorrere (precario, fragile, instabile, insicuro, incompleto: IMPERMANENTE) dell’esistenza.
E così l’opera, a cui forse non interessa (più) lo statuto del capolavoro, diventare cioè icona da museo e da storia dell’arte. L’opera attuale vuole vivere, esistere nel mondo, (fuori)uscire da se stessa e da una condizione/situazione intrappolata all’interno di un sistema asfittico e disfunzionale.

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Valie Export, Aspettativa, 1976

Valie Export, Aspettativa, 1976

“Tornate, ma tornerete solo per rendervi conto che ciò che con tanti sforzi avete ritrovato, ora non ha più senso. Non potete tornare a una vita normale, perché quella che in passato chiamavate ‘vita normale’ non può esistere durante un cambiamento di paradigma, perché anche se le cose sembrano sempre le stesse, non lo sono più. Anche le parole che paiono pronunciate nello stesso modo hanno cambiato senso. Il problema è che nessuno sa quale sarà il nuovo significato. Lo deciderà un algoritmo? Sarà annunciato su Instagram? O sarà oggetto di un decreto? Tornerete con le vostre valigie piene di parole e cose, per poi rendervi conto che non avete le definizioni giuste” (Paul B. Preciado, Tornate, sbrigatevi. Ma per andare dove?, Libération, 21 settembre 2020, pubblicato anche in Internazionale).

Lo spazio matriarcale (come idea e come pratica) in effetti oltrepassa, supera il genere. Al limite, non ha (solo) a che fare con la dimensione femminile. Coincide, come sistema di pensiero, con la wholeness, il senso di essere tutto e tutti.

“Tutto ciò che è di dominio affettivo reclama l’assoluto. Il bambino vuole la madre per la vita; gli innamorati vogliono amarsi per la vita; tutto in noi reclama il definitivo, mentre la vita ci insegna il provvisorio. Mi chiedo se ciò che c’è di più importante al mondo non sia il momento in cui si vacilla, in cui ci si rende conto, per esempio, che i nostri bambini contano più dei nostri genitori” (François Truffaut).

Christian Caliandro

LE PUNTATE PRECEDENTI

Spazi matriarcali, parte seconda (I). Il pensiero femminile
Spazi matriarcali, parte seconda (II). La fine del patriarcato
Spazi matriarcali, parte seconda (III). La bellezza di essere vivi
Spazi matriarcali, parte seconda (IV). Tempi interessanti
Spazi matriarcali, parte seconda (V). Essere nel momento
Spazi matriarcali, parte seconda (VI). Lo stato di grazia
Spazi matriarcali, parte seconda (VII). Resistere e cambiare

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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