Pittura lingua viva. Intervista a Nicola Samorì

Viva, morta o X? 101esimo appuntamento con la rubrica dedicata alla pittura contemporanea in tutte le sue declinazioni e sfaccettature attraverso le voci di alcuni dei più interessanti artisti italiani: dalla pittura “espansa” alla pittura pittura, dalle contaminazioni e slittamenti disciplinari al dialogo con il fumetto e l’illustrazione fino alla rilettura e stravolgimento di tecniche e iconografie della tradizione.

Pittore e scultore, Nicola Samorì (Forlì, 1977) si è diplomato nel 2004 all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Vive a Bagnacavallo, in provincia di Ravenna. Tra le sue mostre personali e collettive: Baroque, LARMgalleri, Copenhagen, 2011; Scoriada, Studio Raffaelli, Trento, 2011; Imaginifragus, Christian Ehrentraut Gallery, Berlino, 2011; Fegefeuer, Kunsthalle, Tübingen, 2012; Die Verwinding, Galleria Emilio Mazzoli, Modena, 2013; Guarigione dell’Ossesso, Christian Ehrentraut Gallery, Berlino, 2013.
Nel 2014 si sono succedute mostre personali e collettive allo Schauwerk di Sindelfingen, al MAC di Lissone, alla Kunsthalle di Kiel e la mostra La pittura è cosa mortale negli interrati palladiani di Palazzo Chiericati a Vicenza. Nel 2015 è selezionato per partecipare alla 56esima Biennale di Venezia, nel progetto espositivo Codice Italia, curato da Vincenzo Trione. Sempre nel 2015 partecipa a Gare du Nord presso il Teatro Anatomico di Amsterdam e a Gare du Sud nel Teatro Anatomico dell’Archiginnasio di Bologna e il TRAFO Centre for Contemporary Art di Szczecin gli dedica una vasta monografica dal titolo Religo.
Del 2016 i progetti personali alla Galleria Monitor di Roma e Double Page ‒ of Frogs and Flowers, primo solo show presso la sede di Lipsia della Galerie EIGEN+ART, cui segue la partecipazione alla 16esima Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma e a Gare de l’Est al Teatro Anatomico di Padova. Nel 2017 partecipa alla collettiva Art in Art presso il MOCAK di Kraków e hanno luogo due monografiche al Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro e alla Neue Galerie di Gladbeck. Fra il 2017 e il 2018 prende parte alla mostra The New Frontiers of Painting presso la Fondazione Stelline di Milano, dove ritorna nella primavera del 2019 in occasione della mostra The Last Supper after Leonardo. Del 2018 la mostra Malafonte alla Galerie EIGEN+ART di Berlino. Di fine 2019 la personale Cannibal Trail, presso il Yu-Hsiu Museum of Art, Cantou (Taiwan), la prima in Asia; a inizio 2020 allestisce a Napoli, presso la Fondazione Made in Cloister e il Museo Archeologico, il progetto Black Square e a settembre, con la mostra personale In abisso, torna nella sede berlinese della Galerie EIGEN+ART. A novembre 2020 apre una personale al Museo MART di Rovereto dedicata alla figura di Santa Lucia, una delle immagini-guida degli ultimi anni del suo lavoro. Fino al 25 luglio la sua prima mostra antologica è allestita a Palazzo Fava, a Bologna.

Nicola Samorì. Photo Michela Ravaglia

Nicola Samorì. Photo Michela Ravaglia

INTERVISTA A NICOLA SAMORÌ

Come ti sei avvicinato alla pittura?
È stata lei ad avvicinarsi a me, senza che me ne accorgessi. Dalla pittura si viene trovati, anche se dalla modernità in poi si è allungato l’elenco degli ostinati di genio. Con Cézanne, infatti, è iniziata una storia magistrale e feconda del desiderio non corrisposto.

Chi sono gli artisti e i maestri cui guardi?
La storia dell’arte è una miniera che scavo e saccheggio in ogni direzione. Mi interessano gli artisti “impossibili”, quelli che non riesco a decifrare del tutto. Ma solo due autori sono diventati ossessioni: José de Ribera e Mattia Moreni. Non sono i più grandi, ma si sono rivelati i più nutrienti per me.

Quanto la storia, la tradizione della pittura incidono sulle tue opere o nella scelta dei soggetti?
Credo che la pittura tutta, non solo la mia, parli sempre di pittura. Pensa e ripensa sé stessa.
Il reale è solo una boccata d’aria per non soffocare negli avvitamenti della maniera.

La mostra Sfregi, a cura di Alberto Zanchetta e Chiara Stefani, a Palazzo Fava a Bologna mette in scena ottanta tuoi lavori che spaziano dagli esordi a quelli più recenti, dalle sculture ai dipinti. Come è articolato il percorso? E come è avvenuta la scelta di porre in dialogo determinate opere con quelle antiche già presenti nel Palazzo? Penso, ad esempio, al confronto con maestri quali i Carracci.
Ho composto tredici capitoli che convocano episodi rilevanti del mio lavoro apparsi negli ultimi diciassette anni, dal 2004 a oggi. Il confronto con il preesistente è stato inevitabile perché a Palazzo Fava è in scena un assedio costante (centinaia di metri di fregi dipinti dai grandi della scuola bolognese del Cinquecento) a cui le immagini che vi transitano – non solo le mie – devono reagire. Lo spazio è stato letto con cura, cercando indizi e provocazioni, ma anche premonizioni, a partire dal segno beneaugurante che ha dato una svolta alla mostra: il mio dipinto più grande, Malafonte, di 515 x 380 centimetri, corrisponde esattamente alla larghezza della Sala delle grottesche, nella quale avevo pensato di inserirlo ancor prima di aver effettuato le misurazioni.

Nicola Samorì. Sfregi. Exhibition view at Palazzo Fava, Genus Bononiae. Musei nella Città, Bologna 2021. Photo Paolo Righi

Nicola Samorì. Sfregi. Exhibition view at Palazzo Fava, Genus Bononiae. Musei nella Città, Bologna 2021. Photo Paolo Righi

LE IMMAGINI SECONDO SAMORÌ

Il titolo della personale è emblematico. Che rapporto hai con l’immagine? Arrivi a sfregiarla, scarnificarla, lacerarla, eroderla… Alludi anche a un “piacere talvolta perverso” nel farlo. E Alberto Zanchetta parla di una tua vera e propria “lotta contro le immagini” …
Sfregi introduce e cerca di capovolgere il luogo comune che vede nel mio lavoro un atto vandalico. La mia postura iconoclasta è solo un gesto appassionato di traduzione, perché la maggior parte delle immagini che ci sono state trasmesse per ritrovare sangue hanno bisogno di una catastrofe. Solo allora abbandonano la nicchia, mentale o architettonica, nella quale sono state de-poste. Cerco di mettere ansia alla pittura e per farlo ho bisogno di una immagine del corpo, di un simulacro da attaccare. Costruito l’idolo – intero oppure parziale –, inizio a manometterne l’integrità con una serie di dispositivi pittorici, in una oscillazione continua fra il sadico e il masochistico, una lotta che lascia tracce. È la forma della ferita che mi interessa, non solo l’infliggerla.

Ma al contempo collezioni e stratifichi tali immagini. Cosa rappresenta la Wunderkammer per te?
È un termine ricercato per non dire Sepolti in casa, come il titolo dell’omonimo docu-reality.
Il mio studio credo ne abbia tutti i requisiti e anche i miei dipinti, persino quelli dove non troviamo altro che un indizio di figura, sono il risultato di ripetute sepolture. Dipingere è seppellire.

Le tue opere parlano anche di assenze, difetti, imperfezioni…
Mostrano rotture dell’integrità. Il fastidio di una superficie intonsa che si macchia e di una forma fragile che si spezza. Certe mie immagini non sono la celebrazione della rovina: sono rovina. Nel Rinascimento una vena nera disinnescava una scultura. Nei miei occhi la guida.

Figurazione e astrazione: dove finisce una e inizia l’altra?
Figurazione nel mio lavoro è la cura che accompagna il modellato, mentre astrazione è la collera che lo destabilizza portando in superficie il dentro dell’immagine. Più in generale direi che è una questione di presa di distanza dell’occhio dall’opera.

Dicevamo prima che ti confronti sia con la pittura sia con la scultura. La pittura è un fine o un mezzo per te?
Non me lo sono mai chiesto. Mezzo e fine in questo caso coincidono, perché se è vero che utilizzo pittura e scultura per fabbricare immagini, è altrettanto vero che con altri mezzi non avrei voglia di farlo.

Nicola Samorì. Sfregi. Exhibition view at Palazzo Fava, Genus Bononiae. Musei nella Città, Bologna 2021. Photo Paolo Righi

Nicola Samorì. Sfregi. Exhibition view at Palazzo Fava, Genus Bononiae. Musei nella Città, Bologna 2021. Photo Paolo Righi

DISEGNO, MEMORIA E TECNICA

Il disegno che ruolo svolge nella tua pratica?
È il momento meraviglioso nel quale non mi sento obbligato a guardare qualcosa. Ho una spiccata attitudine mimetica e senza la verifica del modello la mia pittura e la mia scultura sono incerte. Viceversa il disegno perde mordente quando cerco con gli occhi una forma da replicare.

In generale, quanto conta il dato autobiografico?
Non saprei, credo che inevitabilmente qualcosa debba pur contare. Sono convinto che una mia fisima dipinta bene abbia più futuro di una pandemia fotografata male.

La memoria e il ricordo quale ruolo svolgono?
Mi perseguitano come vizi e nel corso degli anni hanno dato forma alla mia personalità, un compendio di abitudini e ricorrenze che potremmo chiamare stile.

Nel riproporre un corpus di lavori che abbraccia quasi vent’anni di carriera, ti sei posto la questione di come si sia trasformata la tua opera nel tempo?
Certo. Non è accaduto nulla, proprio nulla di significativo. L’ho capito girovagando per le stanze della mostra. Poiché in questo progetto non ho una produzione recente da difendere e quasi tutto appartiene al passato, riesco a scrutare con un certo distacco il mio lavoro e posso serenamente dire che alcune prove erano più ardimentose quindici anni fa e che la parte più discussa del mio lavoro (il segmento, per intenderci, “citazionista”) non è forse nemmeno il più rilevante.

La tecnica conta?
Ma certo, è fondamentale. Solo chi non la padroneggia è costretto a coprire la propria vergogna di continuo. Come dire che la bellezza non conta, che l’intonazione non conta. Ho la erre moscia e qualcuno la trova pure sensuale, ma udire la voce di Carmelo Bene è altra cosa, poche storie.

Mentre il colore che ruolo ha?
Ne parlai in una intervista con Alberto Zanchetta alcuni anni fa e, da allora, il mio pensiero non è cambiato, perciò cito me stesso: “Poche volte assistiamo alla pittura come fenomeno spontaneo, in Velázquez per esempio, o in Vermeer. Questi uomini si nutrivano di pigmenti e hanno inventato colori nuovi; sapevano disegnare con il colore. Agli altri, me compreso, non resta che fingersi camaleonti e morire intossicati”.

E luce vs oscurità?
Cerco sempre di fare dipinti luminosi, ma ogni volta cado nell’ombra, forse perché il buio è la condizione ultima delle cose, mentre la luce è solo un episodio temporaneo.

E la materia, invece?
La materia è l’ostacolo necessario per rallentare la fretta del pensiero e renderlo solido.

Nicola Samorì. Sfregi. Exhibition view at Palazzo Fava, Genus Bononiae. Musei nella Città, Bologna 2021. Photo Paolo Righi

Nicola Samorì. Sfregi. Exhibition view at Palazzo Fava, Genus Bononiae. Musei nella Città, Bologna 2021. Photo Paolo Righi

LA PITTURA DI SAMORÌ

A proposito di fretta… La tua è una pittura lenta o veloce?
Veloce anche quando sembra lenta, perché mi riesce facile. Per questa ragione ho cercato stratagemmi per “sostenere un sentimento per mesi”, come diceva Philip Guston a proposito degli antichi maestri, cimentandomi in lavori monumentali che non possono essere risolti tutti d’un fiato. Oggi è difficile meditare un’opera a lungo perché il mercato incalza e ritirarsi in una zona d’ombra per mesi o per anni richiede moltissimo coraggio.

Quali formati prediligi?
Oscillo dalla miniatura al monumentale con disinvoltura, anche se negli ultimi anni cerco di sostare più a lungo sui dettagli perché ora ho un controllo del polso che, quando avrò l’età di mio padre, perderò. Per la pittura di gesto c’è tempo.

La musica, il cinema, la letteratura, la poesia arricchiscono o modellano i tuoi immaginari?
Poco o nulla. Nutrono il mio tempo, ma alle mie figure forse non interessano le mie letture e i miei ascolti. Basta che io riveda quel che facevo vent’anni fa, con una scorta di buone letture, buone visioni e buoni ascolti nettamente inferiore a oggi per capire che questi incontri sono serviti a ben poco. La logica della pittura e della scultura è qualcosa di sconcertante: le immagini mangiano le immagini e il resto è solo didascalia. Ci sono aspiranti pittori acutissimi, che trasudano erudizione, ma che quando incontrano un pennello hanno la stessa sicurezza che mi ritrovo io, che non guido, quando salgo in auto dalla parte del pilota. L’intelligenza e la cultura sembrano non attaccarsi ai pennelli.

Perché fare pittura oggi?
Forse per ricordarci che siamo umani, perché i tempi e i modi della pittura rispettano il nostro corpo più di quanto non lo facciano altre pratiche. Una volta la pittura era un mezzo efficace per evidenziare il valore dell’artista, una sorta di dimostrazione di padronanza di una lingua preclusa ai più. Oggi mi sembra uno strumento per misurare i propri limiti. Per molti la pittura è diventata una tenda di fortuna, quando una volta era una reggia. Ma la pittura è anche un po’ come il sangue di San Gennaro, che è secco, ma torna a liquefarsi in occasioni speciali, quando intorno alla reliquia vengono compiuti gesti che si tramandano da secoli.

Cosa pensi della scena della pittura italiana contemporanea?
Non penso a scene pittoriche: a me interessano i pittori. Non pensavo nemmeno ce ne fossero così tanti in Italia prima dell’avanzare, mese dopo mese, di questa rubrica. Davvero una selva. Nel centinaio di nomi interpellati io riconosco l’impossibile solo in Pessoli, in Giaconia, in Castelli e in Braida. Sono incerto su altri tre o quattro nomi. Per il resto vedo tanta pittura a risparmio energetico e tanti commentatori della pittura, che sanno di esserlo, ma non lo ammetteranno mai. E rilevo lacune importanti, che saranno senz’altro indagate in futuro.

Damiano Gullì

LE PUNTATE PRECEDENTI

Pittura lingua viva #1 ‒ Gabriele Picco
Pittura lingua viva #2 ‒ Angelo Mosca
Pittura lingua viva #3 ‒ Gianluca Concialdi
Pittura lingua viva #4 – Michele Tocca
Pittura lingua viva #5 ‒ Lorenza Boisi
Pittura lingua viva#6 ‒ Patrizio Di Massimo
Pittura lingua viva#7 ‒ Fulvia Mendini
Pittura lingua viva#8 ‒ Valentina D’Amaro
Pittura lingua viva#9 ‒ Angelo Sarleti
Pittura lingua viva#10 ‒ Andrea Kvas
Pittura lingua viva#11 ‒ Giuliana Rosso
Pittura lingua viva#12 ‒ Marta Mancini
Pittura lingua viva #13 ‒ Francesco Lauretta
Pittura lingua viva #14 ‒ Gianluca Di Pasquale
Pittura lingua viva #15 ‒ Beatrice Meoni
Pittura lingua viva #16 ‒ Marta Sforni
Pittura lingua viva #17 ‒ Romina Bassu
Pittura lingua viva #18 ‒ Giulio Frigo
Pittura lingua viva #19 ‒ Vera Portatadino
Pittura lingua viva #20 ‒ Guglielmo Castelli
Pittura lingua viva #21 ‒ Riccardo Baruzzi
Pittura lingua viva #22 ‒ Gianni Politi
Pittura lingua viva #23 ‒ Sofia Silva
Pittura lingua viva #24 ‒ Thomas Berra
Pittura lingua viva #25 ‒ Giulio Saverio Rossi
Pittura lingua viva #26 ‒ Alessandro Scarabello
Pittura lingua viva #27 ‒ Marco Bongiorni
Pittura lingua viva #28 ‒ Pesce Kethe
Pittura lingua viva #29 ‒ Manuele Cerutti
Pittura lingua viva #30 ‒ Jacopo Casadei
Pittura lingua viva #31 ‒ Gianluca Capozzi
Pittura lingua viva #32 ‒ Alessandra Mancini
Pittura lingua viva #33 ‒ Rudy Cremonini
Pittura lingua viva #34 ‒ Nazzarena Poli Maramotti
Pittura lingua viva #35 – Vincenzo Ferrara
Pittura lingua viva #36 – Luca Bertolo
Pittura lingua viva #37 – Alice Visentin
Pittura lingua viva #38 – Thomas Braida
Pittura lingua viva #39 – Andrea Carpita
Pittura lingua viva #40 – Valerio Nicolai
Pittura lingua viva #41 – Maurizio Bongiovanni
Pittura lingua viva #42 – Elisa Filomena
Pittura lingua viva #43 – Marta Spagnoli
Pittura lingua viva #44 – Lorenzo Di Lucido
Pittura lingua viva #45 – Davide Serpetti
Pittura lingua viva #46 – Michele Bubacco
Pittura lingua viva #47 – Alessandro Fogo
Pittura lingua viva #48 – Enrico Tealdi
Pittura lingua viva #49 – Speciale OPENWORK
Pittura lingua viva #50 – Bea Bonafini
Pittura lingua viva #51 – Giuseppe Adamo
Pittura lingua viva #52 – Speciale OPENWORK (II)
Pittura lingua viva #53 ‒ Chrysanthos Christodoulou 
Pittura lingua viva #54 – Amedeo Polazzo
Pittura lingua viva #55 – Ettore Pinelli
Pittura lingua viva #56 – Stanislao Di Giugno
Pittura lingua viva #57 – Andrea Barzaghi
Pittura lingua viva #58 – Francesco De Grandi
Pittura lingua viva #59 – Enne Boi
Pittura lingua viva #60 – Alessandro Giannì
Pittura lingua viva #61‒ Elena Ricci
Pittura lingua viva #62 – Marta Ravasi
Pittura lingua viva #63 – Maddalena Tesser
Pittura lingua viva #64 – Luigi Presicce
Pittura lingua viva #65 – Alessandro Sarra
Pittura lingua viva #66 – Fabio Marullo
Pittura lingua viva #67 – Oscar Giaconia
Pittura lingua viva #68 – Andrea Martinucci
Pittura lingua viva #69 – Viola Leddi
Pittura lingua viva #70 – Simone Camerlengo
Pittura lingua viva #71 – Davide Ferri
Pittura lingua viva #72 – Diego Gualandris
Pittura lingua viva #73 – Paola Angelini
Pittura lingua viva #74 ‒ Alfredo Camerottti e Margherita de Pilati
Pittura lingua viva #75 – Andrea Chiesi
Pittura lingua viva #76 – Daniele Innamorato
Pittura lingua viva #77 – Federica Perazzoli
Pittura lingua viva #78 – Alessandro Pessoli
Pittura lingua viva #79 ‒ Silvia Argiolas
Pittura lingua viva #80 – Dario Carratta
Pittura lingua viva #81 ‒ Il progetto Linea 1201
Pittura lingua viva #82 – Stefano Perrone
Pittura lingua viva #83 – Linda Carrara
Pittura lingua viva #84 – Adelaide Cioni
Pittura lingua viva #85 – Marco Eusepi
Pittura lingua viva #86 – Narcisa Monni
Pittura lingua viva #87 – Alessandra Giacinti
Pittura lingua viva #88 – Miss Goffetown
Pittura lingua viva #89 – Ottavia Plazza
Pittura lingua viva #90 – Matteo Cordero
Pittura lingua viva #91 – Beatrice Alici
Pittura lingua viva #92 – Mattia Barbieri
Pittura lingua viva #93 – Giovanni Copelli
Pittura lingua viva #94 – Anna Capolupo
Pittura lingua viva #95 – Anna Marzuttini
Pittura lingua viva #96 – Vincenzo Schillaci
Pittura lingua viva #97 – Vincenzo Ferlita
Pittura lingua viva #98 – Pierpaolo Curti
Pittura lingua viva #99 – Luca Zarattini
Pittura lingua viva 100. La pittura oggi secondo gli artisti

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Damiano Gullì

Damiano Gullì

Damiano Gullì (Fidenza, 1979) vive a Milano. I suoi ambiti di ricerca sono l’arte contemporanea e il design. Da aprile 2022 è curatore per l'Arte contemporanea e il Public Program di Triennale Milano. Dal 2020 è stato Head Curator del…

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