Pittura lingua viva. Parola a Nazzarena Poli Maramotti

Viva, morta o X? 34esimo appuntamento con la rubrica dedicata alla pittura contemporanea in tutte le sue declinazioni e sfaccettature attraverso le voci di alcuni dei più interessanti artisti italiani: dalla pittura “espansa” alla pittura pittura, dalle contaminazioni e slittamenti disciplinari al dialogo con il fumetto e l’illustrazione fino alla rilettura e stravolgimento di tecniche e iconografie della tradizione.

Nazzarena Poli Maramotti è nata a Montecchio Emilia nel 1987. Vive e lavora a Cavriago, Reggio Emilia. Si diploma in pittura all’Accademia di Belle Arti di Urbino nel 2011. Prende parte nell’anno accademico 2010/2011 a un progetto Erasmus di studio all’estero della durata di un anno presso l’Akademie der Bildenden Künste di Nürnberg. Completa gli studi presso l’Akademie der Bildenden Künste di Norimberga. Tra le mostre personali: Unterwasser, A+B Gallery, Brescia, 2018; DebütantInnen 2018, Ausstellungshalle, Akademie der Bildenden Künste, Norimberga, 2018. Tra le mostre collettive: Graffiare il presente, Casa Testori, Novate Milanese, 2018; Premio Cairo, Palazzo Reale, Milano, 2018; Braintooling, Forte di Monte Ricco, Pieve di Cadore, 2018; Moto ondoso stabile, Z2O Sara Zanin Gallery, Roma, 2017; Fuocoapaesaggio, Forte di Monte Ricco, Pieve di Cadore, 2017; Kummakivi, Galerie Bernsteinzimmer, Norimberga, 2017. Nel 2019 vince il Premio Mediolanum per la pittura, Artefiera, Bologna.

Perché fare pittura oggi?
Sarebbe semplice rispondere “perché no?”. Ed effettivamente spontaneamente ti risponderei così. Forse la domanda può esser formulata anche così: “perché non si è ancora smesso di fare pittura?”. Quello del mezzo espressivo è una scelta, alle volte cosciente, altre volte meno. Se la pittura è ancora nella rosa delle possibilità che l’umanità prende in considerazione quando si parla di arte, nonostante tutte le evoluzioni tecnologiche e le riflessioni sulla presunta morte della pittura, è segno evidente che essa ha caratteristiche specifiche che la rendono ancora irrinunciabile. Finché sopravvive, significa che non ha esaurito il suo potenziale, tant’è che siamo ancora qui a discuterne.

Nazzarena Poli Maramotti, Unterwasser, 2018, tecnica mista su parete. Photo credit Alberto Petrò

Nazzarena Poli Maramotti, Unterwasser, 2018, tecnica mista su parete. Photo credit Alberto Petrò

Cosa pensi della scena della pittura italiana contemporanea?
Mi piace il fermento che sta attraversando ora. Ci sono tante posizioni, tanti talenti forti. Mi vengono in mente ‒ così su due piedi ‒ artisti come Guglielmo Castelli, Matteo Fato, Lorenza Boisi, Luca Bertolo, Paola Angelini, Oscar Giaconia o Thomas Braida, solo per citarne alcuni. Dalle scuole venete sembrano formarsi ora molti pittori giovani interessanti. Alla scena italiana mi sto avvicinando di più ultimamente. Ho vissuto alcuni anni in Germania, a Norimberga, dove ho frequentato l’Accademia, e in quel periodo guardavo la pittura italiana un po’ da outsider. Mentre l’approccio italiano alla pittura mi sembra più colto e cerebrale, quello che ammiro dei pittori tedeschi che ho conosciuto è l’istintività che hanno quasi innata. Il risultato, spesso, è di grande potenza. Sembrano celebrare meno l’atto pittorico rispetto ai colleghi italiani, i quali si trovano (me compresa) a fare i conti con una ‒ non so bene come definirla ‒ struttura ben radicata e spesso inconscia che impone regole di armonia della composizione, dei colori e delle forme. È anche vero che chi riesce a domare questo bisogno intellettuale e a renderlo più uno strumento che un padrone, arriva a risultati incredibili. Sto chiaramente parlando della mia esperienza e delle impressioni che ho avuto io. Lungi da me definire degli stereotipi.

Come ti sei avvicinata alla pittura?
Inizialmente pensavo di voler diventare illustratrice, per via di fascinazioni date da fumetti e graphic novel che divoravo. Poi, frequentando l’Accademia, mi sono resa conto che non era la mia via, che arrivavo al punto che volevo raggiungere già con un quadro e non con una serie di immagini. Il vincolo della narrazione mi stava stretto. È stato poi arrivando all’Accademia di Norimberga, dove si è più liberi di provare, più liberi da corsi inutili creati solo per dar lavoro a professori mediocri, che mi sono resa conto che dipingere aveva per me un gran senso.

La tua è una pittura lenta o veloce?
Si è rallentata col tempo. Quando ho iniziato a dipingere macinavo opere su opere ogni giorno. Dopo questa bulimia ho avuto bisogno di rallentare, di capire meglio dove stava andando il mio percorso. Ora alterno fasi di lavoro intenso a periodi di riflessione che mi servono per decifrare meglio la parte più istintiva di quello che ho creato, per lasciar sedimentare. Ho imparato che il mio modo di lavorare ha bisogno di un ritmo, come i campi per le coltivazioni.

Nazzarena Poli Maramotti, Enza, 2019, tecnica mista su tela, 170x130 cm. Photo credit Masiar Pasquali

Nazzarena Poli Maramotti, Enza, 2019, tecnica mista su tela, 170×130 cm. Photo credit Masiar Pasquali

Da dove deriva la scelta di misurarti con generi e temi della tradizione?
Prima accennavo a questa struttura mentale, una scatola nera piena di concetti riguardanti non solo la storia dell’arte ma anche il concetto stesso di arte che ci portiamo appresso. Una volta individuata si possono avere diverse reazioni. Dopo un primo allontanamento autoimposto, ho capito che negarla non mi avrebbe aiutata a trovare la mia strada e che ci avrei dovuto fare i conti. Poi mi trovo ancora in pieno processo. Posso parlare solo di quello che ho intuito finora.

I tuoi primi lavori all’inizio del 2010 erano una riflessione sulla figura e sul ritratto. Come nel tempo la tua pratica e poetica si sono trasformate? E cosa rappresenta in particolare il paesaggio, sul quale ti sei focalizzata in maniera molto specifica, come testimonia la tua mostra Unterwasser del 2018?
La mia attenzione è virata col tempo. Il soggetto che prediligevo inizialmente era, appunto, la figura umana. Pensavo di star dipingendo dei ritratti, mentre non lo erano veramente: un ritratto presuppone un confronto con un’identità, mentre questo non accadeva. Piccole epifanie e prese di coscienza graduali mi hanno portata a capire che stavo avendo a che fare non con soggetti da raffigurare, bensì con dei luoghi. Cerco delle geografie, più che delle presenze, delle storie. Una volta compreso questo è stato un passaggio naturale ampliare, includere il paesaggio nella mia poetica. Tuttora mi trovo a dipingere ritratti, ma con un altro grado di comprensione.

Ti confronti anche con scultura e installazione? Spesso le tue tele poggiano su basi scultoree. Quanto conta per te l’allestimento delle tue opere, il loro rapporto con lo spazio espositivo e quello tra opera e opera?
Immagino tu ti riferisca a una mostra specifica, quella che ho fatto nel gennaio 2018 all’Akademie der Bildenden Künste di Norimberga. In quell’occasione avevo a che fare con uno spazio di grande respiro che mi ha permesso di esporre sei opere di medio-grandi dimensioni, le quali ho scelto di non appendere alle pareti ma di poggiarle su delle basi. Volevo che le tele non risultassero “finestre”, ma occupassero (seppur non in maniera invasiva) lo stesso spazio dello spettatore. Ho, quindi, plasmato delle pietre (elemento ricorrente nella mia figurazione) che hanno funto da sostegno. Non posso dire di essermi davvero confrontata con la scultura. È stato un allestimento specifico per quel luogo e quella mostra, non volendo diventare un tratto distintivo della mia ricerca. Sto lasciando questa questione a lato, fino alla sua maturazione. Sicuramente in futuro la affronterò nuovamente. Una prima conseguenza di questa mia incursione, in realtà, c’è già stato: Unterwasser è un’opera presentata durante l’omonima mostra personale alla A+B Gallery di Brescia qualche mese dopo e con la quale mi sono davvero confrontata con l’installazione. In generale rimango molto minimale, per quanto riguarda l’allestimento. L’importante è che i quadri abbiano il giusto respiro attorno, che non si snaturino.

Ci sono tecniche o formati che prediligi?
Sì. La pittura a olio mi è congeniale. Ora lo uso volentieri su una base a colore acrilico. Per quanto riguarda il formato prediligo telai rettangolari tendenti al quadrato, forma che invece mi risulta abbastanza ostica. Sono una bestia abitudinaria. Mi preparo molte tele di diverse dimensioni durante i periodi di sedimentazione delle idee, così che siano già pronte all’occorrenza.

Nazzarena Poli Maramotti, Ritratto (Maske), 2019, tecnica mista su tela, 25x20 cm. Photo credit Masiar Pasquali

Nazzarena Poli Maramotti, Ritratto (Maske), 2019, tecnica mista su tela, 25×20 cm. Photo credit Masiar Pasquali

Chi sono i maestri e gli artisti cui guardi?
Sono stata a lungo alla ricerca di un maestro, di una guida con la quale confrontarmi e che mi desse certezze. Per fortuna non l’ho trovata quando ne avrei avuto più bisogno, altrimenti non avrei accettato le crisi fondamentali che puntualmente tornano a mettermi in gioco. Figure che ammiro e che mi hanno dato spunti e appigli costruttivi, però, ce ne sono state: penso tra tutti a Susanne Kühn ‒ mia professoressa a Norimberga durante il mio ultimo periodo là ed esempio preziosissimo ‒, a Matteo Fato, quando ancora studiavo a Urbino, o a Stefano Mussini, più per il modo in cui sentiva le cose che per quel che disegnava.

Astrazione e figurazione: quando finisce una e inizia l’altra?
Forse non finiscono e non iniziano. La differenza tra figurazione e astrazione è un problema che riguarda più il bisogno dello spettatore di descrizione a posteriori dell’intento dell’artista piuttosto che il processo artistico in sé. È anche vero che ogni volta che si pone questa domanda si arriva a esiti diversi. Forse la risposta sta nella connessione di queste risposte identiche e contrarie tra loro.

Il disegno invece ha un ruolo nella tua pratica?
Sì. Ho corteggiato a lungo il disegno e abbiamo instaurato un rapporto con un suo equilibrio. Preciso che non faccio disegni preparatori. Ogni segno che uso per marcare le direzioni della pittura è parte integrante del processo, e quindi del risultato finale. In certi miei quadri il grande assente è quel disegno che è apparso per un secondo e che è stato inghiottito dall’andamento della superficie, diventando fondamentale per arrivare a quel finale ‒ ogni lavoro ha diversi momenti finali ‒ ma anche ricordo, negazione. Tempo fa trovai interessante il parallelo tra questa pratica e un fenomeno naturale che sono le dune mobili (in tedesco wanderdüne), le quali per esistere e proseguire il proprio cammino devono mutare radicalmente il proprio essere, operazione che, invece di negare la loro identità, la definisce. I luoghi che subiscono il loro passaggio vengono annullati per un certo periodo di tempo per poi vivere una rinascita con un nuovo volto. Il concetto che ho cercato di esprimere ora è stato espresso e scritto molto meglio da Rossella Moratto, curatrice che ammiro moltissimo, in un testo che scrisse riguardo al mio lavoro nel 2015, ma che sento ancora molto calzante.

Dipingi dal vero?
No. Un paio di anni fa partecipai a Landina, progetto di pittura en plein air ideato e gestito da Lorenza Boisi, pittrice eccelsa. Accettai l’invito sia per l’ammirazione che provo per lei sia per il dovere di mettersi in gioco a dispetto della mia abitudinarietà: lavorare con persone nuove e all’aperto. È stata un’esperienza breve (due giorni) e non credo di esser riuscita a viverla appieno. Sono lenta. Le esperienze che richiedono una reazione immediata non sono il mio forte. Una delle cose che ho capito, però, è che non sono pronta per la pittura all’aria aperta e non so se lo sarò mai.

Nazzarena Poli Maramotti. Photo © Masiar Pasquali

Nazzarena Poli Maramotti. Photo © Masiar Pasquali

Come scegli i tuoi soggetti?
Ho un archivio di immagini che raccolgo: foto scattate da me o da altri, che trovo su internet, su giornali o libri, immagini di quadri antichi, specialmente del periodo barocco. Trovo sempre stimolanti i soffitti della residenza di Würzburg del Tiepolo. Partendo da quelle immagini avvio la costruzione della base del quadro. Posso avere una vaga idea del finale, ma la verità è che spesso lo scopro in corso d’opera.

E come nascono i titoli delle tue opere?
Una parte delle mie opere è senza titolo. Alcune hanno un titolo perché ho bisogno di indicarle. Altre hanno un titolo che è un nome, talvolta un nome proprio. Non ho un criterio fisso per scegliere i titoli, accadono e basta. In passato ritenevo il titolo non importante per l’opera. Pensandoci bene, ora ho cambiato idea: soprattutto in quei casi in cui le opere nascono con un titolo, quel nome va a completarne il significato.
Faccio un esempio guardando ad alcune tra le mie tele più recenti, dipinte poco dopo il mio ritorno dalla Germania in Emilia, a casa. Ce n’è una che ho deciso di chiamare Enza. Enza è il fiume ‒ o linea d’acqua, perché “fiume” nell’immaginario comune presuppone una quantità d’acqua maggiore ‒ che si trova vicino casa mia e che separa/unisce le province di Reggio Emilia e Parma. Trovo curioso che si sia scelto, al tempo, di chiamare questo confine liquido con un nome di donna, quasi instaurando un’intimità che solitamente si percepisce nei confronti di altre persone. Scegliere quel nome è la personale celebrazione della sensazione di riavvicinamento alle origini che sto vivendo in questo momento. Ma questo, come dicevo, è un caso isolato. Forse quello che accomuna tutti i titoli che scelgo è il fatto che scaturiscano da associazioni di idee.

‒ Damiano Gullì

Pittura lingua viva #1 ‒ Gabriele Picco
Pittura lingua viva #2 ‒ Angelo Mosca
Pittura lingua viva #3 ‒ Gianluca Concialdi
Pittura lingua viva #4 – Michele Tocca
Pittura lingua viva #5 ‒ Lorenza Boisi
Pittura lingua viva#6 ‒ Patrizio Di Massimo
Pittura lingua viva#7 ‒ Fulvia Mendini
Pittura lingua viva#8 ‒ Valentina D’Amaro
Pittura lingua viva#9 ‒ Angelo Sarleti
Pittura lingua viva#10 ‒ Andrea Kvas
Pittura lingua viva#11 ‒ Giuliana Rosso
Pittura lingua viva#12 ‒ Marta Mancini
Pittura lingua viva #13 ‒ Francesco Lauretta
Pittura lingua viva #14 ‒ Gianluca Di Pasquale
Pittura lingua viva #15 ‒ Beatrice Meoni
Pittura lingua viva #16 ‒ Marta Sforni
Pittura lingua viva #17 ‒ Romina Bassu
Pittura lingua viva #18 ‒ Giulio Frigo
Pittura lingua viva #19 ‒ Vera Portatadino
Pittura lingua viva #20 ‒ Guglielmo Castelli
Pittura lingua viva #21 ‒ Riccardo Baruzzi
Pittura lingua viva #22 ‒ Gianni Politi
Pittura lingua viva #23 ‒ Sofia Silva
Pittura lingua viva #24 ‒ Thomas Berra
Pittura lingua viva #25 ‒ Giulio Saverio Rossi
Pittura lingua viva #26 ‒ Alessandro Scarabello
Pittura lingua viva #27 ‒ Marco Bongiorni
Pittura lingua viva #28 ‒ Pesce Kethe
Pittura lingua viva #29 ‒ Manuele Cerutti
Pittura lingua viva #30 ‒ Jacopo Casadei
Pittura lingua viva #31 ‒ Gianluca Capozzi
Pittura lingua viva #32 ‒ Alessandra Mancini
Pittura lingua viva #33 ‒ Rudy Cremonini

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Damiano Gullì

Damiano Gullì

Damiano Gullì (Fidenza, 1979) vive a Milano. I suoi ambiti di ricerca sono l’arte contemporanea e il design. Da aprile 2022 è curatore per l'Arte contemporanea e il Public Program di Triennale Milano. Dal 2020 è stato Head Curator del…

Scopri di più