Il ritorno del reale: perché la nostalgia non può più essere una risposta culturale

La distanza dell’arte dalla realtà e la separazione dalla vita, un altrove nel passato con non esiste e non è salvifico, l’opera d’arte che ha dovuto pagare pegno al “tema da svolgere”. Riflessioni su un mondo (anche dell’arte) in continuo mutamento

Ho ricevuto molti commenti sull’ultimo pezzo della rubrica – molti, dico, rispetto al solito, e per essere all’inizio dell’estate. Siamo sempre lì, più o meno: emerge la delusione, la frustrazione, la tristezza anche per ciò che in gran parte è diventata l’arte, e il sistema dell’arte. Certo, fa specie leggerlo su una rivista che si occupa principalmente di arte contemporanea, ma ormai mi sa che anche a questo in molti hanno fatto l’abitudine.

Arte e realtà: delusione e consapevolezza

Una delle ragioni principali della delusione risiede nella consapevolezza, e nella valutazione, della distanza che sembra separare l’arte dalla realtà. E dalla constatazione che gran parte dei tentativi recenti di riconnettere i due livelli – che dovrebbero essere semplicemente uno – pur lodevoli per certi versi, sono di fatto andati a vuoto. Come se avessero mancato il bersaglio, o peggio, come se avessero tentato davvero di colpire un bersaglio quando il gioco era di tutt’altra specie.
Ma io credo che la delusione dipenda anche da un’altra motivazione, che accennavo l’altra volta: nella compressione indotta oggi che schiaccia ogni livello temporale in un (apparentemente) unico ora-ora-ora, si perde molto spesso di vista la ricostruzione dei rapporti di causa-effetto, cioè il fatto che il caos che stiamo attraversando ha alle spalle origini, ragioni e un’intera genealogia.  

La nostalgia tra Anni Ottanta e Anni Zero

Così, mentre la nostalgia degli Anni Novanta e persino degli Anni Zero ha ampiamente sostituito nei bisogni e nei prodotti culturali quella degli Anni Ottanta, dovremmo cominciare a realizzare in maniera piuttosto serena che non esiste alcun altrove a cui aggrapparci – il leggendario e meraviglioso allora delle nostre vite, da contrapporre allo spavento e allo squallore odierno. Eh no. È solo che, allora, eravamo troppo piccoli, stupidi e magari ignoranti per capire davvero ciò che si andava preparando: non tutti, certo, ma parecchi sì, e io di sicuro mi metto nel numero.
Quindi, apprezzare la coerenza di questo presente con quel passato, al di là delle apparenze – considerare cioè il fatto che le storture odierne sono state accuratamente progettate allora, e non sono affatto delle eccezioni, degli incidenti di percorso, delle deviazioni – mi sembra tutto sommato un buon punto di partenza. 

Nostalgia, Mario Martone. Photo Mario Spada
Nostalgia, Mario Martone. Photo Mario Spada

La necessità di un bagno di storicità

Abbandonarsi per l’ennesima volta alla nostalgia non può aiutarci in alcun modo e a questo punto può risultare anche pericoloso, mentre fare un bagno di storicità è certamente salutare. Lo stato dell’arte e il mondo dell’arte hanno il pregio, non da sottovalutare, di aver riflettuto e di continuare a riflettere con straordinaria precisione questo percorso: la spettacolarizzazione fine a se stessa unita alla specializzazione nella logica dell’evento, l’individualismo esasperato, l’ansia euforica e abbastanza dissociata di dichiarare a gran voce “la fine di tutte le ideologie” (meno una, sempre meno una, ovviamente: quella che ha vinto, e che con la vittoria ha conquistato anche il diritto di non farsi più chiamare ‘ideologia’…), l’elitarismo, il culto dell’esclusione mascherato in maniera ironica e crudele da inclusione, il culto del profitto, la riduzione dell’opera a merce e ‘contenuto artistico’, ecc. ecc., sono tutti elementi che noi certamente ritroviamo in tanti altri campi, ma che comunque compongono insieme un ritratto abbastanza fedele di un’intera epoca. 

Il ritorno del reale

Era quindi ovvio che, date queste premesse, il ‘ritorno del reale’, per dirla con Hal Foster, nella sua fattispecie più brutale e spiazzante, dovesse cogliere del tutto impreparato un mondo artistico e culturale che ha coltivato con molta attenzione, e amorevole cura, la propria separazione dalla vita. Il famoso ‘tema da trattare’, infatti, a cui ogni opera che si rispetti dell’ultimo ventennio ha dovuto pagare pegno, scegliendo il suddetto tema all’interno di un menu ampio ma non troppo, non è in fondo altro che questo: separare la riflessione, la ricerca, il pensiero – l’opera, in una parola – dall’esistenza comune; perché se la realtà è un tema da svolgere, allora l’opera si accontenta di stare a guardare, ma non partecipa più al tumulto. Rinuncia cioè ad essere parte di un pensiero collettivo in grado di trasformare, accettando di stare al suo posto – che è sempre da qualche altra parte, lontano da dove accadono, e da dove vengono fatte accadere, le cose. 

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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