Neovernacolare (IX). Affetto e cura

Che cosa significa per un’opera essere affettuosa? E quanto conta la cura in questo senso? Christian Caliandro scrive un nuovo capitolo della saga dedicata al neovernacolare.

Per Chiara

Perché le opere siano realmente efficaci e utili, occorre che siano affettuose.
Che significa? Che possiamo riconoscere in loro – e in chi le ha pensate e realizzate – un effettivo interesse nei confronti del mondo e delle persone, un calore, un’intimità, una vicinanza, un’empatia, una compassione. Sono cioè opere in grado di vivere e di stare al mondo, in grado di muoversi con delicatezza ed emozione, in grado di coltivare una dimensione umana senza la quale nulla esiste, nulla può fiorire.
Quante opere attuali conoscete delle quali potreste dire che sono affettuose? Pochine, vero? Oppure magari sono tante, tantissime, e quindi la mia impressione è sbagliata, fuorviata e fuorviante, condizionata da distorsioni prospettiche ed errori di percezione. Potrebbe anche essere. Quello che vedo sono opere che per la maggior parte quell’elemento umano l’hanno abolito, sostituendolo con un altro che gli somiglia ma non è lo stesso – non è proprio quello – e che risulta in compenso molto più maneggevole. Più comodo.
L’empatia infatti risulta difficilmente gestibile. Causa normalmente scarti, arresti, deviazioni, cadute improvvise e apparentemente immotivate, digressioni francamente insopportabili dall’obiettivo. L’opera neovernacolare, a sua volta, sembra terribilmente riottosa. E in parte lo è. Questo perché rifiuta le idee – e le pratiche – legate agli obiettivi da raggiungere, ai risultati prefissi. La sua estrema, piccola/grande utilità risiede proprio nella sua somma inutilità: agli occhi del sistema artistico, è di fatto irredimibile. Non la possiamo impiegare per gli scopi usuali, per gli scopi cioè che hanno a che fare con: riconoscimento, accettazione, successo, legittimazione, rassicurazione.

Niccolò dell'Arca, Compianto sul Cristo morto, 1463-90. Santa Maria della Vita, Bologna, particolare

Niccolò dell’Arca, Compianto sul Cristo morto, 1463-90. Santa Maria della Vita, Bologna, particolare

FUORI DALLA COMFORT ZONE

L’opera neovernacolare non rassicura, non tranquillizza, non placa la voglia di arrivare: tecnicamente, essa è un fallimento sotto molti punti di vista. Il suo scivolare facilmente sul terreno degli oggetti e dei pensieri comuni, il suo mimetizzarsi volentieri all’interno di questo territorio, il suo uscire pervicacemente dalla comfort zone che è il mondo dell’arte, e il perseguire questa uscita in maniera drastica e naturale, sono delle enormi criticità e insieme dei misteriosi punti di forza. Ciò che in effetti coltiva questo tipo di opera è un disinteresse di fondo per le categorie che attirano tanto le altre opere, quelle aggiornate, quelle fighette, quelle che sono così algide e in definitiva antiumane.
Lei disturba, scoccia, cola da tutte le parti e fa rumore, dice le parolacce e si comporta da maleducata. Al centro esatto di questo atteggiamento così insopportabile, così rozzo, così fastidioso c’è proprio quell’affetto di cui parlavamo all’inizio: un affetto altrettanto insopportabile rozzo e fastidioso, ma molto profondo e vero per le cose degli uomini. Per le cose – piccole, frammentarie, incomplete, stupide, ridicole, inadeguate – che fanno la vita quotidiana.

Niccolò dell'Arca, Compianto sul Cristo morto, 1463-90. Santa Maria della Vita, Bologna, Madonna

Niccolò dell’Arca, Compianto sul Cristo morto, 1463-90. Santa Maria della Vita, Bologna, Madonna

LA CURA

E al centro di questo centro, per così dire, al centro dell’affetto che nutre l’opera, c’è la cura che chi l’opera fa mette ossessivamente nel realizzarla. Il gusto di fare le cose per bene, così raro oggi e per questo così prezioso: raro perché anche questo gusto sembra inutile, in un’esistenza fitta di oggetti e testi e parole e pensieri fatti male, anonimi, tutti uguali, orribilmente conformisti e distorti in maniera non interessante, distorti perché appunto fatti male, malissimo, senza nessuna attenzione e nessun amore, senza nessuna competenza, tanto per, tanto nessuno se ne accorge e nessuno ci fa caso, tanto la gente non capisce niente e non legge e non si informa, e poi non ho tempo scusa, già è molto che lo sto facendo, chi se ne frega, ho già troppi problemi, e poi tu che vuoi, se non ti sta bene non comprarlo non leggerlo non ascoltarlo non votarlo, tanto è la maggioranza che decide, tu che vuoi, a te non ti ha votato nessuno, quanti fan hai, decide la maggioranza, bravo allora stai zitto che è meglio…
Ecco, se tutto questo è e rappresenta l’utilità della porcheria che chiamiamo presente, che chiamiamo attualità, l’opera neovernacolare con il sistema di valori che attiva la rifiuta categoricamente insieme all’intero suo contesto materiale e immateriale, pratico e ideologico. Perché questa idea di utilità e questo contesto coincidono precisamente con l’estinzione dell’umano – mentre l’affetto e la cura racchiusi in un certo tipo di opera coincidono con la sua sopravvivenza ed evoluzione. In forme grazie al cielo inedite, non “tutte uguali”, interessanti, intelligenti, divertenti e non mortalmente banali.

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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