L’arte contemporanea è diventata una forma di intrattenimento soft?
L’arte si è abituata volontariamente, decennio dopo decennio, a ridursi a una specie di giochino sofisticato, colto, il più possibile aggiornato ai discorsi del momento e alle parole d’ordine. Ma quando è accaduto tutto questo?

Questa situazione – vogliamo dire geopolitica, economica, sociale, ma anche solo e semplicemente umana – che sembra cambiare di giorno in giorno, di ora in ora, ovviamente esercita i suoi riflessi importanti anche sull’arte contemporanea.
Arte contemporanea e geopolitica
La quale (ma forse questa è solo un’impressione mia, errata, distorta, quello che volete) a sua volta pare invecchiare alla velocità della luce. Che cos’è che la fa invecchiare in maniera così rapida e profonda, esattamente? Il confronto con la realtà, innanzitutto: una realtà così brutale, così cruda, così anche demenziale a tratti. Di fronte alla quale l’arte ripete i suoi stanchi riti, le sue formule trite, sperando forse che basti addormentarsi o semplicemente chiudere gli occhi perché tutto scompaia come un brutto sogno… Inutile dire che non è così: anzi, come su queste pagine ho ripetuto più volte, il silenzio dell’arte e della cultura non fa che intensificare e amplificare le brutture dell’esistente. Una realtà scadente genera arte scadente, ma a sua volta un’arte scadente contribuisce alla costruzione di una realtà altrettanto scadente e – come vediamo in tutto il suo terribile splendore visivo e linguistico – generalmente pericolosa.
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Arte e archeologia
L’arte invecchia anche a causa della sua ormai inveterata vena archeologica. Dopo un quarantennio abbondante in cui, infatti, gli stili del passato più o meno recente sono materiali e frammenti di un repertorio in cui gli artisti pescano a piacimento, montando gli elementi in una pratica guida da un’attitudine nella migliore delle ipotesi nostalgica, è chiaro che l’arte diventa una forma di intrattenimento soft, si riduce a decorazione raffinata. Cioè l’arte volontariamente, decennio dopo decennio, si è abituata a ridursi – per essere accettata – a una specie di giochino sofisticato, colto, il più possibile aggiornato ai discorsi del momento, alle parole d’ordine, al gergo, ecc. ecc.
Una volta divenuta una faccenda del genere, è chiaro che essa è molto più esposta ai rovesci del tempo storico, per così dire, ai mutamenti epocali: quello a cui stiamo assistendo, abbastanza impotenti (e parte di questa impotenza, credo, è generata proprio dall’incapacità diffusa di leggere l’attuale alla luce delle sue cause, dello scenario da cui proviene, della sequenza a cui appartiene: per cui sembra tutto una caotica sovrapposizione di ora-ora-ora, mentre è più comprensibilmente: siccome prima era-allora ora è…), è con ogni probabilità la fine di questo quarantennio che possiamo definire ‘postmoderno’ in mancanza ancora di un aggettivo migliore in sostituzione.

Il quarantennio postmoderno e la società dello spettacolo
Il quarantennio dominato dallo spettacolo come forma suprema di finzione e illusione che si sostituisce alla realtà, della simulazione cioè che diventa la realtà (per cui le news, gli eventi quotidiani che attraversano la nostra esperienza mediata, sembrano un programma sceneggiato, neanche particolarmente bene: e lo sembrano perché nel loro insieme in effetti sono un programma sceneggiato, perché gli eventi-fatti vengono creati appositamente, e perché la loro rappresentazione precede in molti casi, in forma solo apparentemente paradossale, la loro presentazione.
In un contesto del genere, perché dunque l’arte appare così debole e prematuramente invecchiata, tanto meno contemporanea quanto più si dichiara retoricamente contemporanea? Perché – ma anche qui, è solo un’ipotesi – ciò che le manca in genere è proprio il nucleo di contenuto e di senso: la volontà di essere alternativa al mondo e all’esistenza, di sognare e risognare l’esistente per rifarlo – di usare cioè l’immaginario (il dispositivo più velleitario e più potente allo stesso tempo) per modellare la realtà.
Il ruolo della globalizzazione nell’invecchiamento dell’arte
E allora si può discutere all’infinito di quando e del perché sia avvenuta questa abdicazione (gli Anni Settanta? Gli Anni Ottanta?), del ruolo che ha avuto per esempio la globalizzazione in questa rinuncia, di quanto anche la riduzione dell’arte a merce-prodotto-brand abbia portato a una semplificazione concettuale dell’arte stessa (nessun’altra dimensione è ammessa, al di fuori della valorizzazione monetaria). Però poi questo momento storico, un turning point se mai ce n’è stato uno, impone un cambio di passo: la natura degli eventi che stiamo e che ci stanno attraversando chiede all’arte di ripensarsi, e di ripensare il proprio rapporto con l’ambiente in cui esiste. Altrimenti, l’invecchiamento precoce è destinato a proseguire.
Christian Caliandro
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Christian Caliandro
Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…