Summer Theory no. 2 (VII)

“Essere vivi in tempi differenti”. Settimo capitolo della “Summer Theory” di Christian Caliandro.

Nei racconti di Marcello, una Taranto magica di inizio Anni Ottanta profumata di sole e di mare e i Simple Minds (dico: i Simple Minds!) che vengono a suonare in città giovanissimi, invitati da ragazzi punk della loro stessa età innamorati della musica e della nuova cultura internazionale – il gruppo dopo il concerto si ferma per qualche giorno di vacanza, e lì sono partite a tennis mezzi nudi con il “Quotidiano” sottobraccio, innamoramenti con le ragazze tarantine, canne e in particolare – meraviglia delle meraviglie – il progetto fumoso e magico di un video da girare a Castellaneta Marina, con tanto di sopralluoghi e gite al mare nella totale indifferenza dei bagnanti… E non posso fare a meno di immaginarmelo, questo video mai realizzato, di sognarmelo con la sua atmosfera magnogreca che non ci sta per niente male con i Simple Minds (basta che pensiate a cose come Speed Your Love to Me, Someone Somewhere in Summertime o Glittering Prize) – il lungomare spartano e la spiaggia intatta, la macchia e i pini, quest’aria mediterranea fusa con le loro chitarre e Jim Kerr che canta mentre il Pirata, appena giunto dal nord, offre a tutti i suoi spaghetti e le sue birre Raffo gelate – e tutto questo non solo non si è realizzato ma non si realizzerà mai, se non nello schermo della mente, dietro la mia fronte, qui ecco qui, con lo stesso sole la stessa luce meridiana e la secchezza e la croccantezza e la semplicità di questo luogo di vacanze, di promesse non mantenute, di desideri non esauditi e di speranze inevase…

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la seconda generazione dei romantici inglesi ereditò i problemi della prima, ma complicati dai mali dell’industrializzazione e della repressione politica. Da ultimo essi trovarono una risposta non nella società ma in varie forme di indipendenza dalla società:
l’eroismo
l’arte
la trascendenza spirituale” (Donald Barthelme, Biancaneve, minimum fax, Roma, p. 58).

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Borgo Pineto, 15 luglio 2018. Agganciato – sì è vero non sono più quello di una volta, del liceo per esempio, e per fortuna – ma neanche voi. Il senso di estraneità è sempre più forte, estraneità nei confronti delle persone (e del mondo) di allora, e non è altro che la vecchia sensazione la quale, invece di richiudersi, si è espansa a dismisura, mostruosamente, piacevolmente persino. Sono diventato un altro, e questo altro non intrattiene quasi più nessun rapporto con quello di allora, per fortuna ripeto: ci ho sudato parecchio, ho attraversato numerosi e rischiosi traumi, sfondato diversi vicoli ciechi, scavato dove non c’era più nulla e scritto laddove c’era magari solo da arrendersi, stendersi, non fare più niente. Ridicolo che ancora soffra per certe cose, eppure è così, non ci posso fare niente. Alla fine è come se stessi facendo “pratica” della vita adulta, e ho il sospetto fondato che non sarà mai granché diverso… esistere nel momento, oggi  comporta inevitabilmente questa sensazione di essere in fondo uno spettro, di essere bloccato nel medesimo punto o comunque di ripartire sempre dallo stesso punto, mentre modalità e comportamenti e ambienti attorno a te (e dentro di te?) si deteriorano, si disfano, si degradano – (La gran parte degli “altri” pare invece seduta comodamente dentro la propria vita/adulta, mediamente appagata, inserita in una ruota personale, considerata affidabile; questi misteriosi “altri”, come faranno dico io).

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Tancredi, Diario paesano, 1961

Tancredi, Diario paesano, 1961

(poco dopo). Per viaggiare nel tempo non serve una DeLorean – basta essere vivi contemporaneamente in più istanti, distanti anche decenni tra loro, non pensare, non riandare con la mente, ma VIVERE in due posizioni, in due spazi (o meglio: nel medesimo spazio, in momenti diversi), in due situazioni – non lasciarsi distrarre, concentrarsi, sporgersi, spingere il ricordo talmente in là da farlo diventare trasferimento, dislocazione. Siamo vivi in tempi differenti, epoche e ere lontane (non tutti, ovviamente).
Volete provare?
Ok, mettere Too Late dei TimeCop1983 – io mi alzo dalla sdraio, vado verso il bagnasciuga e mi incammino a sinistra verso la spiaggia libera – ombrelloni multicolori la bancarella dei costumi da bagno un bambino scava con la paletta nella sabbia bagnata occhiali da sole creme tende improvvisate granite – sono un ventenne che sta facendo la stessa passeggiata – ho tre anni e sono con i miei genitori, più avanti, al lido Sporting e mia madre mi sta pulendo dalla sabbia – sono qui due anni fa, alla stessa ora (o mezz’ora prima) – sono sul ponte che collega il villaggio alla spiaggia, ho sette anni e sto guardando l’epico incendio di Riva dei Tessali, chissà se arriverà anche da noi – ho otto anni e mi è appena passata la febbre, non posso ancora andare al mare e quindi sto facendo un giro in bicicletta per Borgo Pineto deserta nel caldo di mezzogiorno, dopo aver finito di leggere un’edizione illustrata dei Viaggi di Gulliver: la mia prima esperienza profonda della desolazione? – ho tredici anni e siamo in villa a guardare Mai dire Gol e i film horror del martedì notte – ho diciassette anni e sto andando a recuperare Maurizio che di fronte alla villa di Matteo si sta disperando, seduto per terra, perché è stato lasciato e allora gli porto No Code dei Pearl Jam che è appena uscito – ho diciotto anni e di sera telefono dalla cabina accanto al supermercato a V., che non è la mia ragazza ma che amo più della mia ragazza (e già so di non avere un gran futuro con lei, anzi di non averlo proprio) – ho dodici anni e le scariche disturbano lo schermo, interferiscono con la scena di via D’Amelio distrutta e al tempo stesso la completano, la integrano, mia madre è con me sul patio della villa – mia madre è con me, mia madre non è con me –
io sono; io sono stato
– Scott Weiland e gli Stone Temple Pilots che suonano Big Bang Baby in uno strano video con la grafica rudimentale Anni Ottanta, è il 1996 e scopriamo in quest’estate la fuoriuscita dal grunge e la prosecuzione del grunge, una forma ancora inedita di figaggine a cui riferirsi, echi liberi di Beach Boys e bossanova, idee di spiagge californiane e cocktails e girlfriends appena arrivate dallo Sweet Alabama, capelli tinti di ruggine – ho dieci anni e sono con mio fratello nella Club House del villaggio, fa caldo – ho undici anni e sto disegnando in pubblico la mascotte di Italia90, il luogo è sempre lo stesso ma cambiano i segmenti temporali e le ricadute – una goccia di sudore macchia le parole e la pagina a quadretti del quaderno – ciao è tardi, ho provato a fermare la pioggia, l’hai letto per caso? Ci hai mai pensato? L’hai sognato?

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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