Pittura lingua viva. Parola a Giuseppe Adamo

Viva, morta o X? 51esimo appuntamento con la rubrica dedicata alla pittura contemporanea in tutte le sue declinazioni e sfaccettature attraverso le voci di alcuni dei più interessanti artisti italiani: dalla pittura “espansa” alla pittura pittura, dalle contaminazioni e slittamenti disciplinari al dialogo con il fumetto e l’illustrazione fino alla rilettura e stravolgimento di tecniche e iconografie della tradizione.

Giuseppe Adamo è nato ad Alcamo nel 1982. Tra le sue mostre personali: Landing, Marignana Arte, Venezia, 2019; Moon Contemporary ‒ Castello di Carini, 2018; Visione Periferica, con Milan Vagač, RizzutoGallery, Palermo, 2018; Something, RizzutoGallery, Palermo, 2016. Tra le collettive: De Prospectiva Pingendi. Nuovi scenari della pittura italiana, Palazzo del Popolo, Todi, 2018; Quantum Leap, RizzutoGallery, Palermo, 2017; SottoPelle, annarumma gallery, Napoli, 2017.

Come ti sei avvicinato alla pittura?
Ho sempre disegnato. Mi sono avvicinato alla pittura con enorme timore. Pensavo che dipingere un quadro degno di questo nome fosse un’impresa ai limiti dell’impossibile, cosa che peraltro continuo a pensare. Ho dipinto il mio primo (orribile) quadro intorno ai diciassette anni. Era un paesaggio. Non ho osato dipingerne altri per quasi dieci anni.

Quali sono i maestri e gli artisti cui guardi?
Ho osservato molto l’idea di paesaggio presente nella pittura che precede il paesaggio come genere. Gli spazi sospesi di Giorgione, le formazioni rocciose nei dipinti di Bellini, le strane ambientazioni nella pittura di Piero di Cosimo. Poi, in ordine sparso e saltellante: David Byrd, Philip Guston, Robert Overby, Ambera Wellman, Hans Hartung, Ed Atkins, Jon Rafman, Paul McCarthy, Peter Saul, Miyoko Ito, Pietro Roccasalva, Alessandro Pessoli e tanti altri.

Perché la scelta dell’astrazione e dove finisce la figurazione e inizia l’astrazione?
Non riuscirei a individuare un confine definito tra astrazione e figurazione. Mi interessa l’idea di operare in un campo di forze prodotto dalla tensione tra elementi opposti. Indagare e ricreare i fenomeni che generano le forme.

Cosa rappresenta per te la tela?
La tela è la perfezione del vuoto che è un tutto in potenza. Dipingere un quadro significa in qualche modo violare la compiutezza di quel vuoto cercando di non neutralizzarne lo spettro di possibilità.

E la materia? La luce?
Assecondo il più possibile la volontà della materia pittorica, lasciando che mi riveli le mie intenzioni. Le concrezioni rocciose, la materia inorganica che appare spesso nei miei dipinti è un aggregato di informazioni sui continui mutamenti del pianeta. Inoltre la pietra è il primo supporto pittorico utilizzato dall’uomo, la prima superficie sulla quale abbiamo scritto, il primo materiale di cui ci siamo serviti per costruire strumenti. In breve, è un elemento legato indissolubilmente all’atto della creazione. La luce, per me, è l’elemento chiave della pittura. È il fenomeno alchemico che attiva un oggetto altrimenti inerte.

Giuseppe Adamo, The Morning After Your Death, 2018, acrilico su tela, 50x40 cm

Giuseppe Adamo, The Morning After Your Death, 2018, acrilico su tela, 50×40 cm

Come è nata l’esigenza di sviluppare una pittura che interroga e per certi versi sfida se stessa?
Nel mio lavoro non c’è niente di predeterminato. Non nascono esigenze. Il fatto che la mia formazione visiva si sia sviluppata attraverso l’osservazione dell’immagine stampata o prodotta da uno schermo ha determinato un’attitudine pittorica che ingloba alcune caratteristiche di questi metodi di produzione e diffusione delle immagini. Mi sono accorto a posteriori di star tentando di fare una pittura che induce un senso di incertezza sulla propria identità. Inconsciamente ho cercato di riprodurre la grana della stampa o la definizione dell’immagine digitale piuttosto che ricercare la pennellata o gli spessori dell’impasto pittorico.

Verità/illusione è un’altra dicotomia molto presente nel tuo lavoro. Perché mettere in scena l’ambiguità della percezione?
Mi affascina la labilità della nostra percezione. Bastano delle variazioni minime nel suo funzionamento per far collassare la nostra idea di realtà. Anche il colore, forse l’aspetto fondamentale dell’identità della pittura, è un’illusione prodotta dal nostro apparato percettivo.

L’equivoco, l’errore che significato hanno per te?
Trovo interessante soprattutto l’equivoco prodotto dalla riproduzione dei miei dipinti. Molto spesso accade che chi li osserva sullo schermo di un computer o di un telefono pensi che siano realmente tridimensionali, equivocando appunto il senso dell’opera. Questo fattore lega più che mai la mia pittura a una dimensione fisica, rendendo parzialmente inintelligibile la sua reale natura attraverso i metodi di riproduzione delle immagini.

Il tuo lavoro si è trasformato nel tempo? Come sei arrivato al monocromo?
Il lavoro che ho portato avanti negli ultimi anni si è sviluppato attraverso una breve ma importante fase di ricerca sul tema del paesaggio. Sperimentando modi di risolvere le varie componenti del paesaggio ho cominciato a capire quali potessero essere i processi e gli elementi sui quali focalizzare la mia attenzione. Partendo da un’idea figurativa di paesaggio ho sviluppato un interesse per i fenomeni che lo generano, mettendoli in relazione con i processi psichici e percettivi. Mi interessa l’idea di condensare un processo geologico nel tempo e nello spazio di un dipinto.

Che ruolo ha il disegno nella tua pratica e in relazione alle tue opere?
Il disegno per me non ha mai una funzione preparatoria, è una pratica autonoma con le sue specificità. È un tracciato della mia esistenza. Forse è la forma più autentica di espressione. Un linguaggio prima del linguaggio.

E il colore?
Del colore mi interessa la trasparenza, quindi la luce. Lo applico quasi sempre nell’ultima fase della realizzazione del lavoro, utilizzandolo come fosse il filtro di una fotocamera digitale. Mi serve per trovare una specifica temperatura o un certo clima. Rappresenta quasi un frammento di narrazione.

Giuseppe Adamo, Sulcus 02, 2016, acrilico su tela, 100x80 cm

Giuseppe Adamo, Sulcus 02, 2016, acrilico su tela, 100×80 cm

Parlavi della tua ricerca sul paesaggio. Cosa rappresenta la natura per te?
Tutto è natura.

Quanto conta la tecnica?
Tecnica e processo pittorico nel mio lavoro coincidono. Il modo in cui vengono eseguiti i miei dipinti ne determina il “senso”. Considerando il fatto che l’incidentalità riveste un ruolo primario nell’esecuzione del lavoro, l’apparente virtuosismo tecnico rappresenta un altro livello di illusione/inganno.

Ci sono formati o tecniche che prediligi?
Quasi tutti i miei lavori sono dipinti ad acrilico. Per questioni di spazio ho lavorato per molto tempo sul piccolo e medio formato. Questa costrizione mi ha portato a ragionare su un’idea di monumentalità contenuta all’interno del perimetro pittorico, che non impone la propria presenza invadendo lo spazio.

La tua è una pittura lenta o veloce?
È allo stesso tempo lenta e veloce. L’esecuzione del dipinto è veloce. Se non sono soddisfatto del risultato devo ricoprire e ricominciare da capo. Non posso intervenire sulle singole porzioni del quadro perché altrimenti si interromperebbe la scansione ritmica delle forme che lo compongono. In questo susseguirsi di costruzione e distruzione diventa, a volte, molto lenta. Inoltre questo processo ha contribuito a produrre una specifica qualità della superficie, privandola quasi del tutto delle caratteristiche del supporto come la trama e il livello di assorbenza.

Lavori in studio?
Lavoro in una stanza del mio appartamento che chiamo studio.

Come nascono i titoli delle tue opere?
Quasi sempre attraverso una serie di associazioni suggerite dal lavoro stesso.

Raccontaci la genesi di un’opera come The Morning After Your Death del 2018.
Il dipinto contiene un’immagine stereotipata di serenità, quasi un paesaggio da screen saver: una collinetta verde sotto un cielo sereno ma leggermente velato. Mi suggeriva un vago senso di nostalgia e di perdita. La crudele indifferenza di un paesaggio che i nostri occhi non vedranno.

Giuseppe Adamo, Alphabet, 2015, 50x40, acrilico su tela

Giuseppe Adamo, Alphabet, 2015, 50×40, acrilico su tela

Il cinema, la musica, la letteratura influiscono sui tuoi lavori e sulla tua poetica?
Sicuramente c’è un po’ di tutto ciò. In special modo la musica ha ricoperto un ruolo molto importante nella mia formazione. Da adolescente ho scoperto l’arte contemporanea osservando le copertine dei dischi dei Sonic Youth.

Cosa significa fare pittura oggi?
La pittura è, in un certo senso, una necessità biologica dell’essere umano. Impariamo a tracciare dei segni su un foglio prima che a parlare o mangiare in autonomia. Credo sia una pratica che per le sue specifiche caratteristiche sia impossibile da sostituire con altri linguaggi. È al tempo stesso dentro e fuori la Storia e forse per questo è sempre stata in grado di assorbire e ricostruire l’estetica del proprio tempo.

Cosa pensi della scena della pittura italiana contemporanea?
Certamente ci sono molti bravi pittori ma forse non c’è ancora un’impalcatura solida capace di sorreggere un’ipotetica scena. Si è parlato fino allo sfinimento del fatto che la pittura sia molto spesso assente nelle mostre istituzionali, nei musei e nel dibattito critico che “conta” e che venga troppo frequentemente collocata in aree protette, come un animale in pericolo d’estinzione. Probabilmente siamo ancora troppo impegnati a rispondere al quesito “Pittura lingua morta?” per poter costruire una scena.

‒ Damiano Gullì

Pittura lingua viva #1 ‒ Gabriele Picco
Pittura lingua viva #2 ‒ Angelo Mosca
Pittura lingua viva #3 ‒ Gianluca Concialdi
Pittura lingua viva #4 – Michele Tocca
Pittura lingua viva #5 ‒ Lorenza Boisi
Pittura lingua viva#6 ‒ Patrizio Di Massimo
Pittura lingua viva#7 ‒ Fulvia Mendini
Pittura lingua viva#8 ‒ Valentina D’Amaro
Pittura lingua viva#9 ‒ Angelo Sarleti
Pittura lingua viva#10 ‒ Andrea Kvas
Pittura lingua viva#11 ‒ Giuliana Rosso
Pittura lingua viva#12 ‒ Marta Mancini
Pittura lingua viva #13 ‒ Francesco Lauretta
Pittura lingua viva #14 ‒ Gianluca Di Pasquale
Pittura lingua viva #15 ‒ Beatrice Meoni
Pittura lingua viva #16 ‒ Marta Sforni
Pittura lingua viva #17 ‒ Romina Bassu
Pittura lingua viva #18 ‒ Giulio Frigo
Pittura lingua viva #19 ‒ Vera Portatadino
Pittura lingua viva #20 ‒ Guglielmo Castelli
Pittura lingua viva #21 ‒ Riccardo Baruzzi
Pittura lingua viva #22 ‒ Gianni Politi
Pittura lingua viva #23 ‒ Sofia Silva
Pittura lingua viva #24 ‒ Thomas Berra
Pittura lingua viva #25 ‒ Giulio Saverio Rossi
Pittura lingua viva #26 ‒ Alessandro Scarabello
Pittura lingua viva #27 ‒ Marco Bongiorni
Pittura lingua viva #28 ‒ Pesce Kethe
Pittura lingua viva #29 ‒ Manuele Cerutti
Pittura lingua viva #30 ‒ Jacopo Casadei
Pittura lingua viva #31 ‒ Gianluca Capozzi
Pittura lingua viva #32 ‒ Alessandra Mancini
Pittura lingua viva #33 ‒ Rudy Cremonini
Pittura lingua viva #34 ‒ Nazzarena Poli Maramotti
Pittura lingua viva #35 – Vincenzo Ferrara
Pittura lingua viva #36 – Luca Bertolo
Pittura lingua viva #37 – Alice Visentin
Pittura lingua viva #38 – Thomas Braida
Pittura lingua viva #39 – Andrea Carpita
Pittura lingua viva #40 – Valerio Nicolai
Pittura lingua viva #41 – Maurizio Bongiovanni
Pittura lingua viva #42 – Elisa Filomena
Pittura lingua viva #43 – Marta Spagnoli
Pittura lingua viva #44 – Lorenzo Di Lucido
Pittura lingua viva #45 – Davide Serpetti
Pittura lingua viva #46 – Michele Bubacco
Pittura lingua viva #47 – Alessandro Fogo
Pittura lingua viva #48 – Enrico Tealdi
Pittura lingua viva #49 – Speciale OPENWORK
Pittura lingua viva #50 – Bea Bonafini

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Damiano Gullì

Damiano Gullì

Damiano Gullì (Fidenza, 1979) vive a Milano. I suoi ambiti di ricerca sono l’arte contemporanea e il design. Da aprile 2022 è curatore per l'Arte contemporanea e il Public Program di Triennale Milano. Dal 2020 è stato Head Curator del…

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