Spazi matriarcali e altri scivolamenti. Debolezze

Questo testo inaugura una nuova serie della rubrica “inpratica”, intitolata “Spazi matriarcali e altri scivolamenti”, che sviluppa alcune idee emerse nelle ultime puntate di “Scene dalla Grande Stagione” e che ospiterà – come in questo caso – articoli di altri autori oltre a quelli di Christian Caliandro. Ancora più che in altri casi, non si sa che cosa verrà fuori, ma il pezzo di Annika Pettini è l’introduzione perfetta.

All’ennesima volta che mi è stato detto “tieni duro” ero pronta a saltare alla gola come il più feroce dei lupi, sognavo i miei denti affondati nella giugulare sballonzolante del mio interlocutore per vedere fiotti caldi e densi di sangue sgorgare insieme al suo ultimo fiato.
Perché? Perché non si tiene duro in una battaglia senza fine, questa non è una guerra che un giorno finirà, non è una salita che porterà a una vetta, questa è la scelta di un’intera vita che andrà così. Solo la morte è speranza di delizioso conforto, perché la resa porterebbe conseguenze più strazianti della peggiore delle morti.
E allora non si tiene duro, si va avanti e basta.
Non è una battaglia di violenza, è una battaglia di resistenza. Una tensione generata dal chiedersi il perché di tutto, bisognosi delle proprie risposte e non di verità indotte. È un processo semplice, che una volta innescato crea una dipendenza quasi fisica, sicuramente la crea all’anima, perché è fonte di nutrimento: è come se improvvisamente potessimo decidere il sapore delle cose, la realtà dona la consistenza alle cose, ma noi possiamo deciderne il sapore. È un processo faticoso ma, nonostante questo, diventa impossibile rinunciarvi perché ogni frammento della nostra esistenza assumerà esattamente l’aroma desiderato. È inebriante al sol pensiero, tutti siamo pronti a combattere per ciò che si sprigiona tra la lingua e palato.

ACCUMULO DI EQUILIBRIO

Che cosa rende quindi un’azione così passionale e sincera, una battaglia sanguinosa ed estenuante? Il processo, il percorso che porta dalla materia a noi, dalla consistenza al sapore, dall’essenza al nucleo. È un cammino che inizia privandosi di ogni certezza, smontando pezzettino dopo pezzettino tutta l’impalcatura che fino a quel giorno ci aveva tenuto in vita e in piedi nel mondo, tutto perso, tutto destrutturato. Diventare molecole sparse nell’universo ma con un centro consapevole e caldo, fatto dell’essenza più pura del nostro sapore. A quel punto entra in gioco l’energia e, con essa, la battaglia: iniziare a scaldare, muoversi, espandersi, per riacchiappare le particelle che ci componevano e distribuirle secondo un nuovo ordine, fluido e modellabile, eliminare gli eccessi, tenere gli scarti e gettare cose prima preziose. E muovendosi, mescolando, scegliendo, iniziare a inondare la realtà circostante del proprio profumo, del proprio sapore, di tutto ciò che di nutriente possiamo generare.
Immaginate la potenza di questo turbine di energia e immaginate la lotta che una minuscola particella, il nostro Io, deve compiere per tutte le scelte, per le infinite domande e, soprattutto, per pagare tutti i prezzi delle rinunce.
È un meccanismo di accumulo di equilibrio: a ogni scelta raggiunta corrisponde un ammonto enorme di cose rinunciate, ma se la scelta è fatta con sincera consapevolezza, nessun prezzo sarà troppo faticoso da pagare.

La grazia del tempo

La grazia del tempo

AMORE E DEBOLEZZE

Però parlo di battaglia, perché se si affonda nei meccanismi dell’Universo e ne si comprende l’immensità, bisogna tenere ben stretta per mano la paura. Una volta destrutturati, per non disperdersi nell’infinito, si può solo andare avanti e le armi che si deve imparare a usare sono tutto ciò che nella realtà ci è stato insegnato a rifiutare, trascurare, negare.
In questo punto della storia, dove tutto sembra pronto a svoltare verso l’irrimediabilmente duro, verso quella corazza sul cuore che non potrà mai più essere scalfita, entra in gioco il calore.
Solo i più forti sopravvivranno alla battaglia di cui parliamo, ma i più forti sono anche i più saggi: chi arriva a questo punto ha già trovato, nel suo stesso sapore, la sconvolgente delizia delle debolezze della propria anima. Un sapore così indimenticabile da rendere chiaro che sono loro le armi che deve imparare a usare, le debolezze sono ciò che gli avevano insegnato a negare.
Le debolezze di cui parliamo non sono i vizi dell’anima, sono ciò che più ci fa tremare dentro, quello che abbiamo di più prezioso, così nostro da nasconderlo anche a noi stessi. Regina delle debolezze è l’Amore e tutta la sua corte di gentili emozioni. Che la grazia le accompagni mentre le rivestiamo delle armature più eleganti, così che possano davvero esserci accanto, con la loro voce e la loro forza, che sarà sempre più grande della nostra.
I veri guerrieri quindi non soffocano le loro debolezze ma le conoscono tutte, una per una, in modo intimo: questo fa di un guerriero un eterno guerriero, colui che starà sul campo di battaglia dal primo all’ultimo giorno. E lo farà costruendo dolci e accoglienti tane per le sue debolezze, perché sono le amanti e gli amanti più preziosi del mondo e non potenziali punti deboli.

La battaglia del vento

La battaglia del vento

PUNTI DI FORZA

L’unico modo per non ritirarsi dalla battaglia è rintanarsi da essa per brevi, caldi istanti. Raccogliere il corpo martoriato tra braccia forti e delicate, tra pelli profumate e cuscini delicati; proteggere il proprio guscio caldo permettendogli di vivere, è un modo per restare in vita.
Più nutriremo le nostre debolezze con tempo e attenzioni, più diventeranno forti e meno dovremo nasconderle, anche quando saremo in battaglia.
Immaginate quanto potrebbe essere glorioso il risultato, se si riuscisse a combattere con il proprio cuore caldo accanto, spalla e arma, pronto a uccidere e difendere e non punto debole e fragile, che ci può far morire.
Se la nostra debolezza diventa il nostro punto di forza, allora ogni giorno di battaglia sarà un giorno di gloria, anziché una fuga per sopravvivere e aver paura.

Annika Pettini

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