Neovernacolare (II). L’aspetto esteriore

Fabrizio Bellomo chiama in causa l’idea di autenticità, a partire dal cibo di strada e dai modi di somministrarlo. Lungo in crinale che dal contenuto scivola verso il puro involucro estetico.

In principio furono le architetture rurali a essere svuotate da e del loro interno, dalle radici agricole, così da sostituirlo con un più confortevole arredamento.
Stessa cosa per i tre ruote che vendevano cibo e bevande: a Firenze c’era quello del Pierpa’; i suoi lampredotto e trippa sono fra i più buoni della città. Li prepara ancora, ma ‘l’apino’, da un anno all’altro, è divenuto illegale, così ha dovuto sostituirlo con un anonimo casotto. A Bari si sono susseguite innumerevoli ordinanze contro tutti i venditori ambulanti abusivi – retaggio del Sud più arcaico.
Così, allo stesso modo di come ‘le interiora dei trulli’ sono state sostituite perché ritenute scomode e indecorose dai benpensanti (come la polpa di frutta e verdura è divenuta sempre più insulsa privilegiandone l’estetica al sapore), allo stesso modo, con il moltiplicarsi dei  festival di street food, abbiamo assistito a un ennesimo fenomeno di sostituzione del contenuto e di appropriazione della forma esterna ancora una volta acquisita dal ‘capitale’.
Fu proprio il Pierpa’ a farmi notare ciò: “... a noi hanno fatto togliere l’apino e ora ho visto che Milano è piena di tre ruote che vendono cibo…”. Le dichiarazioni di un assessore, durante un festival di street food: “… Spero che i baresi possano così imparare a preparare il cibo da strada con decoro”. Indecorose le parole di quest’assessore che non riusciva a comprendere le genealogie dietro tali cambiamenti.
Seguendo l’espandersi dei cerchi concentrici: la località pugliese più frequentata dall’altissima borghesia di mezzo mondo, dal Piemonte a Hollywood, è Borgo Egnazia. Un ‘paesino pugliese finto’, edificato dal nulla emulando gli stilemi del caso. Come tutti i vari ‘outlet della domenica’ sorti sul territorio italiano negli ultimi vent’anni.

Restyling contemporaneo di un Ape Piaggio adibito alla vendita di vivande

Restyling contemporaneo di un Ape Piaggio adibito alla vendita di vivande

TOGLIERE LA POLPA

L’operazione effettuata è sempre la stessa: si toglie la polpa e si mantiene (in questo caso si ricrea pari pari) solo l’esterno. Ma allora che senso ha leggere frasi come “Tutelate l’Italia più autentica”, rivolteci spesso dai tour operator internazionali? Ma cos’è questa ‘Italia autentica’?, seppur mai riuscissimo a confinarla in una solida etichetta. “…Tu però forse non sai che la zona dei trulli ad Alberobello è stata dichiarata monumentale. […] Ma io, ad Alberobello […] di veramente monumentale non ci ho trovato che la laboriosità dei contadini e degli agricoltori”. Così Tommaso Fiore già negli Anni Venti del Novecento scriveva della Puglia a Gobetti.
“… Chi è il popolo di formiche di Fiore? È quel popolo secolare […] di contadini […] che hanno creato dal basso la realtà agricola pugliese ben più del latifondo o degli agrari che dominano la scala sociale…”. Così Alessandro Leogrande chiarisce al meglio, nel 2015, il senso delle dichiarazioni di Fiore. Ed è questa realtà agricola e vernacolare pugliese, di cui il lascito ancora tangibile sono le architetture rurali che tutti decantano e che fino ad anni fa – mutatis mutandis – rivedevo nel mondo delle customizzazioni dei tre ruote dei venditori ambulanti tanto bistrattati, a rappresentare l’autenticità. Ma questa alla borghesia nostrana e straniera in realtà non è mai piaciuta così com’è. Non è mai piaciuta perché l’autenticità del popolo che ‘sbraita’, puzza, è fatta anche di merda e sangue.
Piace l’aspetto esteriore di queste che sono state vere invenzioni culturali dal basso – tali da modellare gli immaginari di Italia e di Sud molto più dei – seppur belli – palazzi nobiliari (il piatto tipico di Firenze è il lampredotto, non la bistecca!).
Quindi di quale autenticità si parla?

Fabrizio Bellomo, La guerra delle sgagliozze, Bari 2011

Fabrizio Bellomo, La guerra delle sgagliozze, Bari 2011

LA FINE DELLA AUTENTICITÀ

Probabilmente oggi l’Italia più autentica risiede in tutte quelle espressioni che si tende a tenere nascoste: la vergognosa situazione del caporalato in Capitanata, la Taranto (ancora) dei vicoli vista siderurgico, ma anche le vecchie osterie frequentate dai camionisti in tutta Italia o quelle poche rimaste in fondo a viale Monza e al Giambellino.
In verità non cercate nulla di tutto questo, ma solo luoghi addomesticati e privati di qualsivoglia contrasto dove pascolare come in un Club Med Anni Novanta, solo che oggi il ‘villaggio’ è divenuto un concetto espanso e non recintato, dunque più subdolo, perché si rischia la trasformazione di un intero Paese alla mercé delle logiche turistico-commerciali. Svuotandolo sempre di più dalle culture popolari basate sullo scarto e sull’adattarsi alla vita attraverso quel poco che c’era, che lo hanno reso celebre nella modernità.
Gli Anni Novanta erano più onesti.

Fabrizio Bellomo

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Fabrizio Bellomo

Fabrizio Bellomo

Fabrizio Bellomo (Bari, 1982) porta avanti la sua ricerca in modo ibrido e multidisciplinare. Suoi lavori sono stati esposti in Italia e all’estero in mostre personali e collettive, attraverso progetti pubblici e festival cinematografici. Fra cui: plat(t)form 2015 Fotomuseum Winterthur…

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