
“E poi ci ritroviamo / Divisi da nuove alleanze / Senza più nulla da nascondere / Solo più accorti / Nel mostrare i punti dove la vita ristagna / Le cattive abitudini / Quasi sempre appagate / E ci sediamo / In un camerino affollato / In un treno che parte / Continuamente sospesi / Tra questo corpo e la scena / Le nostre ore canoniche / Le nostre ore contate / Ancora troppo presto per organizzare il nostro sgargiante declino / Ma non abbastanza da non averne un’idea / Io non ti cerco / Io non ti aspetto / Ma non ti dimentico” (Massimo Volume, Le nostre ore contate, ne Le cattive abitudini, 2010).
Firenze, Le Murate, 23 settembre 2020: presentazione di “Stato di grazia” di Laura Cionci. LAURA: “… Scopro poi, in Colombia, di avere il secondo cancro. È stato molto peggio del primo: se hai una recidiva, infatti, non si può tornare indietro. L’oncologo mi disse a quel punto di dimenticare la mia vita, i viaggi. Adesso la tua esistenza sarà curarti con la chemioterapia e basta. Ovviamente lì sono uscita fuori ancora di più dalla grazia di Dio, e non riuscivo a rendermi conto che dovevo cambiare la mia vita di nuovo, e per sempre. Prima, il 15 agosto avevo passato Ferragosto in ospedale con Santa perché dovevo operarmi. Niente di più sbagliato in realtà, perché l’azione chirurgica smuove le cellule cancerogene e le moltiplica. Io inizio a fare questa chemio; il mio problema è però la scarsa preparazione psicologica degli oncologi nell’affrontare il paziente”.
LEI è l’OPERA.
La CURA è LEI.
La CURA è l’OPERA.

“Io sono fatta così – ve la racconto in maniera un po’ divertente. Succede che a un certo punto la chemio fa effetto, e non riesco a fare i gesti normali, alla velocità normale, a fare per esempio questo movimento con la testa senza che mi venga da vomitare… Era un blocco – in cui il mio cervello era intrappolato nel corpo di una centenaria. L’unica cosa che riuscivo a fare era scrivere, scrivere della mia esperienza. (…)
… Cercavo di trovare una quadra nella mia esistenza, attraverso il libro. Finisce il ciclo di chemio e avevo di nuovo le visite. (…) Mi dicevo, Devo morire, però quello che voglio fare è ESSERCI veramente. Questo cambiamento psicologico cambiava anche lo scenario attorno a me: non riuscivo più a distinguere la realtà dall’imbellettamento generale che avevo attorno, il Poverina mi infastidiva, mi disturbava molto, non riuscivo a interagire, per cui mi sono detta OK, devi risolvere, e sono andata da tutti, ma proprio tutti, l’astrosofo, la sciamana, il pranoterapeuta, e quasi ognuno di loro toccava quattro o cinque punti fondamentali… per cui mi sono detta, Adesso devi farlo in maniera perfetta, come se fossi una macchina, e questo implicherà una serie di dinamiche di relazione con l’altro, e il mio lavoro di artista è sempre relazionale. Mi dicevo in continuazione: Tu stai facendo questo, perché la scelta alternativa è il percorso di prima che ti stava uccidendo. A volte mi sento in colpa se faccio delle cose che so che non dovrei fare. È stato interessante, all’inizio, vedere come l’inconscio lavora sui sogni (: io sentivo in sogno i profumi, i sapori, gli odori, e dipendeva dal fatto che stavo “talebanizzando” il mio corpo)”.

“Se non avessi visto il sole / avrei potuto accettar l’ombra. / Ma la luce rendeva più deserto / il mio deserto” (Emily Dickinson, 1872 ca.).
“La paura è la prima cosa che devi affrontare. La via per l’illuminazione è lastricata di merda”.
La paura è maschile. Il femminile è portato al cambiamento/trasformazione/evoluzione. La donna cresce ed evolve; l’uomo si rinchiude nelle sue ragioni/intenzioni (per un misto di pigrizia, ottusità e terrore).
LAURA: “È impossibile essere consci dello/nello Stato di Grazia: lo puoi solo ricordare. Lo puoi capire e raccontare solo da fuori”.
“Nell’arte e nel mondo dell’arte ci è sfuggito qualcosa di mano: la verità. Anche l’artista non la ricerca, perché le persone non sono più interessate a essa ma a contenuti più superficiali. C’è bisogno dunque di qualcos’altro, che faccia crollare la parte futile, la finzione – perché non c’è più tempo. Siamo a questo ormai”.
“E lo sentì tornare, quello stato di grazia cui riusciva a pensare solo come a un’intossicazione” (Patrick McGrath, Follia, Euroclub Italia 1998, p. 39).
‒ Christian Caliandro