Arte contemporanea, efficienza, controllo: quali sono le alternative?

Oscillando tra sensazionalismo e pesantezza, l’arte oggi è tutta orientata al risultato, all’efficienza. Quale strada alternativa si potrebbe percorrere?

L’efficienza, la performatività, la prestazione si sono legate in campo artistico al “risultato”. Un’opera e il suo autore in questo momento storico valgono quando hanno una funzione, e una funzione pratica; se e in quanto riescono a inserirsi prontamente in un determinato contesto – e questo contesto a sua volta è fatto di risultati concreti, di riconoscimenti per esempio, o comunque di comunicazione e di informazione. Un’opera si realizza e si concretizza, per così dire, solo nella sua rappresentazione comunicativa.
Per ottenere questi risultati, l’opera dovrà perciò sostenersi con i propri mezzi, e questi mezzi dovranno essere esteriormente ricchi: un’opera cioè per esistere nella realtà attuale deve imporsi in qualche modo allo sguardo, deve farsi vedere e farsi riconoscere. Non può andare tanto per il sottile. (Difficilmente oggi un’opera che non attrae l’attenzione, che non salta all’occhio riesce a esistere.) Così, se ancora negli Anni Novanta degli YBAs e dei protagonisti nostrani i mezzi per l’affermazione erano l’approccio sensazionalistico, scandalistico, e un certo atteggiamento cinico, negli ultimi anni possiamo dire che lo strumento privilegiato sia una certa “pesantezza”: è in fondo l’immagine ricca, esclusiva, elitaria, cioè l’immagine iperprodotta e che per essere realizzata – ma anche fruita – necessita di grandi risorse, di tecnologie all’avanguardia, l’immagine del cinema e della pubblicità a cui anche l’arte si è adeguata e alla quale qualche tempo fa Hito Steyerl opponeva la propria immagine “povera” (democratica, degradata e orientata alla circolazione).
Risalendo indietro nel tempo, è la stessa immagine a cui Jerzy Grotowski negli Anni Sessanta contrapponeva la propria idea e la propria pratica di teatro povero: “Se un giorno tutti i teatri fossero liquidati, un’alta percentuale di persone non ne verrebbe a conoscenza per diverse settimane; ma se fossero eliminati cinema e televisione, il giorno dopo tutta la popolazione sarebbe in sommossa. Parecchi uomini di teatro sono consapevoli di questo problema, ma suggeriscono una soluzione sbagliata: poiché il cinema è superiore al teatro da un punto di vista tecnico, rendiamo il teatro più tecnico. Così inventano nuovi palcoscenici, allestiscono spettacoli con cambiamenti ultra rapidi di luogo d’azione, sistemi d’illuminazione e scenografie elaborate, ecc.; ma non sarà mai possibile raggiungere la perizia tecnica del cinema o della televisione. Il teatro deve ammettere i suoi limiti. Se non può essere più ricco del cinema che sia allora povero. Se non può essere prodigo come la televisione, che sia allora ascetico. Se non può costituire un’attrazione sul piano tecnico che rinuncia allora a qualsiasi tecnica esterna. Non ci rimane allora che un attore ‘santo’ in un teatro povero” (Jerzy Grotowski, Per un teatro povero [1965], Bulzoni, Roma 1970, p. 50).

Alessandro Scarabello, Heretic exercise #04 (Comply Resist), 2022

Alessandro Scarabello, Heretic exercise #04 (Comply Resist), 2022

ARTE COME DIALOGO

Quasi sessant’anni dopo, possiamo riconoscere attorno a noi più o meno la medesima situazione: intanto, anche se chiudessero i musei la gente quasi non se ne accorgerebbe, molto probabilmente; ma soprattutto, i ‘nuovi palcoscenici’, i ‘sistemi d’illuminazione’ e le ‘scenografie elaborate’ sono ancora ovunque attorno a noi nelle mostre e nelle grandi manifestazioni dell’arte, come tentativi espliciti di venire a patti dal punto di vista tecnologico con l’evoluzione del cinema e dello spettacolo in generale; grandi oggetti e grandi installazioni, grandi apparati e grandi costruzioni; più difficile semmai – ma non impossibile – è riconoscere oggi l’opera e l’artista che si sottraggono all’attenzione attraverso la ‘rinuncia a qualsiasi tecnica esterna’: vale a dire, l’artista santo e l’opera ascetica. Se il teatro era ed è un incontro, “ciò che avviene tra lo spettatore e l’attore” (ivi, p. 41), anche l’arte era ed è un incontro, una relazione, un rapporto: non solo tra artista e spettatore, tra opera e spettatore, ma anche tra opera e opera, tra opera e realtà; e tra le varie dimensioni che intersecano questi ruoli e queste funzioni. All’infuori di questo incontro, di questa relazione, non rimane nulla, o solo elementi di poco conto, appariscenti semmai, ma irrilevanti. Come ci avverte Alva Noë, “un’opera d’arte è uno strano strumento, è un attrezzo, un utensile che è stato spogliato di tutte le sue funzioni. L’arte è nemica della funzionalità, è il sovvertimento della tecnologia” (Alva Noë, Strani strumenti. L’arte e la natura umana, Einaudi, Torino 2022, p. 115).

ARTE, CONTROLLO, IMPREVISTO

Perché, se la missione è sempre quella di sfuggire al Controllo e di praticare l’imprevisto, allora Grotowski (così come Artaud prima di lui; così come Kaprow, o il Living Theatre, o il cinema di Mekas parallelamente a lui e alla sua ricerca…) non è un reperto archeologico, da citare semmai nella propria pratica e nella propria teoria per farsi belli, ma è un elemento vitale e vivo all’interno di un percorso che attraversa i decenni e che ancora è attivo. Un percorso che si basa su un tipo di disposizione che la scorsa volta ho definito ‘negativo’, per contrapporlo a quella che si orienta unicamente alla funzione e al conseguimento di un risultato: “È necessario ricorrere ad un linguaggio metaforico, e dire che in questo processo l’elemento determinante è l’umiltà, una predisposizione spirituale: non voler fare una determinata cosa, ma rinunziare a non farla; altrimenti l’eccesso diventerebbe sfrontatezza invece che sacrificio. Ciò significa che l’attore deve agire come in stato di trance” (ivi, p. 46).
“Non voler fare una determinata cosa, ma rinunziare a non farla”: comprendere questa distinzione e raggiungere questo stato di trance anche nell’arte è oggi più necessario che mai.

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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