Thomas Braida (Gorizia, 1982) vive e lavora a Venezia. È diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Tra le mostre personali recenti: La bava sul cuscino, Le Dictateur, Milano, 2019; Aspettando dentro l’anno del gatto, Fondazione Pescheria – Centro Arti Visive, Pesaro, 2018; Steklovata, Valerio Niocolai Thomas Braida, Gelateria sogni di ghiaccio, Bologna, 2018; Solo, Palazzo Nani Bernardo, Venezia, 2017. Tra le collettive: Graffiare il presente, Casa Testori, Novate Milanese, 2018; The Prospectiva Pingedi, Todi, 2018; Arte per tutti Thomas Braida e Adelaide Cioni, CIAC – Gallery, Foligno, 2018; Il lanternista, SPE/Spazio performativo ed espositivo, Tenuta dello Scompiglio, Lucca, 2018; Contemporary Chaos, Vestfossen Kunstlaboratorium, Vestfossen, 2018; VIVA ARTE VIVA, FuturDome, Milano, 2017; Collezione Malutta + Black Market, Monitor, Roma, 2017.
Come ti sei avvicinato alla pittura? Hai affermato in un’intervista “tutto è pittura per me”…
Prima mi sono avvicinato alle bestie, intendo agli animali, alla Natura, poi ho cominciato a imitarla.
Chi sono i maestri e gli artisti cui guardi?
Bonnard ultimamente.
Ci sono tecniche o formati che prediligi?
Olio su tavola piccolo formato. Che uso poco, cerco di non viziarmi.

Perché la scelta della figurazione?
È un qualcosa in più, un desiderio in più da poter esaudire, anche per me oltre che per lo spettatore.
Come si è trasformato il tuo lavoro nel tempo?
È cresciuto con me, ha camminato con me.
La tua è una pittura lenta o veloce?
Difficile rispondere, probabilmente entrambe. La mia pittura ha bisogno dei suoi tempi, non ti accorgi del tempo quando dipingi.
Come e perché coniugare fantascienza, mitologia, fiaba, grottesco con… Instagram?
Beh, ci provo, ma non chiedermi perché. È quello che vedo, tutto qui. Passato/presente/futuro.
Nella tua recente mostra Aspettando dentro l’anno del gatto a Pesaro hai approfondito ulteriormente la riflessione sulla pittura confrontandoti e riprendendone la sua lunga tradizione, temi e generi. Come sono nate opere quali, per esempio, La pantera di Marghera?
Nasce dalla vita quotidiana, la tradizione non puoi non metterla in conto, quando fai questo lavoro, non si inventa nulla dal nulla.

Come scegli i tuoi soggetti?
A caso, tra le mie passioni del momento.
E come nascono i titoli delle tue opere?
Li leggo in giro, li trovo, li scopro, me lo dice il quadro stesso.
Quale il rapporto tra la tua pittura, la fotografia e le immagini digitali?
Rispetto reciproco.
Dipingi dal vero?
A volte.
Il disegno invece ha un ruolo nella tua pratica?
Fa parte del meccanismo logico della pittura, è naturale, vado alla toilette, mi abbasso le mutande. Sempre.
Quale invece il tuo approccio alla scultura?
Ignorante, fanciullesco, maldestro.
Quanta parte ha l’ironia nel tuo lavoro?
Il giusto, q. b.
E l’elemento onirico?
È una cosa molto personale il sogno, e anche da tutti riconoscibile.
I tuoi lavori sono spesso popolati da elementi mostruosi, ma intenderei il “monstrum” nella sua accezione di qualcosa che va al di là della normalità, qualcosa di eccezionale. Più volte hai sottolineato la bellezza della diversità.
Per il diverso, “il mostro”, il normale è speciale, e viceversa. Il diverso di solito è più coraggioso, per forza di cose, ma nella normalità essere coraggioso è possibile. Coraggio di accettare qualcosa, qualcuno, di diverso, oltre ai propri limiti di sopportazione. Questo racconto nei miei quadri. E pretendo attenzione.

Cosa rappresenta il lavoro in studio per te?
Total relax.
Quali sono le tue fonti di ispirazione? Letterarie, musicali, cinematografiche…
Top secret.
Come definiresti la tua pittura?
Non lo so ancora, ci penso da sempre, ma non so ancora, è mia la mia pittura.
Perché fare pittura oggi?
È una necessità. In questi tempi bui.
Cosa pensi della scena della pittura italiana contemporanea?
Leggermente frizzante, vorrei fosse Soda.
‒ Damiano Gullì