Nel presente della guerra l’arte contemporanea ha il compito di ripristinare i valori della vita

Non può esistere un’arte che metta al centro i valori dell’individualismo, dell’egoismo, della predazione, dell’estrazione, della violenza sistemica e istituzionalizzata, della separazione

Il cinismo – pervasivo, capillare, generalizzato – è un ostacolo enorme all’azione, e all’intervento politico (anche attraverso l’arte e la cultura). Non dimentichiamo che ci sono oggi, in tutto l’Occidente, almeno due o tre generazioni allevate nel cinismo. 
Il messaggio, messo a punto e inoculato a partire dagli Anni Ottanta e Novanta, induce sostanzialmente al disimpegno, e recita più o meno così: “che cosa manifesti, che cosa protesti a fare?… ogni opposizione è vana, naif, da ingenui… significa solo che non hai capito come va il mondo, oppure che ti ostini ad applicare schemi e comportamenti vecchi di decenni…”.

L’impegno politico nemico del glamour

Per essere cool, quindi, e accettati, nel periodo storico appena trascorso e concluso (si spera), bisognava evitare accuratamente ogni forma di impegno politico (del resto, l’hanno fatto con ogni evidenza anche i politici di professione) – oppure, in modo scaltro, indirizzarlo verso temi ‘vicini’, per così dire: i diritti umani, la fame nel mondo, l’ecologia, la lotta alle discriminazioni razziali e di genere, ecc. ecc. Mai e poi mai affrontare le questioni fondamentali legate allo sfruttamento, all’oppressione, all’estrazione e alla predazione – se non all’interno di nicchie largamente minoritarie e, in pratica, ininfluenti nel dibattito pubblico. 

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Edgar Allan Poe

Da Francesca Albanese a Edgar Allan Poe

Soprattutto, mai e poi mai concentrarsi sulla natura squisitamente “economica” di questi problemi: cioè, banalmente, sul fatto che la radice di tutti questi disequilibri e sperequazioni e ingiustizie risiede nel capitalismo contemporaneo e nella sua natura (intrinsecamente mortifera). E questi che abbiamo sotto gli occhi sono null’altro che i risultati ultimi, terminali di un approccio del genere – di una cultura del genere. Come ha sottolineato a più riprese Francesca Albanese, Relatrice Speciale ONU per i diritti umani sui territori occupati da Israele (A/HRC/59/23), nel suo rapporto Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio pubblicato a fine giugno, l’aspetto più nascosto e dunque più evidente e importante (come la lettera rubata di Edgar Allan Poe) consiste nella relazione tra i vari livelli: economia, politica, industria, tecnologia, religione, comunicazione, ecosistema mediatico e informativo, legislazione, ricerca, cultura. E arte. Le dimensioni sono strettamente connesse tra di loro, e non scindibili, proprio perché si influenzano e si determinano a vicenda. E questo non riguarda affatto solo la situazione in Medioriente, come ci piace pensare: riguarda tutto il mondo, riguarda tutti noi.

Il ruolo dell’arte contemporanea nello scenario presente

Il ruolo dell’arte, soprattutto in questo momento storico così difficile e turbolento, è farci scavare con il pensiero nelle radici, nelle profondità delle motivazioni dietro tutto ciò che sta accadendo. 

Inutile difendersi, se la mentalità è quella dell’aggressione.

La vita quotidiana è la vita: lo stare insieme, il co-esistere, il con-vivere e il con-pensare (Donna Haraway). Solo che ci siamo abituati, o ci hanno abituati (fa lo stesso) a credere di poter vivere da soli, di poter fare da soli, di escludere sistematicamente l’altro e i suoi bisogni, i suoi desideri, i suoi ideali. La società e la comunità sono invece il coabitare, e questo ‘stare-insieme’ a sua volta si fonda sul rispetto e sull’ascolto reciproco, sulla solidarietà, sullo scambio, sulla condivisione – non sulla prevaricazione, sull’oppressione e sulla persecuzione. Una società basata sul dominio non è neanche una società. Tutto questo ovviamente viene oggi deriso, sminuito… Eppure, a quanto pare ci piace molto dimenticare come questi valori furono reimparati a caro prezzo, e applicati in maniera certamente imperfetta e parziale ma applicati, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. 

I valori del secondo dopoguerra

Allora, l’arte e la cultura hanno questo compito, indubbiamente faticoso e improbo: ricostruire queste fondamenta, praticamente da zero. 
Non può esistere (e infatti non esiste) un’arte che metta al centro i valori dell’individualismo, dell’egoismo, della predazione, dell’estrazione, della violenza sistemica e istituzionalizzata, sia pure in giacca e cravatta, e della separazione. Al massimo, essa può aspirare ad esserne una simulazione: scintillante, lussuosa, spettacolare quanto si vuole, ma niente più che una simulazione.  

L’arte contemporanea e la vita umana

L’arte autentica è quella che difende la vita umana, la ragione, la logica e il diritto. E lo fa senza retorica, con ogni suo atomo, per il semplice motivo che non può e non potrebbe fare altrimenti. È programmata per questo. Come pensiero, come opera e come azione è strutturata per appartenere completamente alla vita umana e non alla morte. L’arte autentica quella che ha ragione non in base al fatto che è più forte o più ricca o più ammanicata, ma perché è dalla parte della ragione – cioè, ancora una volta, della vita.  L’arte che avvizzisce invece nell’egoismo e nell’indifferenza non è nient’altro che una porcheria – molto cara, peraltro.

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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