L’arte funziona quando sfugge dalle regole e riesce a pensare e immaginare il mondo
Se tutti gli attori del sistema dell’arte sono incastrati dentro un ruolo e una funzione, diventa sempre più difficile avere opere d’arte libere e una critica che si discosti dalla versione ufficiale del comunicato stampa

Uno dei tic più singolari, e a modo suo tragicomico, del sistema dell’arte odierno è la sua totale incapacità di uscire dai binari della propria auto-interpretazione.
Quasi tutti gli attori sono talmente incastrati dentro il proprio ruolo, e il modo in cui questo ruolo si addentella con gli altri ruoli e funzioni, ‘gira’ con essi, che non è praticamente consentito fare un ragionamento, ma solo ripetere mantra aziendalisti. Così, basta anche solo pronunciare la parola oligarchia – qualcosa che è peraltro così ovvio da essere sotto gli occhi di tutti ogni giorno e a ogni livello – che subito si assiste a grandi salti sulle sedie, più o meno metaforici.
La relazione con la critica d’arte
Il mondo dell’arte si è talmente irrigidito da essere giunto di fatto a espellere non solo la critica e la critica dell’arte, ma anche ogni discorso critico su se stesso, ogni discorso cioè che si discosti dai comunicati stampa, dalle versioni ufficiali proiettate verso l’esterno, dall’interpretazione cioè tutta interna che esso si auto-impone. Dunque, qualsiasi sguardo che venda da un altro punto, da un’altra posizione o angolazione, viene automaticamente percepito come una minaccia. (Viene da chiedersi a questo punto come sia possibile anche solo immaginare che possano emergere opere brillanti all’interno di un regime di controllo così esasperato.)
E perché avviene questo? Perché, a differenza forse delle altre oligarchie che in questo momento storico hanno preso la scena e la occupano con baldanza e prepotenza, qui nel recinto si vuole ancora salvaguardare le apparenze. Si desidera il più possibile dimostrare di essere inclusivi – misteriosamente, va detto, dal momento che questo desiderio viene espresso da uno dei sistemi in assoluto più esclusivi che esistano.
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Inclusione ed esclusione sociale nel mondo dell’arte
L’esclusività, l’esclusione funzionano all’interno di precise dinamiche di potere, economiche, relazionali, e regolano i rapporti (pressoché nulli) di questo interno con l’esterno – la realtà. Solo che l’arte, per sua precisa natura – per delle caratteristiche e dimensioni strutturali, per così dire – non può proprio comportarsi come le altre oligarchie politiche, industriali, comunicative – cioè arrivare al punto di fregarsene altamente di tutto quanto, di tutto il resto (tutto quanto e tutto il resto essendo: la cultura, la storia dell’arte, la critica, il ruolo dell’opera, i meccanismi di validazione, ecc. ecc.) e di dire, come il Marchese del Grillo, “io sò io, e voi non siete un c…”.
Non può (ancora), perché appunto l’arte – in attesa magari di essere definitivamente sostituita da una materia più docile, più malleabile, più efficiente, come già da parecchi punti di vista sembra stia accadendo… – conserva qualche rimasuglio e qualche scoria di imprevedibilità, di rozzezza, di maleducazione, di ambiguità. Di resistenza.

Opere d’arte e resistenza
Questo quid di resistenza consiste proprio nel particolare ‘tono’ che a volte l’arte riesce ad assumere: l’essere cioè infinitamente sfuggente, faticosa e difficoltosa da sistemare, da mettere al suo posto; l’essere insopportabilmente inefficiente, il non servire a uno scopo specifico (comunicativo, politico, mercantile); il sapersi trovare in un posto nuovo, insospettabile, che non è la casella dove gli altri magari volevano infilarla; il non rispettare quindi le gerarchie e gli ordini di scuderia.
L’arte, dunque, in special modo quella più raffinata e sofisticata, sa essere molto stupida. “Stupida” secondo gli standard odierni, che non segue cioè le indicazioni che le converrebbero maggiormente da un punto di vista materiale. Voglio dire che l’arte migliore, oggi (ma anche ieri) è probabilmente quella che invece di parlare la lingua più comune e diffusa, quella del successo e che tendenzialmente garantisce con buona approssimazione il successo, si sforza ogni giorno di costruire il proprio linguaggio – sbagliato, sbilenco, difettoso, sbagliato, a tratti incomprensibile – per il semplice motivo che non saprebbe parlarne un altro – soprattutto quell’altro.
Il linguaggio dell’arte contemporanea
Lo sforzo, dunque, dovrebbe consistere nel cominciare a non pretendere che anche l’arte, come tutti gli altri territori dell’attività umana, si adegui a quell’altro linguaggio (materialista, aziendalista, efficiente), ma nel coltivare quello che le appartiene e che in fondo le è sempre appartenuto. Quel linguaggio è unico, è solo dell’arte – ed è anche il solo in grado di costruire altri modi di pensare, di leggere il mondo, e anche di immaginarlo.
Christian Caliandro
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Christian Caliandro
Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…