Pittura lingua viva. Intervista ad Alessandro Pessoli

Viva, morta o X? 78esimo appuntamento con la rubrica dedicata alla pittura contemporanea in tutte le sue declinazioni e sfaccettature attraverso le voci di alcuni dei più interessanti artisti italiani: dalla pittura “espansa” alla pittura pittura, dalle contaminazioni e slittamenti disciplinari al dialogo con il fumetto e l’illustrazione fino alla rilettura e stravolgimento di tecniche e iconografie della tradizione.

Alessandro Pessoli è nato a Cervia nel 1963. Si diploma nel 1989 all’Accademia di Belle Arti di Bologna, nel 1992 si trasferisce a Milano dove vive fino al 2008. L’anno seguente si trasferisce a Los Angeles. Tra le mostre personali, quelle al Drawing Center, New York; al MAN Museo d’Arte della Provincia di Nuoro; alla Triennale di Milano; al Nouveau Musée National de Monaco; al Museum of Modern Art di San Francisco; alla 53esima Biennale di Venezia; alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia.

Proprio su queste pagine hai raccontato a Irene Biolchini il tuo rapporto con la ceramica. Come ti sei invece avvicinato alla pittura, che ha rappresentato una fase precedente ed è tuttora un mezzo espressivo con cui lavori e ti confronti costantemente? 
Ho sempre disegnato e dipinto fin da quando ero un bambino. Ricordo a 10 anni la soddisfazione di partecipare a un concorso di pittura. Mi premiarono con delle stampe di Hieronymus Bosch che mia madre fece sparire dalla mia stanza perché le facevano paura. Ho un percorso classico, l’Istituto d’Arte per il Mosaico di Ravenna e l’Accademia di Belle Arti di Bologna

Anche il ricamo all’inizio della tua carriera è stato presente.
I ricami sono lavori dei primi Anni Novanta. Cominciati nel 1989, l’ultimo anno di Accademia a Bologna, cercavo di utilizzare qualsiasi cosa mi interessasse copiando stili molto diversi, lo facevo fin dall’Istituto d’arte, dove avevo saccheggiato il Futurismo e il resto delle avanguardie. In Accademia mescolavo tutto insieme con la Transavanguardia e l’Arte Povera come orizzonte, non copiavo esattamente il lavoro di un artista, ma piuttosto le atmosfere, i materiali, a volte gli atteggiamenti, ricombinando insieme artisti diversi. Quando ho cominciato personalmente a ricamare questi piccoli arazzi, nella mia testa c’erano Alighiero Boetti, Joseph Beuys, i teschi di Enzo Cucchi, l’estetica fredda di Rosemarie Trockel, il lavoro sulla memoria e il fascismo di Fabio Mauri. Usavo testi come “Arbeit macht frei”, oppure frasi come “Poco Mangiare”, dove mi riferivo al razzismo nei confronti dei primi extracomunitari. Sono lavori colorati, piacevoli, ma con un messaggio opposto, greve, cupo, ossessivo. Il risultato era una sorta di espressionismo trattenuto, in fondo come adesso.

Hai già citato artisti e movimenti cui hai guardato e che sono stati motivo di ispirazione. Chi sono gli altri Maestri e artisti importanti per la tua formazione?
Gli anni importanti della mia formazione sono stati gli Anni Ottanta e i primi Anni del Novanta. Dopo, il lavoro ha una struttura portante su cui ho costruito la mia individualità. La pittura degli Anni Ottanta ha un peso su come imposto il dipinto o immagino una figura, una sorta di imprinting ricevuto a 20 anni. Baselitz, Cucchi, Clemente, Kippenberger, Polke: questa è l’influenza di cui sono più cosciente e insieme quella che non vedo più.

La tua è una pittura veloce o lenta?
Veloce. Difficilmente lavoro su un singolo quadro più di mese senza avere una crisi di nervi e tirare calci a quello che mi sta attorno. Superato questo tempo, significa che ho dipinto almeno tre o quattro quadri possibili sulla stessa tela e nessuno mi andava bene. Immagina la mia frustrazione!

Alessandro Pessoli, Slave of West, 2017, olio, pittura spray e acrilico su tela, 110x100 cm. Courtesy Anton Kern Gallery

Alessandro Pessoli, Slave of West, 2017, olio, pittura spray e acrilico su tela, 110×100 cm. Courtesy Anton Kern Gallery

LA PITTURA SECONDO ALESSANDRO PESSOLI

In alcuni tuoi lavori si alternano e convivono forti dettagli realistici con momenti di disfacimento delle forme che sfiorano l’astrazione. Perché in generale la scelta di un linguaggio prevalentemente figurativo?
I dipinti a cui ti riferisci sono recenti. Ho cominciato qui a Los Angeles a inserire sulle figure dettagli realistici, fotografici, utilizzando la struttura aperta del collage. Combino maniere differenti di dipingere per comporre o disgregare la figura che è attraversata da questi grumi di realtà: gelati, birre, scarpe, frutta, cibo, occhi, bocche, organi sessuali, feci, pistole fino ai disegni fatti dei miei figli, che copio ridipingendoli sulla tela. Quello che mi attrae nel dipingere figure è la permanenza quasi fisica della figura, la sua resistenza, nonostante tutto quello che puoi rovesciarle sopra, continua a mantenere una grande forza narrativa. L’astrazione in me diventa una coperta corta che non copre l’intero campo, posso utilizzarla ma poi dipingo sempre un paio d’occhi, una mano, una faccia che mi guarda.

Per te la pittura è un fine o un mezzo?
Entrambe le cose.

Hai affermato: “Disegnare, modellare, dipingere, non cambia molto, questo processo di distruzione e costruzione è sempre lo stesso. La novità è che a volte faccio il contrario, da qualche anno per ogni mostra ho dei quaderni privati dove per esempio ho disegnato le ceramiche copiandole dal vero dopo averle finite”. Sta continuando questo scambio dalla ceramica al disegno?
No, ho smesso. Per qualche tempo ho disegnato dal vero le mie ceramiche una volta finite. Mi rilassava, non volevo investigare o provare delle variazioni, ma banalmente copiare descrivendo in modo convenzionale le forme, non muovevo nulla di strutturale della ceramica e del disegno, alla fine è rimasto un piacere personale, una sorta di nostalgia. Un po’ come vedersi da lontano morti.

Come, in generale, si è trasformato il tuo lavoro nel tempo?
Ha attraversato atmosfere, sedimentato immagini che slittavano da un registro comico e surreale a uno drammatico e grottesco, a volte tutto arrivava insieme. Negli Anni Novanta usavo la candeggina sull’inchiostro, inventavo figure che svanivano e riapparivano dentro aloni di luce oppure utilizzavo il monotipo con il colore a olio impiegando la fotografia come base di partenza, ma la stampa schiacciava le figure dentro macchie e deformazioni. Negli Anni Duemila le immagini sono diventate più stabili, usavo molto le tempere su carta e sulla tela ho cominciato a combinare insieme l’olio, lo smalto, la vernice spray, una sorta di sintesi delle fasi precedenti, cosa che faccio tuttora. La mia figurazione non è mai stata nitida, senza incidenti, distorsioni, forzature, ognuna di queste fasi ha maturato una sua tipica maniera, ma questa anarchia dell’immagine, il suo sfuggire una definizione stabile è l’elemento di continuità, una particolarità che cerco di salvaguardare perché mi appare come la realtà vitale dell’immagine.

Alessandro Pessoli, Eva (Maddalena), 2019, olio, pittura spray, pastelli a olio, tempera, pastelli e collage su tela, 140x196 cm. Courtesy Nino Mier Gallery

Alessandro Pessoli, Eva (Maddalena), 2019, olio, pittura spray, pastelli a olio, tempera, pastelli e collage su tela, 140×196 cm. Courtesy Nino Mier Gallery

DISEGNO, COLORE E MODELLI DI PESSOLI

E il disegno che ruolo svolge? Penso all’imponente ciclo Note della Spesa del 1990, esposto per la prima volta in Triennale a Milano a Ennesima, nel 2015, o, ancora, a tuoi lavori in stop motion come Caligola (1999-2002) e Autoritratto Petrolini (2014) in cui si aggiunge l’elemento dell’animazione.
Il disegno è stato il modo di far lievitare un Tutto Pieno iniziale, di ricombinarlo in varie declinazioni, attraverso cicli di immagini. Note della Spesa è il primo grande nucleo di disegni composto da più di 1600 piccoli fogli, dove arte, religione, politica, letteratura, storia si relazionano in un gioco di rimandi e associazioni. In sé è già lo storyboard di Caligola, una sorta di rappresentazione del circo umano nel suo continuo rotolare su se stesso. Autoritratto Petrolini l’ho realizzato qui a Los Angeles, la canzone e la figura di Ettore Petrolini sono il tentativo di vedermi attraverso le mie origini, guardo a me stesso e all’Italia in lontananza, in entrambe le animazioni c’è l’aiuto di Gianluigi Toccafondo e Massimo Salvucci che era il suo montatore.

Mi piacerebbe approfondire come è nato questo tuo rapporto con Gianluigi Toccafondo.
Con Gianluigi ci siamo conosciuti penso nel 1998 a Bologna, vivevamo entrambi a Milano ma non ci eravamo mai incontrati. Quando gli dissi che mi sarebbe piaciuto fare un’animazione, mi invitò al suo studio. Lavorava insieme a un gruppo di persone, più che assistenti erano la sua famiglia. Fra di loro pensavano che avrei lasciato perdere in fretta, non ero il primo artista che voleva provarci. Disegnare in sequenza su carta si traduceva in noiose giornate di lavoro dove nel disegno e nella pittura non succedeva quasi nulla. Ore e ore solo per vedere cinque secondi di animazione che passano via in un lampo. All’inizio è stato davvero frustrante, ma con Gianluigi e il resto del gruppo cominciò una vera amicizia, mi adottarono e diventai una presenza costante a Studio Nino. Questa fu la svolta che mi permise di andare avanti. Lavoravo nel mio studio sia a Caligola sia alle mie mostre, ma ero sempre con loro. Questo ha allungato il tempo dedicato al film, lo ha fatto crescere. Fra cene, discussioni, idee, suggerimenti, feste, balli e sbronze, passarono tre anni e dopo innumerevoli versioni con Massimo che mi montava le sequenze siamo arrivati a quella finale. Anche con Autoritratto Petrolini, Gianluigi e Massimo mi hanno dato una mano a distanza, ma non ho avuto il conforto di quella vita in comune, solo due intensi mesi di lavoro solitario senza pause, per coprire i due minuti dell’intera canzone.

Cosa rappresentano invece i cartoon per te? E una figura come Bruno Bozzetto?
È un materiale duttile per descrivere un ampio spettro di caratteri, la delicatezza dell’infanzia e il fantasticare del mondo adulto. Bruno Bozzetto è la TV guardata con i miei genitori da bambino e, da genitore, con i miei figli. Come Petrolini, è un pezzo del mio Paese ricevuto in eredità.

La storia, la memoria, la religione, il tragico, il grottesco, l’ironia… Come convivono nei tuoi lavori? Come scegli i tuoi soggetti e i titoli delle tue opere? Quali le tue fonti iconografiche?
Non sono cose separate, ma intrecciate fra loro, le nostre cose nell’alto e nel basso. Non faccio altro che lavorare su quello che siamo da secoli. I titoli chiudono e aprono delle visioni. Sono altre immagini.

Cos’è il colore? Quanto conta la tecnica?
Il colore è la sensualità del dipinto, la comunicazione profonda non verbale del linguaggio pittorico. Ultimamente lo uso per contrasto, per eccessi più che accordi. La tecnica ha ovviamente importanza, ma non ne ho una precisa, neanche mi piace come idea. Utilizzo tante convenzioni e modi diversi, sopporto male iniziare e finire un dipinto con gli stessi gesti, voglio arrivare in fretta al momento che potrebbe sorprendermi e farmi felice.

Alessandro Pessoli, Adorned King, 2020, olio, pittura spray e pastelli a olio su tela, 145x160 cm. Courtesy Havier Hufkens Gallery

Alessandro Pessoli, Adorned King, 2020, olio, pittura spray e pastelli a olio su tela, 145×160 cm. Courtesy Havier Hufkens Gallery

LA PITTURA OGGI

Da cosa trai ispirazione, tra letteratura, poesia, musica e cinema?
Dalla vita reale, dalle sue difficoltà e dalla sua bellezza. Per esempio, Los Angeles e i miei figli che stanno crescendo. Mi viene in mente un dipinto come A del 2017, un albero accennato in modo sommario, una sorta di corpo spoglio dove sull’unico ramo rattoppato e trafitto da un uccello colorato, disegnato dai miei figli, fioriscono tre mele. La mia faccia condensata in un grande naso e occhi spalancati si appoggia al tronco. Appesi a questo gruppo di figure contrastanti ci sono, descritti come un cartoon, dei candelotti di dinamite con la miccia accesa pronti a far esplodere ogni cosa. In A tutto esiste dentro uno spazio vuoto, fra cruda realtà e fantasia, livore e benevolenza, speranza e delusione. Per me vivere qui è come essere nel punto terminale della mia cultura occidentale, ne vivo personalmente le contraddizioni in modo molto più inteso di quando ero a Milano.

Perché fare pittura oggi?
Rimane il linguaggio più semplice e sofisticato per un artista visivo.

Anche alla luce della tua vita a Los Angeles, cosa pensi della situazione della pittura contemporanea italiana? Riesci a fare dei paragoni tra le due scene artistiche?
La stragrande parte delle mie informazioni passa attraverso Instagram o Internet, dove non faccio queste distinzioni geografiche. Seguo artisti americani ed europei ma non trovo delle differenze sostanziali. Da anni c’è una condivisione quotidiana di informazioni, più o meno le stesse per tutti. Le differenze riaffiorano nella rivendicazione di una specifica cultura, penso agli artisti afroamericani oppure ad altri tipi di minoranze per le quali l’arte diventa una dichiarazione identitaria.

Damiano Gullì

LE PUNTATE PRECEDENTI

Pittura lingua viva #1 ‒ Gabriele Picco
Pittura lingua viva #2 ‒ Angelo Mosca
Pittura lingua viva #3 ‒ Gianluca Concialdi
Pittura lingua viva #4 – Michele Tocca
Pittura lingua viva #5 ‒ Lorenza Boisi
Pittura lingua viva#6 ‒ Patrizio Di Massimo
Pittura lingua viva#7 ‒ Fulvia Mendini
Pittura lingua viva#8 ‒ Valentina D’Amaro
Pittura lingua viva#9 ‒ Angelo Sarleti
Pittura lingua viva#10 ‒ Andrea Kvas
Pittura lingua viva#11 ‒ Giuliana Rosso
Pittura lingua viva#12 ‒ Marta Mancini
Pittura lingua viva #13 ‒ Francesco Lauretta
Pittura lingua viva #14 ‒ Gianluca Di Pasquale
Pittura lingua viva #15 ‒ Beatrice Meoni
Pittura lingua viva #16 ‒ Marta Sforni
Pittura lingua viva #17 ‒ Romina Bassu
Pittura lingua viva #18 ‒ Giulio Frigo
Pittura lingua viva #19 ‒ Vera Portatadino
Pittura lingua viva #20 ‒ Guglielmo Castelli
Pittura lingua viva #21 ‒ Riccardo Baruzzi
Pittura lingua viva #22 ‒ Gianni Politi
Pittura lingua viva #23 ‒ Sofia Silva
Pittura lingua viva #24 ‒ Thomas Berra
Pittura lingua viva #25 ‒ Giulio Saverio Rossi
Pittura lingua viva #26 ‒ Alessandro Scarabello
Pittura lingua viva #27 ‒ Marco Bongiorni
Pittura lingua viva #28 ‒ Pesce Kethe
Pittura lingua viva #29 ‒ Manuele Cerutti
Pittura lingua viva #30 ‒ Jacopo Casadei
Pittura lingua viva #31 ‒ Gianluca Capozzi
Pittura lingua viva #32 ‒ Alessandra Mancini
Pittura lingua viva #33 ‒ Rudy Cremonini
Pittura lingua viva #34 ‒ Nazzarena Poli Maramotti
Pittura lingua viva #35 – Vincenzo Ferrara
Pittura lingua viva #36 – Luca Bertolo
Pittura lingua viva #37 – Alice Visentin
Pittura lingua viva #38 – Thomas Braida
Pittura lingua viva #39 – Andrea Carpita
Pittura lingua viva #40 – Valerio Nicolai
Pittura lingua viva #41 – Maurizio Bongiovanni
Pittura lingua viva #42 – Elisa Filomena
Pittura lingua viva #43 – Marta Spagnoli
Pittura lingua viva #44 – Lorenzo Di Lucido
Pittura lingua viva #45 – Davide Serpetti
Pittura lingua viva #46 – Michele Bubacco
Pittura lingua viva #47 – Alessandro Fogo
Pittura lingua viva #48 – Enrico Tealdi
Pittura lingua viva #49 – Speciale OPENWORK
Pittura lingua viva #50 – Bea Bonafini
Pittura lingua viva #51 – Giuseppe Adamo
Pittura lingua viva #52 – Speciale OPENWORK (II)
Pittura lingua viva #53 ‒ Chrysanthos Christodoulou 
Pittura lingua viva #54 – Amedeo Polazzo
Pittura lingua viva #55 – Ettore Pinelli
Pittura lingua viva #56 – Stanislao Di Giugno
Pittura lingua viva #57 – Andrea Barzaghi
Pittura lingua viva #58 – Francesco De Grandi
Pittura lingua viva #59 – Enne Boi
Pittura lingua viva #60 – Alessandro Giannì
Pittura lingua viva #61‒ Elena Ricci
Pittura lingua viva #62 – Marta Ravasi
Pittura lingua viva #63 – Maddalena Tesser
Pittura lingua viva #64 – Luigi Presicce
Pittura lingua viva #65 – Alessandro Sarra
Pittura lingua viva #66 – Fabio Marullo
Pittura lingua viva #67 – Oscar Giaconia
Pittura lingua viva #68 – Andrea Martinucci
Pittura lingua viva #69 – Viola Leddi
Pittura lingua viva #70 – Simone Camerlengo
Pittura lingua viva #71 – Davide Ferri
Pittura lingua viva #72 – Diego Gualandris
Pittura lingua viva #73 – Paola Angelini
Pittura lingua viva #74 ‒ Alfredo Camerottti e Margherita de Pilati
Pittura lingua viva #75 – Andrea Chiesi
Pittura lingua viva #76 – Daniele Innamorato
Pittura lingua viva #77 – Federica Perazzoli

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Damiano Gullì

Damiano Gullì

Damiano Gullì (Fidenza, 1979) vive a Milano. I suoi ambiti di ricerca sono l’arte contemporanea e il design. Da aprile 2022 è curatore per l'Arte contemporanea e il Public Program di Triennale Milano. Dal 2020 è stato Head Curator del…

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