Fase Due (XII). L’arte e il conflitto

“Ancora e sempre, la percezione della cultura in Italia – quando esiste – è totalmente schiacciata sulla dimensione dell’intrattenimento e del tempo libero. Ciò significa che, non da oggi, è stata accuratamente sradicata la natura profondamente conflittuale dell’arte e della cultura contemporanee”. Nuovo capitolo della serie di interventi di Christian Caliandro sulla Fase Due.

Borgo Pineto (Castellaneta Marina, TA), 29 luglio 2020. L’arte deve essere uno strumento al servizio del cambiamento che sta avvenendo (al di fuori di questa, ogni altra funzione è puramente decorativa e esornativa). Deve cioè contribuire alla diffusione e alla pratica del nuovo sistema di valori che si è venuto delineando negli ultimi anni.
Per fornire questo contributo, l’arte deve tornare a parlare al popolo – e, per farlo, deve usare abilmente, consapevolmente, adeguatamente l’immaginario collettivo, la piattaforma psichica della cultura condivisa. Senza più rinchiudersi nel recinto, elitario e classista, del “sistema” – che come effetto principale ottiene proprio l’autoesclusione dalla dimensione collettiva della cultura, e la permutazione degli elementi all’interno di un’attitudine solipsistica inutile e dannosa.
Ancora e sempre, la percezione della cultura in Italia – quando esiste – è totalmente schiacciata sulla dimensione dell’intrattenimento e del tempo libero. Ciò significa che, non da oggi, è stata accuratamente sradicata la natura profondamente conflittuale dell’arte e della cultura contemporanee: le opere e le idee nuove non servono infatti a ricomporre le contraddizioni, ma a farle esplodere. Il progresso civile infatti esiste solo se l’immaginario si assume il compito di scavare – anche in maniera dolorosa, traumatica, faticosa – nelle pieghe e nelle ambiguità del presente (“nel mostrare i punti / dove la vita ristagna”, come cantavano dieci anni fa i Massimo Volume). Questo avviene ormai molto raramente nel nostro Paese; e non sembra un caso.
E poi, e poi. Soffro molto la retorica dell’ultimo decennio relativa ai processi culturali e agli “incubatori”: una retorica imbevuta di buonismo, alla volemose bene, in base alla quale questi famosi processi sarebbero sempre lineari, sempre fondati sulla condivisione e sulla partecipazione, sempre positivi… Beh, io le persone positive non le reggo. Da sempre. E c’è da dire che le cose importanti, le cose rilevanti in fatto di arte e cultura sono sempre state pensate e realizzate da gente tendenzialmente negativa, spostata, disadattata, decisamente antisociale e incazzata con il mondo intero, molto poco propensa a ‘migliorare’ o a ‘educare’ il resto dell’umanità: e però sono queste poi le persone che cambiano la realtà, con le loro opere. Faccio parecchia fatica a immaginare Francis Bacon che affronta un progetto artistico sull’Antropocene, o Jackson Pollock alle prese con l’ennesimo bando regionale sulla riqualificazione urbana.

***

24 luglio 2020. Si è diffusa all’interno del mondo dell’arte negli ultimi anni, e forse decenni, questa pessima abitudine di rifuggire il dialogo e il confronto. Il senso di impunità, la protervia, il fatto che se sei più ricco-potente-visibile puoi prevaricare l’altro, schiacciarlo, ignorarlo, non sentire nemmeno le sue ragioni; l’altro, semplicemente, nella tua visione non esiste. Terribile, perché nessun vero avanzamento risulta possibile e praticabile in una situazione del genere (tipicamente italiana, peraltro). Essere persone di cultura, invece, significa essere costantemente aperti e disponibili al confronto, anche – e soprattutto – quando questo è faticoso, impegnativo, improbo.

***

Thomas Braida, lontano dai cigni vicino ai salmoni, 2020, olio su tela, 216 x 170cm, courtesy l'artista e Monitor, Roma Lisbona Pereto (AQ)

Thomas Braida, lontano dai cigni vicino ai salmoni, 2020, olio su tela, 216 x 170cm, courtesy l’artista e Monitor, Roma Lisbona Pereto (AQ)

26 luglio 2020. Ormai la mascherina è diventata compiutamente, per me, una seconda pelle, un accessorio irrinunciabile: ne ho una chirurgica per il supermercato, un paio ‘moda’, una FFP2 per il treno, ecc. Una mascherina per ogni occasione – ma quella a cui sono più affezionato l’ho comprata alla stazione di Roma Termini: è al tempo stesso fantascientifica e vintage, sembra la parte inferiore del casco di Kyashan decorata però con un motivo da piastrelle di cucina Anni Settanta…

***

28 luglio 2020. Le sveglie di The Dark Side of the Moon – che momento.
Le parole commoventi che Carlo Michele Schirinzi mi ha scritto su Messenger, oggi.

***

30 luglio 2020. Nessuno è ancora uscito dal lockdown – e nessuno ne uscirà, almeno per il momento.

***

Risposta a Carmelania. Una cosa per il momento te la posso dire. Quando scrivi: “Davvero basta così poco per essere giovani? Davvero basta essere inconsapevoli, di tanto in tanto, perdere il controllo, i sensi, la dignità, fare figure di merda che i tuoi amici possono filmare? Basta ballare fino all’alba e strusciarsi sul culo di qualcuno che puzza di alcool e sudore e fumo insieme?”, no no, quello non è essere giovani. E forse il problema sta proprio nella possibilità che citi: “che i tuoi amici possono filmare”. Questa cosa apparentemente innocua ‒ la riproduzione ‒ probabilmente ha alterato in profondità l’esperienza. Ogni esperienza ‒ anche e soprattutto quella della giovinezza. Ora, già mentre sto iniziando a scrivertelo mi sento vecchio, però proprio in questi giorni qui a Borgo Pineto ‒ in parte avviene ogni anno, ma quest’anno è molto più forte: sarà un altro effetto del lockdown ‒ gli echi delle nostre estati di metà Anni Novanta sono fortissimi. Mi basta mettere in macchina, sul lungomare alle sette di mattina, Tiny Music… Songs from the Vatican Gift Shop degli Stone Temple PilotsTripod degli Alice in Chains per rivedere scene e momenti… ora, queste scene estinte e questi momenti perduti sono stati all’epoca certamente scadenti, stupidissimi, niente di speciale ‒ ma nella memoria hanno acquisito un peso pazzesco, una statura epica e leggendaria… E indovina un po’? Non abbiamo quasi nessuna foto di quei momenti, pochissime in ogni caso. Vivono tutti nei nostri cervelli, che sono stati marchiati a fuoco da ciò che abbiamo combinato qui a quindici-sedici anni, che ripeto, non era nella realtà proprio niente di speciale… Io pensavo di essere il solo a sentire queste cose, ma ritrovando gli amici e le amiche di allora ho scoperto che pure loro le sentono.
Credo che la scarsità (di informazioni, di immagini, di opportunità: di tutto) sia un elemento fondamentale per far uscire idee e opere nuove ‒ oltre che persone nuove. Per lo sviluppo dell’arte e della cultura.
Ma questo è qualcosa su cui devo ancora lavorare e pensare. Perché, come scriveva Virginia Woolf, “Pensare, pensare, dobbiamo. Non dobbiamo mai smettere di pensare: che ‘civiltà’ è questa in cui ci troviamo a vivere?” (Le tre ghinee, 1938). :) Buonanotte, o buongiorno

Christian Caliandro

LE PUNTATE PRECEDENTI

Fase Due (I). Niente è come prima
Fase Due (II). Il peso della insostenibilità
Fase Due (III). Il problema del disprezzo
Fase Due (IV). Il ritardo dell’arte contemporanea
Fase Due (V). Tempo di morire, tempo di vivere
Fase Due (VI). Tirare le fila
Fase Due (VII). Connessioni
Fase Due (VIII). L’epilogo della finzione
Fase Due (IX). Il problema della tradizione
Fase Due (X). Condivisione
Fase Due (XI). Borghesucci

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

Scopri di più