Pittura lingua viva. Intervista a Federica Perazzoli

Viva, morta o X? 77esimo appuntamento con la rubrica dedicata alla pittura contemporanea in tutte le sue declinazioni e sfaccettature attraverso le voci di alcuni dei più interessanti artisti italiani: dalla pittura “espansa” alla pittura pittura, dalle contaminazioni e slittamenti disciplinari al dialogo con il fumetto e l’illustrazione fino alla rilettura e stravolgimento di tecniche e iconografie della tradizione.

Federica Perazzoli (Sorengo, 1966) vive e lavora a Milano. Tra le mostre personali recenti: Mas que nada, Galleria massimodeluca, Mestre, 2018; Intermission, Dimore Gallery, Milano, 2016; Pale Green Ghost, Plasma, Plastic Modern Art, Milano, 2014; Mother I Kill You (The Camel’s Back), PLUS_P, Milano. Tra le mostre collettive: BienNoLo, Ex Laboratorio Panettoni Giovanni Cova, Milano, 2019; Casa d’Artista, Plus_P Gallery, Milano, 2015; Arte come terapia, Casa Pediatrica Fatebenefratelli, Milano, 2014; Landscape, Biffi Gallery, Piacenza, 2014; 14/14 Modernity’s First Century, Plasma, Plastic Modern Art, 2014. Dal 2000 è socio fondatore del collettivo artistico KINGS (con Daniele Innamorato).

Come ti sei avvicinata alla pittura?
Sin da bambina. In casa c’erano riproduzioni di Twombly e di Hockney. Avevo sei, sette anni. Mi piacevano tantissimo. Avevo la classica presunzione di bambina nel dire che sarei diventata molto più brava di loro. Già sapevo di volere fare questo nella vita. E anche l’ambiente in cui sono cresciuta ha contato tantissimo.

Fondamentale, infatti, la presenza di tuo zio, Emilio Tadini, pittore.
Ho lavorato al suo fianco. La sua compagnia, lo stare con intellettuali, artisti a lui vicini, mi ha molto influenzata. Fondamentale è stata la storia dell’arte, l’amore per la storia dell’arte.

Hai anche un percorso di studi in architettura.
Sì, ma già mentre studiavo avevo deciso di dedicarmi alla pittura. Gli studi di architettura si sono rivelati importanti per tutti i miei lavori d’installazione.

E quali altre figure sono state per te importanti?
Sicuramente Pierre Restany che mi ha aperto gli occhi sul fare pittura. È stato un mentore. Ha visto i miei primi lavori, mi ha consigliata, mi ha insegnato a leggere e capire tante cose utili alla mia formazione. E poi César, che ho avuto la fortuna di conoscere. La prima cosa che mi ha detto è stata: “Fa’ qualcosa d’altro!”. Sono stati molto importanti pittori come Francis Bacon, Giotto, Cimabue, Caravaggio, Goya. E ancora lo sono pittori più contemporanei come Gerhard Richter, Cecily Brown, Peter Doig, Hernan Bas.

Federica Perazzoli, 109, 2018, acrilico su tela, cm 465x320

Federica Perazzoli, 109, 2018, acrilico su tela, cm 465×320

LA PITTURA DI FEDERICA PERAZZOLI

Come procedi nella definizione e costruzione delle tue composizioni? Per accumulo? Per sottrazione?
L’obiettivo della mia ricerca è sempre quello di sintetizzare, di togliere il più possibile. Un mio grande limite quando lavoro è che mi soffermo troppo sulle cose nel cercare la perfezione e rischio così di cadere nel decorativo. Ma questo non ha più a che fare con la mia idea di pittura. In questo processo di sintesi e sottrazione non voglio però arrivare all’astratto. Togliendo è come se mi avvicinassi di più alla pittura stessa – metto degli strati, ma poi li tolgo – a una pittura più autentica, alla sua essenza. Ho una specie di ossessione per il lavoro. Continuo a produrre, come se cercassi sempre qualcosa cui non sono ancora arrivata, ma a cui mi sto avvicinando sempre di più.

Ne deduco che la tua sia una pittura molto veloce.
Velocissima. E a volte per questo mi sento in colpa, quasi in difetto. Sono troppo veloce. Lavoro sulla velocità anche perché devo seguire la chimica dei colori. Diversamente, si asciugano e perdo la linea. Poi posso anche tornare sull’opera però tendo a non farlo.

E in questa ossessione quando capisci che un’opera è finita?
Si sa sempre quando un’opera è finita, soprattutto quando mi dico: “Ok, basta! Se vai avanti rovini tutto”.

Parti da disegni preparatori? E quanto contano invece l’aleatorietà, l’errore, il ripensamento?
Il più delle volte cerco di partire da dei disegni, ma poi non li faccio mai. Riprendo delle riproduzioni fotografiche, soprattutto per le posizioni delle figure. Lascio molto al caso. Quando realizzo i fondi mescolo acrilici, oli, acqua, trementina… Sperimento. Lascio agire la chimica dei colori. C’è il caso, sì, ma so sempre dove voglio arrivare. Da quei colori già vedo emergere immagini molto chiare, paesaggi… E quando questo non succede diventa un dramma! Rifaccio tutto e riparto da zero!

Da queste sperimentazioni sui materiali derivano ossidazioni, cangiantismi…
Sì. Quando vedo i colori legarsi tra loro per me è pura magia. Lavoro per terra, su grandi formati, e osservo i colori muoversi. Posso stare ore a guardare questi processi. Ma come dicevo c’è, da una parte, una componente di aleatorietà, ma dall’altra so sempre, bene o male, cosa succederà alla composizione.

È un caos controllato.
Esattamente.

Federica Perazzoli, Home, 2013, acrilico su tela, cm 150x170

Federica Perazzoli, Home, 2013, acrilico su tela, cm 150×170

FORMATI E COLORI NELLA PITTURA DI PERAZZOLI

Dicevi che lavori su formati grandi. Perché questa scelta?
Il formato grande mi dà più libertà di gesto. Lavoro meglio anche per una questione di forza, di senso di musealità, se così si può dire. Certo, faccio anche lavori di piccolo formato ma ho grandi difficoltà a passare dal grande al piccolo.

Nelle tue opere le figure sono sempre minute, quasi invisibili, spesso non immediatamente intellegibili, talmente sono fuse e confuse con la natura circostante – e sovrastante – e la matericità del colore.
Non mi voglio focalizzare sulla figura. Tendo a sporcarla, a rovinarla. Preferisco farla piccola, quasi abbozzata in contrasto con la maestosità della natura che la avvolge.

Questa fascinazione per la natura è una visione quasi romantica, penso alla pittura di Friedrich…
Assolutamente sì. Questi sono i miei riferimenti. Sono molto legata alla letteratura romantica tedesca e tendo a trasporre determinate sensazioni sulla tela. O ci provo quanto meno. Un romanzo centrale quando ero studente è stato l’Hyperion di Hölderlin. Ecco, sia nel mio lavoro sia nella mia vita, ricerco continuamente una empatia con la natura per trovare pace e spiritualità.

Non manca però una componente punk e irriverente quando impieghi il glitter.

Non posso definirla realmente punk, forse irriverente. Provo a uscire dagli schemi sperimentando materiali non canonici della pittura per trovare un elemento di rottura con la classicità.

Dicevi che non ti interessa arrivare alla astrazione. Perché invece hai deciso di dedicarti alla figurazione?
È avvenuto in maniera semplice e spontanea, molto naturale. Senza premeditazione.

E chi sono i personaggi che popolano le tue tele?
A parte sporadici casi – una foto di mia madre a 10 anni da cui ho ricavato una posa o un ritratto di Sarah Lucas in pelliccia e stivali di gomma –, solitamente sono io. Sono sempre tanti piccoli autoritratti. Figure storte, dinoccolate. Trasmettono forse l’immagine che ho di me. Difficilmente inserisco corpi maschili, mi viene più facile disegnare quelli femminili.

Perché senti l’esigenza di essere sempre presente nelle composizioni?
Proprio per l’importanza che per me riveste l’essere un tutt’uno con la natura.

Federica Perazzoli. Mas que nada. Installation view at Galleria Massimodeluca, Venezia 2018

Federica Perazzoli. Mas que nada. Installation view at Galleria Massimodeluca, Venezia 2018

LE FONTI DI ISPIRAZIONE DI PERAZZOLI

Oltre al rapporto figura/sfondo, quanto conta il dialogo tra opera e opera e come sei arrivata alla installazione? Penso, per esempio, a Mas que nada, installazione ambientale del 2018.
L’installazione nasce dall’esigenza di vedere qualcosa di costruito, di lavorare nell’ambiente e per l’ambiente. È il mio amore per l’architettura, ma soprattutto è il pensare al luogo interamente. Mas que nada è un lavoro installativo, architettonico, che rappresenta un lavoro sulla memoria, sul vissuto, su quello che volevo buttare via. Immagini, foto, ricordi, legni, mobili, oggetti, tessuti, plastiche, terra, stratificazioni di fogli, collage, giornali.

In realtà è molto coerente con l’approccio transdisciplinare che porti avanti con Kings insieme a Daniele Innamorato, in cui si intrecciano video, fotografia, design, editoria indipendente, moda.
Credo tantissimo nella figura dell’artista che non faccia una sola cosa.

Cosa rappresenta lo studio per te?
Lo studio è fondamentale. Lavoro sempre in studio. La pratica e lo studio sono fondamentali.

Come si è trasformato il tuo lavoro nel tempo?
Tantissimo. Per anni ho avuto una vera ossessione nel dipingere i volti. Lavorando costantemente sono arrivata a costruire paesaggi intorno al volto, fino a eliminarlo per lavorare solo sul tema del paesaggio e della natura. La pittura evolve, cambia. Solo attraverso il lavoro costante può trasformarsi.

Della letteratura tedesca abbiamo già parlato. Quali sono le altre tue fonti di ispirazione, tra poesia, musica e cinema?
Amo poeti come la Szymborska, amo Artaud, la Dickinson, gli scritti di van Gogh e altre centinaia. La musica è fondamentale. Sono melomane, non posso vivere senza. Ascolto tutto, mi piace scoprire, studiare tutti i generi musicali e quando lavoro è necessaria, fondamentale.

Perché fare pittura oggi?
Perché è la forma d’arte più vera che ci sia. Da sempre. Perché è eterna. È la più grande espressione che ci sia stata, che c’è e che ci sarà in assoluto. Per troppo tempo, purtroppo, è stata messa da parte.

Cosa pensi della scena della pittura italiana contemporanea?
La pittura italiana esiste, eccome! Purtroppo è ancora un po’ messa da parte, ma ci sono pittori molto bravi, giovanissimi e meno giovani. Si registrano però segnali positivi tra mostre e fiere, come per esempio la scelta dell’ultima edizione di Arte Fiera di proporre una sezione dedicata alla pittura.

Damiano Gullì

LE PUNTATE PRECEDENTI

Pittura lingua viva #1 ‒ Gabriele Picco
Pittura lingua viva #2 ‒ Angelo Mosca
Pittura lingua viva #3 ‒ Gianluca Concialdi
Pittura lingua viva #4 – Michele Tocca
Pittura lingua viva #5 ‒ Lorenza Boisi
Pittura lingua viva#6 ‒ Patrizio Di Massimo
Pittura lingua viva#7 ‒ Fulvia Mendini
Pittura lingua viva#8 ‒ Valentina D’Amaro
Pittura lingua viva#9 ‒ Angelo Sarleti
Pittura lingua viva#10 ‒ Andrea Kvas
Pittura lingua viva#11 ‒ Giuliana Rosso
Pittura lingua viva#12 ‒ Marta Mancini
Pittura lingua viva #13 ‒ Francesco Lauretta
Pittura lingua viva #14 ‒ Gianluca Di Pasquale
Pittura lingua viva #15 ‒ Beatrice Meoni
Pittura lingua viva #16 ‒ Marta Sforni
Pittura lingua viva #17 ‒ Romina Bassu
Pittura lingua viva #18 ‒ Giulio Frigo
Pittura lingua viva #19 ‒ Vera Portatadino
Pittura lingua viva #20 ‒ Guglielmo Castelli
Pittura lingua viva #21 ‒ Riccardo Baruzzi
Pittura lingua viva #22 ‒ Gianni Politi
Pittura lingua viva #23 ‒ Sofia Silva
Pittura lingua viva #24 ‒ Thomas Berra
Pittura lingua viva #25 ‒ Giulio Saverio Rossi
Pittura lingua viva #26 ‒ Alessandro Scarabello
Pittura lingua viva #27 ‒ Marco Bongiorni
Pittura lingua viva #28 ‒ Pesce Kethe
Pittura lingua viva #29 ‒ Manuele Cerutti
Pittura lingua viva #30 ‒ Jacopo Casadei
Pittura lingua viva #31 ‒ Gianluca Capozzi
Pittura lingua viva #32 ‒ Alessandra Mancini
Pittura lingua viva #33 ‒ Rudy Cremonini
Pittura lingua viva #34 ‒ Nazzarena Poli Maramotti
Pittura lingua viva #35 – Vincenzo Ferrara
Pittura lingua viva #36 – Luca Bertolo
Pittura lingua viva #37 – Alice Visentin
Pittura lingua viva #38 – Thomas Braida
Pittura lingua viva #39 – Andrea Carpita
Pittura lingua viva #40 – Valerio Nicolai
Pittura lingua viva #41 – Maurizio Bongiovanni
Pittura lingua viva #42 – Elisa Filomena
Pittura lingua viva #43 – Marta Spagnoli
Pittura lingua viva #44 – Lorenzo Di Lucido
Pittura lingua viva #45 – Davide Serpetti
Pittura lingua viva #46 – Michele Bubacco
Pittura lingua viva #47 – Alessandro Fogo
Pittura lingua viva #48 – Enrico Tealdi
Pittura lingua viva #49 – Speciale OPENWORK
Pittura lingua viva #50 – Bea Bonafini
Pittura lingua viva #51 – Giuseppe Adamo
Pittura lingua viva #52 – Speciale OPENWORK (II)
Pittura lingua viva #53 ‒ Chrysanthos Christodoulou 
Pittura lingua viva #54 – Amedeo Polazzo
Pittura lingua viva #55 – Ettore Pinelli
Pittura lingua viva #56 – Stanislao Di Giugno
Pittura lingua viva #57 – Andrea Barzaghi
Pittura lingua viva #58 – Francesco De Grandi
Pittura lingua viva #59 – Enne Boi
Pittura lingua viva #60 – Alessandro Giannì
Pittura lingua viva #61‒ Elena Ricci
Pittura lingua viva #62 – Marta Ravasi
Pittura lingua viva #63 – Maddalena Tesser
Pittura lingua viva #64 – Luigi Presicce
Pittura lingua viva #65 – Alessandro Sarra
Pittura lingua viva #66 – Fabio Marullo
Pittura lingua viva #67 – Oscar Giaconia
Pittura lingua viva #68 – Andrea Martinucci
Pittura lingua viva #69 – Viola Leddi
Pittura lingua viva #70 – Simone Camerlengo
Pittura lingua viva #71 – Davide Ferri
Pittura lingua viva #72 – Diego Gualandris
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Pittura lingua viva #74 ‒ Alfredo Camerottti e Margherita de Pilati
Pittura lingua viva #75 – Andrea Chiesi
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Damiano Gullì

Damiano Gullì

Damiano Gullì (Fidenza, 1979) vive a Milano. I suoi ambiti di ricerca sono l’arte contemporanea e il design. Da aprile 2022 è curatore per l'Arte contemporanea e il Public Program di Triennale Milano. Dal 2020 è stato Head Curator del…

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