La disillusione generale della cultura e il silenzio intorno ai drammi della storia

Perché arte e cultura non riescono a costruire una azione concreta intorno alla violenza della storia e alla guerra a Gaza? C’è piuttosto, per dirla con Colamedici, una “Grande Stanchezza”…

Le forniture a Gaza sono state riavviate solo affinché il mondo non ci fermi e non ci accusi di crimini di guerra. I cittadini di Gaza riceveranno una pita e un piatto di cibo, e questo è tutto: quanto basta per permettere al mondo di continuare a fornirci protezione internazionale. Nel frattempo, stiamo annientando tutto ciò che rimane nella Striscia. Stiamo smantellando Gaza, lasciandola in rovina con una distruzione senza precedenti e il mondo non ci ha ancora fermato” (Bezalel Smotrich, Ministro delle Finanze israeliano, 19 maggio 2025).

Il dibattito culturale intorno a Gaza

Sì, potrei mettermi a scrivere ancora, di nuovo, del sistema dell’arte e delle sue simpatiche storture, del ruolo dell’opera contemporanea e di come essa si sta trasformando radicalmente, delle incomprensioni e delle forzature tragicomiche all’interno del mondo artistico… ma che senso avrebbe? Sul serio.
Ciò che sta accadendo attorno a noi, di fronte a noi, è più che agghiacciante: è annichilente. E annichilisce la nostra condizione di totale immobilità. Come nazioni, come governi, e anche come popoli, fino a questo momento almeno abbiamo dimostrato un’incapacità pressoché completa di intervenire direttamente. Il massimo che riusciamo a fare a livello ufficiale è “mostrare disappunto”; la discussione sembra concentrarsi, ogni giorno, sul termine adatto e opportuno a descrivere quello che è, in ogni caso e comunque, abominevole. Se sia cioè più giusta una parola rispetto ad un’altra… Sul serio? Sul serio siamo ridotti a questo, a non guardare e a concentrarci su una questione concettual-terminologica? Sul serio stiamo pensando e dicendo che è questo il lato importante, centrale, fondamentale?

Le manifestazioni di dissenso e il ruolo delle opere d’arte

L’aspetto forse per noi più terrorizzante è, appunto, il silenzio, che non viene scalfito minimamente dai post indignati e dalle immagini crudeli. Il silenzio, l’impotenza, la possibilità (e la volontà) di continuare tutto, tutto – comprese l’arte e la cultura – come se nulla fosse. Di proseguire nelle rispettive pratiche ad attività come se nulla stesse accadendo. Al massimo, se una manifestazione di protesta interrompe per un momento una presentazione, un evento, essa diventa subito un’interferenza, che viene subito riassorbita, e istantaneamente non fa altro che decorare la nostra paralisi.
Invece, io credo che questa scissione, questa gigantesca rimozione in atto metta in discussione la validità e la possibilità delle opere d’arte in questo momento, e del circuito in cui esse sono inserite, in cui si muovono, vengono recepite e distribuite.
Il silenzio condiviso (che vuol dire “complicità”) abolisce e incenerisce di fatto tutti i valori su cui a parole ci poggiamo, poggiamo i nostri discorsi e le nostre riflessioni – e le opere, naturalmente. Quegli stessi valori, cioè, che fanno bella mostra di sé nelle didascalie che accompagnano queste opere.

Gabriele Micalizzi, Striscia di Gaza, Palestina
Gabriele Micalizzi, Striscia di Gaza, Palestina

La disillusione generale della cultura

Voglio dire, un’attività intellettuale collettiva che accetti passivamente questo stato di cose, che non sappia andare oltre l’espressione contrita e la solidarietà pelosa e l’alzata di spalle, non serve davvero a nessuno (se mai è servita).
Questo drammatico sganciamento tra realtà dei fatti, dura, innegabile, e reiterazione di formule vuote, senza più alcun legame tra l’idea e l’azione, tra i concetti e le scelte, segnala la “Grande Stanchezza”, una forma di esaurimento collettivo e di disillusione generale della cultura di cui per esempio ha parlato, recentemente, anche Andrea Colamedici.
Se dunque con tutte le opere e i discorsi settimanalmente prodotti ed esibiti non siamo in grado di pretendere e costruire un’azione concreta per interrompere immediatamente questo scempio, allora mi chiedo in cosa esattamente abbiamo impiegato il nostro tempo negli ultimi decenni, e che diavolo abbiamo lavorato a fare.

L’irrilevanza del mondo della cultura

Siamo irrilevanti e contenti, soddisfatti di esserlo? È così? Oppure – e non so onestamente che cosa sia peggio – siamo divenuti talmente indifferenti, da convincerci che tutto ciò che ci accade attorno e di fronte non ci riguardi in alcun modo, non tocchi la nostra bolla di relativo benessere e di miseri privilegi, e quindi possiamo tranquillamente continuare a vivere per conto nostro, a occuparci delle nostre faccende, e ignorare il resto? Perché anche dei bambini molto piccoli capiscono che non funziona in questo modo: capiscono che la scelta del silenzio – di rimanere a vedere come va a finire – è tragica, ha delle conseguenze molto pesanti e anche molto dirette su di noi, su chi siamo e su chi saremo, sulla nostra situazione e condizione. E non porta a nulla, nulla di buono.

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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