Se l’arte politica corrisponde alla tentazione di cambiare il finale della storia

L’arte dell’ultimo decennio si configura come una fuga dal presente e dal futuro e una evasione dal passato. Con un approccio però che affonda le radici almeno a partire dagli Anni Ottanta. E negli altri settori della cultura il registro non è differente…

Il saggio di Dean Kissick pubblicato alla fine del 2024 su Harper’s Magazine, The Painted Protest: How Politics Destroyed Contemporary Art, affronta ciò che all’interno di questa rubrica ho più volte definito “contenutismo”: la tendenza cioè, largamente diffusa nell’arte in particolare dell’ultimo decennio, di concentrarsi sul proprio ‘contenuto’ – vale a dire la didascalia dell’opera stessa – che quasi sempre coincide con una storia/narrazione/vicenda extra-opera, e quindi extra-artistica (per esempio, il trauma individuale e collettivo vissuto dall’artista, e di cui l’opera si fa testimonianza attraverso l’artista).

Arte contemporanea e libertà

Tutte queste capriole hanno naturalmente avuto necessità di una poderosa semplificazione a livello di linguaggio: più il messaggio-contenuto deve risultare chiaro, leggibile, trasmissibile, più il linguaggio dell’opera deve ripiegarsi in una dimensione iper-tradizionale e para-folkloristica (artigianato in ceramica, legno, tessuto, ecc.). Si assiste dunque a un fenomeno solo apparentemente paradossale, la fusione di istanze che si presentano come radicali e di forme conservatrici; questo discorso vale naturalmente anche per molta pittura contemporanea.

Unravel - The Power and Politics of Textiles in Art. Installation view Barbican Art Gallery. Photo © Jo Underhill Barbican Art Gallery
Unravel – The Power and Politics of Textiles in Art. Installation view Barbican Art Gallery. Photo © Jo Underhill Barbican Art Gallery

Arte e istanze sociali

Per Kissick, questo processo è iniziato nel 2016, quando ‘la fede nell’ordine liberale ha cominciato a andare in pezzi’, mentre il periodo immediatamente precedente è caratterizzato dalla sperimentazione selvaggia e dalla libertà quasi totale degli artisti: “mentre le preoccupazioni riguardo l’identità, le istanze sociali e le ingiustizie si intensificavano, si diffondeva l’idea che il mondo dell’arte fosse diventato frivolo e decadente, e che la proliferazione di forme e approcci dei decenni precedenti avesse raggiunto il suo limite. L’arte, che era stata fino a quel momento un modo di produrre polifonia discorsiva, si allineò così con i discorsi dominanti sulla giustizia sociale, attraverso lavori che si presentavano come protesta, contestualizzati in accordo alle teorie postcoloniali o queer, e concentrati sull’identità”.

Anni Novanta e Anni Dieci, shock o avanguardia?

Sicuramente questa riflessione è molto interessante e ricca di spunti, ma devo dire che non mi convince molto il quadro idilliaco dipinto riguardo all’arte degli Anni Novanta, degli Anni Zero e (in parte) Dieci, un periodo considerato di “avanguardia”: certamente, l’arte della globalizzazione si basava parecchio sulla provocazione e sullo shock, ma personalmente vedo invece una grande continuità – non nell’aspetto esterno, magari, quanto piuttosto nel funzionamento interno dell’opera – tra quelle premesse e gli anni recenti. 
Intanto, l’insistenza sulla storia identitaria nell’arte visiva non nasce certo con l’ultima ondata, ma affonda le radici almeno tra Anni Ottanta e Novanta (epoca in cui si affacciano i primi riferimenti al pensiero magico, tanto per dirne una); inoltre, il ripiegamento di forme e linguaggio è un’altra forma di nostalgia, vera e propria architrave da almeno cinquant’anni della cultura contemporanea – se intesa come fuga dal presente e dal futuro ed evasione in un passato largamente mitizzato e idealizzato.
Infine – e forse questo è l’aspetto più importante – basta come sempre guardare a ciò che accade parallelamente in altri territori, soprattutto nella letteratura. Gianluigi Simonetti (il quale da tempo si occupa in maniera acuta e approfondita di questo argomento) una settimana fa ha pubblicato su “Snaporaz” un intervento dal titolo Partigiane queer. Cosa succede nel romanzo storico che, attraverso alcuni esempi di racconto neostorico (I giorni di vetro di Nicoletta Verna, La Malnata e La Malacarnedi Beatrice Salvioni e Acqua e tera di Dario Franceschini), affronta il peculiare montaggio che sta avvenendo nel mondo editoriale italiano tra periodo totalitario, protagonista femminile partigiana e antifascista e istanze-rivendicazioni contemporanee.

Il romanzo storico e il contenutismo

Interessanti sono le conclusioni sulle modalità con cui questo particolare mix viene ottenuto: “Basta quindi col materialismo, e basta anche col realismo: nel contenitore solo apparentemente veristico di queste scritture la nuova sinistra riscatta ideologicamente i ritardi della vecchia e depone il seme di un contenuto utopico aggiornato, esattamente come il novel cede il passo al romance, allo straordinario, a volte al meraviglioso”.Il nostro presente interviene dunque a correggere, in qualche modo, le pecche di quel passato; ma quel passato, la lotta tra fascismo e antifascismo, a sua volta vivifica e compensa le storture e le sconfitte del presente: “Il romanzo storico come macchina del tempo nelle mani di un ceto di letterati progressisti che esistenzialmente si sente in credito con la politica (e a volte perfino professionalmente in credito); alla ricerca di modelli e di risarcimenti, di conferme e di rassicurazioni (…) Oggi come ieri l’ombra del presente si allunga sul passato, ma stavolta la speranza inconfessabile è che il passato aiuti il presente a cambiare il finale, almeno nella fiction” (ibidem).

L’aspirazione a cambiare il finale nella fiction

Questa aspirazione impossibile a ‘cambiare il finale, almeno nella fiction’ è molto probabilmente il desiderio inespresso che sottende molta arte politica recente – ed è anche uno dei motivi principali per cui è stato così facile e immediato metterla nel sacco dalla parte del sistema dell’arte, trasformandola in un’altra nicchia da cui estrarre prontamente valore economico.

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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