Fuoriuscita (IV). Relazioni e reciprocità

Continuano i mini saggi di Christian Caliandro, che torna a ripercorrere il pensiero di Carla Lonzi e la sua “rottura” con gli artisti.

La contraddittorietà, e persino l’ambiguità, della riflessione condotta da Carla Lonzi lungo tutti gli Anni Settanta non toglie affatto valore alle sue posizioni ‒ semmai ne aggiungono. Intanto, come abbiamo visto, la “frattura” del 1970 (anno che segna il suo abbandono definitivo della critica d’arte, con l’articolo La critica è potere che su NAC risponde al dibattito aperto da Germano Celant con il suo Per una critica acritica), se considerata da un diverso punto di vista non si presenta come tale: la fuoriuscita dal mondo dell’arte e l’approdo al femminismo avvengono su un piano invece di grande coerenza, e le conclusioni tratte in un territorio servono da materiale necessario.

IL PENSIERO DI CARLA LONZI

L’obiettivo dunque è sempre la costruzione di un differente piano di esistenza, in cui valgano regole e valori altri, fondati sulla reciprocità e sul rapporto invece che sul protagonismo e sulla subordinazione. Per un attimo era sembrato, alla fine dei Sessanta con Autoritratto (1969), che l’artista incarnasse la figura della liberazione: presto Lonzi si accorge con delusione e rammarico che non è così, e che proprio la relazione sbilanciata e gerarchica che si viene a stabilire di volta in volta con lo spettatore/spettatrice costituisce l’ostacolo a costruire un soggetto autonomo.  Per “sbocciare nella reciprocità”, dunque, è necessario costruire da zero un contesto che sia adatto e che realizzi le precondizioni: nel suo caso, questo contesto è quello dell’autocoscienza femminista, fondata sul dialogo e sull’ascolto (la “rispondenza”).
Questa sperimentazione e questa presa di coscienza coinvolgono anche, costantemente, la concezione dell’arte, considerata però all’interno di un contesto molto più ampio rispetto al passato che comprende la società e i suoi condizionamenti, come emerge chiaramente in Vai pure (1980), la registrazione delle quattro conversazioni con il suo compagno Pietro Consagra: “(…) sento l’arte in una maniera diversa, avendo preso coscienza come donna, come individuo autonomo dalla cultura maschile, e sento che gli elementi di quella cultura mi contrastano. Contrastano il tipo di espansione che vorrei portare nella società perché la crisi a questo punto è che non trovo più accettabile una divisione degli spazi. Io adesso giudico la società, quindi giudico l’arte, giudico la politica, giudico ecco. Mentre prima le subivo come inevitabili conseguenze alla spartizione dei ruoli. Adesso la cosa non regge più. C’è stato un momento in cui le donne hanno voluto partecipare al mondo maschile per fare esperienza in quel campo lì, ora per me è un altro momento in cui io mi stacco proprio dalla adesione comune a dei valori comuni” (Vai pure. Dialogo con Pietro Consagra, et al./Edizioni, Milano 2010, p. 21).
L’arte prodotta dalla società si realizza e si concretizza escludendo le relazioni autentiche, ed è proprio questa scoperta che causa il rifiuto: “Devo dire che questa coscienza che l’arte nasce e si diffonde a scapito dei rapporti ormai fa parte del mio modo di sentire l’arte. (…) è un dissidio interno a me stessa nei confronti dell’arte. So come nasce, so come si vara nel mondo, di quale società ha bisogno sia per nascere sia per diffondersi. A quel punto lì l’arte mi rimane inquinata da questa coscienza. Per me non è più un Valore: è un prodotto umano, di un’umanità con cui non sono in sintonia” (ivi, p. 121).

Emanuela Barilozzi Caruso, 13.03, h. 9.30, Alessandra Stefania_Senzazioni, 2021, Palermo

Emanuela Barilozzi Caruso, 13.03, h. 9.30, Alessandra Stefania_Senzazioni, 2021, Palermo

IL PROBLEMA DEL RICONOSCIMENTO

Permane però sempre la consapevolezza indefinita che nuovi valori condivisi con il gruppo di Rivolta Femminile siano in realtà in grado di generare nuove forme di creatività, dunque potenzialmente un altro tipo di arte che coincida esattamente con la relazione e con lo ‘stare insieme’ (ivi, p. 122: “D’altra parte mi rimane sempre la sensazione di un’attività, di un fare, di uno stare insieme che non implichi questa distruzione di valori a cui tengo”).
Il secondo livello di contraddizione apparente ha a che fare con la dimensione del riconoscimento, che Lonzi al tempo stesso rigetta e desidera: “Però non ti è venuto in mente che se avessi un riconoscimento su quello che ho fatto, sarebbe un punto di aggancio con la realtà esterna che sdrammatizzerebbe molto la mia condizione? Perché io la mia drammaticità la continuo ad avere e mi si ripercuote poi nel rapporto con te e nel mio stare al mondo proprio momento per momento, dal fatto che non sono riconosciuta. Che rischio di essere quella donna inesistente di cui l’uomo fa il panegirico, di cui l’uomo si nutre… e sparisce tutto. Sono un animale braccato in definitiva proprio perché devo arrivare a quel traguardo, assolutamente, altrimenti faccio una fine ignobile…” (ivi, p. 79).

RIFIUTO E RESPONSABILITÀ

È sulla qualità, sulla determinazione di questo riconoscimento che si manifesta un altro dissidio: Carla Lonzi infatti rifiuta recisamente le modalità “culturali”, istituzionali, pubbliche e pubblicitarie (per esempio la presentazione, la recensione del libro) proposte da Consagra, che quindi aderiscono ancora una volta alle regole generali di un sistema che ha ormai negato e che percepisce come ostile ‒ e aspira a un tipo di riconoscimento, molto complesso, che sia profondamente connesso al rapporto privato, al dialogo a due, e quindi alla dimensione intima. Un riconoscimento che implica una testimonianza esistenziale, e una forte assunzione di responsabilità da parte dell’altro: “Non sono registrata da nessuna parte, sono aria parlante. Se tu mi neghi ritorno aria, se tu dici ‘no, lei non parla’ come faccio a dire ‘no, ho parlato’. Se tu non testimoni di me, chi può testimoniare di me sulla parola che non ha ascoltato? (…) Quando parlo del mio dramma cosa intendo dire? Intendo dire che la coscienza si svolge nell’autenticità, l’individuo prende coscienza di sé nell’autenticità. Il colloquio che gli permette di prendere coscienza di sé e il colloquio con me, con la mia coscienza di donna, che adesso c’è. Io ho solo il potere della mia coscienza, non voglio che diventi un potere istituzionale, culturale. Quindi quello a cui aspiro utopisticamente è che venga data testimonianza di questo fenomeno che io incarno. In che modo? Il modo lo deve trovare l’altro” (ivi, pp. 106-107).
Questo altro – che deve far sì che la voce di Carla Lonzi non si perda, che lei non scompaia – è Consagra, ma in questo momento siamo anche noi.

Christian Caliandro

LE PUNTATE PRECEDENTI

Fuoriuscita (I). L’arte aperta
Fuoriuscita (II). Artista e spettatori
Fuoriuscita (III). Carla Lonzi e il rifiuto del successo

ACQUISTA QUI il libro “Vai pure. Dialogo con Pietro Consagra”

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

Scopri di più