Pittura lingua viva. Intervista ad Andrea Chiesi

Viva, morta o X? Riprende la rubrica dedicata alla pittura contemporanea in tutte le sue declinazioni e sfaccettature attraverso le voci di alcuni dei più interessanti artisti italiani arrivata al suo 75esimo appuntamento: dalla pittura “espansa” alla pittura pittura, dalle contaminazioni e slittamenti disciplinari al dialogo con il fumetto e l’illustrazione fino alla rilettura e stravolgimento di tecniche e iconografie della tradizione. Stavolta tocca ad Andrea Chiesi, autore delle opere pubblicate sull’ultimo numero del nostro magazine.

Andrea Chiesi (Modena, 1966) vive e lavora a San Pancrazio, Modena. Ha svolto delle residenze a Pechino (2015), Berlino (2011) e New York (2010). È vincitore dei Premi: Gotham Prize, Istituto italiano di cultura, New York (2012); I Premio Terna Megawatt, Roma (2008); V Premio Cairo, Milano (2004); XXXVIII Premio Suzzara (1998). Tra le sue recenti mostre personali: NM Contemporary, Montecarlo, 2019; I luoghi ultimi, Palazzo Rasponi delle Teste, Ravenna, 2019; Fantasia/Fantasma, immaginazione e memoria, Museo Civico San Rocco, Fusignano, 2018; Tutto, Otto Gallery, Bologna, 2017. Tra le mostre collettive: Panorama, Approdi e derive del paesaggio in Italia, Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, Bologna, 2019; New Faustuan World, Augeo Artspace, Rimini, 2019; Carte d’Identità, Galleria Guidi&Schoen, Genova, 2018; Yesterday, Today, Tomorrow, Galleria 2000&Novecento, Reggio Emilia, 2018; De Prospectiva Pingendi, Palazzo del Popolo, Todi, 2018; The Twilight Zone, Burning Giraffe Art Gallery, Torino, 2018; Art Shanxi, Tai Yuan Art Museum, Tai Yuan, 2017; Mias, mid-career italian artists, Giampiero Biasutti Studio d’arte, Torino, 2017; WelcHome, Galleria Guidi&Schoen, Genova, 2017.

Come ti sei avvicinato alla pittura?
Ho sempre disegnato, mi era più facile di qualsiasi altra cosa, ed era quello che sapevo fare meglio. Successivamente ho maturato il linguaggio pittorico, ma il disegno resta la mia radice.

E quindi il disegno, la matrice grafica cosa rappresentano per te?
La forma primigenia, il primo gesto, l’espressione originaria archetipica.

Chi sono i Maestri e gli artisti cui guardi e che sono stati importanti per la tua formazione?
Amo tutta la pittura. In questo momento mi vengono in mente Cosmè Tura, Piero della Francesca, Jacopo Pontormo, Lorenzo Lotto, Guercino, Carlo Carrà, Mario Sironi, Charles Sheeler, Steve Dikto. Gino De Dominicis…

La tua è una pittura veloce o lenta?
Lenta, non potrebbe essere altrimenti.

Perché la scelta della figurazione?
Per esprimere meglio la componente narrativa della pittura e i concetti più profondi di cui è portatrice. E semplicemente perché sono più bravo nella figurazione.

Solitamente dipingi dal vero o fai studi preparatori? Che ruolo svolge la fotografia nella definizione dei tuoi soggetti e composizioni? Oltre al tuo diretto intervento fotografico penso anche ad alcuni dipinti della serie Eschatos del 2017 che sono invece ispirati a fotografie di Roberto Conte…
Ho iniziato disegnando dal vero, spesso su piccoli taccuini, e non ho mai smesso. Parallelamente ho sempre documentato con fotografie le incursioni nei luoghi abbandonati sin dagli Anni Ottanta. È da questa osservazione che nascono i dipinti. Negli anni ho conosciuto diversi fotografi che amavano questi luoghi, in particolare Roberto, un amico con cui ho condiviso alcune stupende, avventurose e pericolose esplorazioni; è stato naturale in alcuni casi ispirarmi ai suoi scatti.

Andrea Chiesi, Eschatos 22, olio su lino, cm 100x140

Andrea Chiesi, Eschatos 22, olio su lino, cm 100×140

Quanto conta la tecnica?
La tecnica è il mezzo attraverso il quale si esprime la sostanza, quindi conta parecchio. Ma occorre la sostanza. La pittura è una pratica esperienziale, si migliora facendola. Non c’è altro modo. La pratica quotidiana della pittura, come insegna Richter.

Perché nelle tue opere la presenza umana è sempre evocata nella sua assenza? Non a caso tra i tuoi titoli figurano Kryptoi (letteralmente “i nascosti”) o Scomparse
Se ci fossero delle figure i luoghi sarebbero secondari, declassati ad ambientazioni. Gli spazi così invece diventano soggetti protagonisti. Inoltre l’assenza carica i luoghi di una sensazione indefinita, sospesa tra la minaccia e la salvezza.

Che significato ha il nero? Nero era il titolo della tua personale del 2005 da CorsoVeneziaOtto a Milano e di nero erano vestiti i già citati kryptoi, giovani antagonisti che vivevano ai margini della società a Sparta, evocati nel titolo della tua personale del 2008 sempre da CorsoVeneziaOtto. Il nero, la scala di grigi, i blu sono poi tra le dominanti delle tue composizioni…
Anche se amo tutti i colori ho sempre utilizzato una gamma cromatica abbastanza limitata, sia per raggiungere un risultato di maggiore astrazione complessiva dal reale, sia per evitare alcune frequenze cromatiche che sento distanti: utilizzo le varianti del blu, il grigio Payne, alcuni verdi tra cui il verde permanente scuro, e naturalmente il nero. Il nero è il codice essenziale. La materia da cui ha inizio l’Opera.

Per tua ammissione sei passato dall’indagine sul paesaggio contemporaneo, nel suo aspetto sociale e antropologico (a lungo hai indagato e mappato spazi abbandonati e interstiziali, rovine post-industriali, gasometri, periferie), al paesaggio come riflesso di inquietudine interiore e di meraviglia. Come è avvenuta tale trasformazione del tuo lavoro nel tempo? E perché il paesaggio resta, sempre e comunque, centrale nella tua ricerca?
È stata un’evoluzione lenta, quasi impercettibile, influenzata anche dalla posizione del mio studio, in una zona isolata circondata da alberi ribelli e matti. Dopo tanti anni ho raggiunto il massimo delle mie possibilità in alcuni argomenti, in alcuni soggetti, in un certo modo di osservare e di approcciarmi al paesaggio. Quindi, senza accorgermene, ho iniziato a fare altro. Un cambiamento formale e sostanziale. È come se, dato lo stesso luogo abbandonato, avessi dimenticato la struttura, l’architettura, l’intreccio geometrico, e mi fossi concentrato su tutto quello che avevo ignorato ed eliminato fino a quel momento in pittura: le piante colonizzatrici. Mi piacciono le erbacce, ai più danno fastidio ma io le trovo belle, riportano la vita dove la vita se n’era andata. Mi sono spostato da aspetti sociali, e in un qualche modo antropologici, a uno sguardo maggiormente interiore, tra la meraviglia del Barocco e il sublime del Romanticismo, virati in una forma contemporanea. Ancora il paesaggio perché è la metafora che ho trovato più appropriata per la rappresentazione di uno stato esistenziale e in fondo di tutta la condizione umana.

E più dei giardini ti attraggono i boschi. Perché?
Perché sono più punk. Nei giardini la selezione è fatta dall’uomo; nei boschi, in linea di principio, è assente l’azione umana. Mi commuove la natura selvaggia o ciò che si approssima maggiormente a questa condizione.

Andrea Chiesi, Ribalta 3, 2020, inchiostro e pennarelli su carta, cm 25x35

Andrea Chiesi, Ribalta 3, 2020, inchiostro e pennarelli su carta, cm 25×35

Dalla natura alle città: Modena, New York, Berlino… In che modo i luoghi da te vissuti hanno cambiato il tuo fare pittura, le tue prospettive, il tuo osservare le cose?
Le esperienze autobiografiche entrano in quel grande racconto che è la vita, trasformata da ogni artista (pittore, scrittore, musicista) in opera. È il segreto che differenzia l’opera da un semplice manufatto. Ogni esperienza viene osservata e vissuta in un modo differente, assorbita e poi restituita nel segno e nel colore. Dunque ogni luogo è trasfigurato, anche quando risulta riconoscibile, in quanto non più reale, filtrato dall’azione pittorica. Le città perdono il loro nome, diventano luoghi della mente.

Cosa è il tempo (che è anche il titolo di un tuo ciclo di dipinti del 2005) e come si rapporta con la tua pittura?
Il tempo fa parte delle manifestazioni illusorie, per questo è estremamente interessante osservarlo. La nostra civiltà è ossessionata dal tempo, eppure gli antichi non misuravano il tempo come noi, le ore si contavano dal sorgere del sole e il calendario era lunare. Il dipinto è fuori dal tempo; nella pittura il tempo è cristallizzato, catturato per sempre. Un po’ di pigmento su una superficie bidimensionale crea un’immagine portatrice di codici e di valori; è l’atto magico del pittore sciamano del Neolitico: il dipinto non raffigura l’animale, diventa l’animale stesso. Il pittore dunque crea un’illusione, un’immagine più vera del vero. Il pittore conosce l’abilità dei mezzi, sa come utilizzare un’illusione per mostrare la verità.

E l’ombra?
Dove c’è molta luce, l’ombra è più nera”, diceva Goethe. Sono le due parti complementari di noi stessi. Possiamo essere luce, possiamo essere ombra, dipende da noi. Per citare il Bardo Thodol tibetano: “In un attimo ci si perde, in un attimo ci si illumina”.

In precedenti interviste hai parlato della fascinazione per il lavoro dei monaci amanuensi. Hai avuto una educazione cattolica, quanto ora lo studio di testi buddhisti – hai citato proprio il Bardo Thodol sta influenzando il tuo lavoro?
Ho avuto l’educazione di un italiano nord-occidentale nato nella seconda metà del XX secolo, questa è indiscutibilmente una delle mie radici su cui ho strutturato il mio percorso personale. Se ti ricordi, la mostra-spettacolo realizzata con il Consorzio Suonatori Indipendenti nel 1999 era dedicata all’Apocalisse di Giovanni. L’arte sacra mi ha sempre attratto perché affronta in modo diretto LA questione centrale dell’uomo: il senso delle cose e ciò che accade dopo l’ultimo respiro. Per questo ho ampliato la ricerca oltre il Cristianesimo verso altre culture, e ho approfondito soprattutto il Buddhismo tibetano, perché tra tutte le filosofie religiose era quella che mi è apparsa la più convincente, e anche la più interessante dal punto di vista iconografico. Più che praticare meditazione ho cercato di trasformare la mia pittura IN meditazione, le strutture geometriche che dipingo sono i miei mandala, nella pittura ho cercato di dare forma ai concetti di impermanenza e vacuità. Ma non dipingo immagini sacre, mi sembrerebbe sacrilego, credo che solo un santo possa permetterselo.

Andrea Chiesi, Natura Vincit 4, 2020, olio su lino, cm 64x100

Andrea Chiesi, Natura Vincit 4, 2020, olio su lino, cm 64×100

Come nascono le performance legate ai tuoi dipinti, le sonorizzazioni o collaborazioni come, ad esempio, quelle con Consorzio Suonatori Indipendenti, appunto, e Officine Schwartz?
Sono state la naturale elaborazione di rapporti di amicizia. Credo che l’arte debba sostanzialmente comunicare ed essere popolare, arrivare cioè al maggior numero di persone, ma senza perdere i suoi caratteri precipui. Un dipinto ha più livelli di lettura e quindi di fruizione. È un’opera unica, che solitamente finisce nell’abitazione di un collezionista ed è contemplata da poche persone, ma può essere riprodotta e raggiungere un pubblico più vasto. Come copertina di un disco, ad esempio, avvicina un pubblico musicale e si intreccia con l’opera del musicista. Un dipinto utilizza il linguaggio delle immagini, e può essere letto più o meno da tutti grazie all’aspetto formale; ma al tempo stesso è portatore di significati e contenuti molto profondi, sottili e nascosti che si intrecciano con la cultura in generale, la filosofia, la religione, l’etica, la scienza, rivolti a un pubblico più ristretto.

E non possiamo poi non parlare dei CCCP e del tuo rapporto con Giovanni Lindo Ferretti…
Gli Anni Ottanta erano terribili, io ero un giovane disadattato, e il punk (e la sua derivazione post-punk) mi ha salvato, mostrandomi che era possibile una vita diversa da quella proposta dal mainstream. Tra l’altro la grafica essenziale in bianco e nero delle copertine dei dischi autoprodotti (penso ai Crass, ai Discharge, ai Black Flag, ai Joy Division) e delle fanzine dell’epoca mi ha lasciato un’impronta importante. I CCCP fedeli alla linea erano la cosa più entusiasmante che un ragazzo potesse ascoltare in quel periodo. Il rapporto con Giovanni è essenzialmente di profonda amicizia, maturata in oltre trent’anni di intrecci e collaborazioni. Non condivido certe sue posizioni, ma ammiro la sua coerenza. Poi lui è un mistico, e non può essere giudicato secondo modelli comuni.

Quali altre sono le tue fonti di ispirazione, tra letteratura, poesia, musica e cinema?
Dipende dai periodi. In questa fase ho approfondito alcuni autori della nostra letteratura, ho riattraversato il mondo dell’aldilà di Dante, ho seguito le contraddizioni di Petrarca, i tormenti di Tasso, le narrazioni di Battista Giraldi Cinzio… Tutto viene assorbito e ritorna in pittura.

Aprendo una riflessione sui recenti drammatici mesi che abbiamo vissuto, sei arrivato a interpretare il virus quale manifestazione della Natura. Parli però a questo proposito di una Natura non matrigna, di matrice leopardesca, ma semplicemente di una manifestazione vitale. Una serie di opere del 2020 si intitola proprio Natura Vincit. Mi piacerebbe approfondire…
Intendo il paesaggio in una accezione molto più ampia, fino a comprendere la Natura stessa. Natura Vincit perché la Natura è IL TUTTO. Vincerà sempre. La nostra specie ha provocato un cambiamento climatico che sta distruggendo il nostro stesso habitat, ma altre forme di vita si adatteranno e continueranno dopo di noi. Anche il Virus fa parte di questo meccanismo, in continua mutazione, in cui ogni essere cerca, in tutti i modi possibili, con ostinazione, gioia e disperazione, la vita. La Natura è un sistema di causa-effetto che lega indissolubilmente ogni forma, comprese quelle inorganiche. La Natura non è né madre, né matrigna, e neppure indifferente, è soltanto ciò che è.

Perché fare pittura oggi?
Perché dipingere è bellissimo.

Cosa pensi della situazione della pittura contemporanea italiana? Con la figura del kryptos denunciavi ai tempi una certa marginalità dell’artista rispetto al sistema… Il tuo punto di vista è cambiato?
La pittura si è sempre praticata e si praticherà sempre, la vitalità che trovi nelle mostre, nelle fiere, nei musei, anche da parte degli artisti di nuova generazione, è sorprendente. E il pubblico ama la pittura. Dipingere è faticoso e difficile, forse per questo molti preferiscono nuovi media, più facili da gestire e alla moda, specialmente tra i curatori. Ho la fortuna di insegnare in Accademia e trovo sempre nuovi pittori. Non mi sono mai posto il problema di entrare nel sistema dell’arte, del resto ho avuto un percorso sghembo e accidentato che non auguro a nessuno. Il mio principio interiore è sempre stato dipingere quello che sentivo. Tutto il resto è venuto di conseguenza. Tutto passa; in un periodo considerevolmente lungo la pittura resta.

‒  Damiano Gullì

http://www.andreachiesi.it/

LE PUNTATE PRECEDENTI

Pittura lingua viva #1 ‒ Gabriele Picco
Pittura lingua viva #2 ‒ Angelo Mosca
Pittura lingua viva #3 ‒ Gianluca Concialdi
Pittura lingua viva #4 – Michele Tocca
Pittura lingua viva #5 ‒ Lorenza Boisi
Pittura lingua viva#6 ‒ Patrizio Di Massimo
Pittura lingua viva#7 ‒ Fulvia Mendini
Pittura lingua viva#8 ‒ Valentina D’Amaro
Pittura lingua viva#9 ‒ Angelo Sarleti
Pittura lingua viva#10 ‒ Andrea Kvas
Pittura lingua viva#11 ‒ Giuliana Rosso
Pittura lingua viva#12 ‒ Marta Mancini
Pittura lingua viva #13 ‒ Francesco Lauretta
Pittura lingua viva #14 ‒ Gianluca Di Pasquale
Pittura lingua viva #15 ‒ Beatrice Meoni
Pittura lingua viva #16 ‒ Marta Sforni
Pittura lingua viva #17 ‒ Romina Bassu
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Pittura lingua viva #19 ‒ Vera Portatadino
Pittura lingua viva #20 ‒ Guglielmo Castelli
Pittura lingua viva #21 ‒ Riccardo Baruzzi
Pittura lingua viva #22 ‒ Gianni Politi
Pittura lingua viva #23 ‒ Sofia Silva
Pittura lingua viva #24 ‒ Thomas Berra
Pittura lingua viva #25 ‒ Giulio Saverio Rossi
Pittura lingua viva #26 ‒ Alessandro Scarabello
Pittura lingua viva #27 ‒ Marco Bongiorni
Pittura lingua viva #28 ‒ Pesce Kethe
Pittura lingua viva #29 ‒ Manuele Cerutti
Pittura lingua viva #30 ‒ Jacopo Casadei
Pittura lingua viva #31 ‒ Gianluca Capozzi
Pittura lingua viva #32 ‒ Alessandra Mancini
Pittura lingua viva #33 ‒ Rudy Cremonini
Pittura lingua viva #34 ‒ Nazzarena Poli Maramotti
Pittura lingua viva #35 – Vincenzo Ferrara
Pittura lingua viva #36 – Luca Bertolo
Pittura lingua viva #37 – Alice Visentin
Pittura lingua viva #38 – Thomas Braida
Pittura lingua viva #39 – Andrea Carpita
Pittura lingua viva #40 – Valerio Nicolai
Pittura lingua viva #41 – Maurizio Bongiovanni
Pittura lingua viva #42 – Elisa Filomena
Pittura lingua viva #43 – Marta Spagnoli
Pittura lingua viva #44 – Lorenzo Di Lucido
Pittura lingua viva #45 – Davide Serpetti
Pittura lingua viva #46 – Michele Bubacco
Pittura lingua viva #47 – Alessandro Fogo
Pittura lingua viva #48 – Enrico Tealdi
Pittura lingua viva #49 – Speciale OPENWORK
Pittura lingua viva #50 – Bea Bonafini
Pittura lingua viva #51 – Giuseppe Adamo
Pittura lingua viva #52 – Speciale OPENWORK (II)
Pittura lingua viva #53 ‒ Chrysanthos Christodoulou 
Pittura lingua viva #54 – Amedeo Polazzo
Pittura lingua viva #55 – Ettore Pinelli
Pittura lingua viva #56 – Stanislao Di Giugno
Pittura lingua viva #57 – Andrea Barzaghi
Pittura lingua viva #58 – Francesco De Grandi
Pittura lingua viva #59 – Enne Boi
Pittura lingua viva #60 – Alessandro Giannì
Pittura lingua viva #61‒ Elena Ricci
Pittura lingua viva #62 – Marta Ravasi
Pittura lingua viva #63 – Maddalena Tesser
Pittura lingua viva #64 – Luigi Presicce
Pittura lingua viva #65 – Alessandro Sarra
Pittura lingua viva #66 – Fabio Marullo
Pittura lingua viva #67 – Oscar Giaconia
Pittura lingua viva #68 – Andrea Martinucci
Pittura lingua viva #69 – Viola Leddi
Pittura lingua viva #70 – Simone Camerlengo
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Pittura lingua viva #72 – Diego Gualandris
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Pittura lingua viva #74 ‒ Alfredo Camerottti e Margherita de Pilati

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Damiano Gullì

Damiano Gullì

Damiano Gullì (Fidenza, 1979) vive a Milano. I suoi ambiti di ricerca sono l’arte contemporanea e il design. Da aprile 2022 è curatore per l'Arte contemporanea e il Public Program di Triennale Milano. Dal 2020 è stato Head Curator del…

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