Pittura lingua viva. Parola a Stanislao Di Giugno

Viva, morta o X? 56esimo appuntamento con la rubrica dedicata alla pittura contemporanea in tutte le sue declinazioni e sfaccettature attraverso le voci di alcuni dei più interessanti artisti italiani: dalla pittura "espansa" alla pittura pittura, dalle contaminazioni e slittamenti disciplinari al dialogo con il fumetto e l'illustrazione fino alla rilettura e stravolgimento di tecniche e iconografie della tradizione.

Stanislao Di Giugno è nato nel 1969. Vive e lavora a Roma. Tra le sue mostre recenti: En plein air, Studioli, Roma, 2018; Cinque Mostre ‒ Vision(s), American Academy, Roma, 2017; Deserted Corners, Collapsing Thoughts, personale, Galleria Tiziana Di Caro, Napoli, 2016; Granpalazzo, Zagarolo, Roma, 2016; Fold, doppia personale con Ian Tweedy, Sammlung Lenikus, Vienna, 2015; La scrittura degli echi, nell’ambito di The Independent, MAXXI, Roma, 2015.

Come ti sei avvicinato alla pittura?
Attrazione fatale. Fin da bambino andavo spesso con mio padre a vedere mostre di pittura.

Quali sono i maestri e gli artisti cui guardi?
Guardo tutto: sono onnivoro di immagini e di dettagli soprattutto. Difficile fare un elenco. Ho sempre trovato grandi assonanze tra artisti anche molto lontani nel tempo. Alcuni dettagli di Beato Angelico sono molto vicini al modo di trattare il colore di Neo Rauch. Sono stato innamorato di artisti molto diversi tra loro, Francis Bacon, Giorgio Morandi, Mark Rothko, Sean Scully Ora guardo molto gli espressionisti astratti americani e i miei contemporanei.

Perché la scelta di un linguaggio astratto?
Non è una scelta che si prende a tavolino, ma la conseguenza di un modo di lavorare. Carmelo Bene diceva: “Io non recito, io amplifico”. Anche io non cito una cosa, lavoro sulla cosa. La scelta è di non rappresentare la realtà ma di indagarla.

Stanislao Di Giugno, Wien sensation #8, 2015, acrylic and plaster on canvas,120x90 cm

Stanislao Di Giugno, Wien sensation #8, 2015, acrylic and plaster on canvas,120×90 cm

Come questa scelta si inserisce nel tuo percorso che contempla anche pittura figurativa, collage, installazione, lavoro sul suono, scultura? E, ancora, ragioni in termini di pittura espansa o riconosci la specificità di ogni mezzo a seconda di quello che vuoi comunicare in un determinato momento?
La pittura figurativa è un capitolo che appartiene al passato della mia pratica, non ho mai esposto figurazione. Il collage mi ha permesso di concentrarmi sull’aspetto compositivo partendo da elementi reali e selezionati. Ho sempre avuto un’attrazione compulsiva per le sfumature dei colori della fotografia pubblicitaria che trovo sulle pagine di un magazine, così come per oggetti che trovo per strada e che non posso fare a meno di non raccogliere. Questa collezione di colori e forme estrapolate dal loro contesto originario è la base di partenza per collage e sculture astratte dove non si ha più cognizione dello stato originario dal quale questi oggetti derivano. Il collage mi ha aiutato, e mi aiuta tuttora, a restringere lo spettro di possibilità che nella pittura è infinito. Lo stesso discorso vale per la scultura che nella mia pratica prende spesso la forma di assemblaggi di porzioni di oggetti esistenti. Considero l’installazione una scultura espansa. Per quanto riguarda il suono, posso dire che ho fatto dei lavori sonori, non lavoro con il suono. Ho fatto dei lavori in passato che hanno preso la forma di video e di installazioni sonore. Sono dei lavori che partono da un’idea e che poi vengono realizzati. Quindi un processo opposto alla mia pratica pittorica che è fatta di lavoro con la materia della pittura e che non realizza mai un’idea o un progetto prestabilito. Riconosco quindi la specificità di ogni singolo mezzo.

Quale, invece, il rapporto con il design?
Sono affascinato, come credo tutti, dal design di uno smartphone, di un’automobile. Gli oggetti ci rassicurano e sembrano completarci. Ci illudono. Sono, come ti dicevo, un collezionista compulsivo di parti di oggetti che trovo e raccolgo. Mi interessa molto seguire come a distanza di qualche anno il design di molti oggetti assuma forme spezzate, poi tonde, poi un graduale mix delle due componenti per poi ricominciare un nuovo ciclo.

Che funzione ha il disegno nella tua pratica e in relazione alle tue opere?
Nessuna direi. Non parto mai dal disegno per realizzare un quadro. Le campiture, le linee che si formano, si creano per il sovrapporsi di strati di colore. A volte uso la matita e il carboncino come riscaldamento per mettere in connessione mente e corpo, come un atleta che si riscalda, ma questo non ha niente a che fare con il lavoro che andrò a fare, non è` mai uno studio preliminare.

Stanislao Di Giugno, Untitled, 2010, magazine paper on cardboard, 40x30 cm framed

Stanislao Di Giugno, Untitled, 2010, magazine paper on cardboard, 40×30 cm framed

Nella costruzione delle tue composizioni, nella definizione dei tuoi immaginari che posto ha la storia dell’arte?
Difficile rispondere. Cerco di fare tabula rasa e di avere un’esperienza completamente libera mentre lavoro. È forse impossibile non avere riferimenti ed essere completamente liberi, ma è quello cui tendo. Anche se la maggior parte dei miei lavori ha anche una struttura geometrica ben definita, in realtà il mio atteggiamento, la mia disposizione nell’atto di lavorare è quella di un espressionista astratto.

Come il tuo lavoro si è trasformato nel tempo?
Come ti dicevo, ho realizzato per anni lavori installativi, scultorei, sonori che avevano come punto di partenza un’idea da formalizzare. Ora non ho più punti di arrivo. L’idea, l’oggetto del lavoro è il lavoro stesso e la dedizione ai materiali di cui il lavoro si compone.

Rigore, geometria, razionalità come convivono nelle tue opere con una matrice più emozionale e, come già dicevi tu, espressionista?
Inizio dipingendo qualcosa che chiama altri segni senza prestare attenzione ai dettagli fino a quando questa fase si esaurisce. Poi inizio una nuova fase che in genere copre completamente la prima e salva forse qualche dettaglio e così vado avanti per un numero sempre diverso di volte, guidato solo da quello che è stato dipinto e da un costante sentimento di insoddisfazione. La geometria è una conseguenza della ripetizione delle stratificazioni che, annullando e coprendo il lavoro precedente, in qualche modo organizza lo spazio in geometrie e campiture che lasciano trasparire nelle aree di giunzione gli strati sottostanti. È per questo che dicevo che l’oggetto della pittura è la pittura stessa. È il lavoro stesso che ti guida ad andare avanti. Mi fermo quando non sono in grado di andare avanti. Questo succede nella mia testa quando percepisco la composizione come un unicum. Anche se composto da parti contrastanti, un lavoro deve avere una voce sola per me o un accordo di voci.

Stanislao Di Giugno

Stanislao Di Giugno

La stratificazione, appunto, il ripensamento, la velatura. Cosa significano per te?
Non sono ripensamenti ma asserzioni successive che annullano quasi completamente quelle che le precedono. Un quadro finito è come un condensato temporale fatto di stratificazioni di tempi e umori, anche molto diversi e discordanti, che trovano una ragione di coesistere spazialmente. Cito Sean Scully, che, a sua volta, citava qualcun altro che ora non ricordo, e più o meno diceva: “Il tempo è stato inventato per evitare che tutte le cose accadano nello stesso momento”. Quello che un buon quadro e una buona opera in genere fanno è proprio il contrario cioè, come dicevo prima, condensare temporalmente e spazialmente diversi eventi in uno solo.

Quanto conta la tecnica?
Ognuno ha la sua. La tecnica deve essere funzionale a chi la usa per raggiungere i suoi scopi, non dovrebbe mai essere messa in mostra.

E che ruolo ha il colore?
Il colore è un universo infinito. A forza di lavorare capisci quali colori ti appartengono e sono funzionali al tuo lavoro e la tavolozza in genere si restringe con il tempo. I colori li devi sentire prima di capirli.

Ci sono formati o tecniche che prediligi?
Ultimamente prediligo i grandi formati. Sempre verticali. Il verticale è per me il primo livello di astrazione, è per definizione lontano dall’idea di paesaggio, di natura, lontano dal caos del mondo reale. Spesso lavoro sulla tela stelaiata all’inizio. Lavoro la tela sul muro, sul pavimento e su altre superfici e a volte piego la tela seguendo linee rette per delimitare aree di intervento. Queste pieghe rimangono evidenti anche a lavoro finito e, anche se successivamente rimesse in piano, conferiscono alla tela un aspetto scultoreo e una struttura ambigua che illude la vista, giocando tra bidimensionalità e tridimensionalità reale o presunta.

Le peculiarità fisiche dei materiali cosa rappresentano per te?
Sono tutto. Non ci sono due neri uguali e gli stessi cambiano in relazione al supporto, al tipo di tela, alla sua grana, alla sua preparazione, a quanto è tesa sul telaio, agli strumenti che usi per dare il colore. Le peculiarità dei singoli materiali sono una grande parte della composizione.

La tua è una pittura lenta o veloce?
Veloce ma ripetuta nel tempo. È fatta di tante azioni rapide che si stratificano, intervallate da lunghe attese che precedono una successiva azione rapida. Le attese meditano sull’azione come un predatore che, avvistata una preda, cerca di calcolare tutto prima dell’azione.

Lavori in studio?
Sì, lo studio è fondamentale. Hai la tua solitudine e la tua libertà. Nessuno ti guarda.

Come nascono i titoli delle tue opere?
Frasi di canzoni che ascolto mentre dipingo, commenti sui social network, frasi di letture. Qualsiasi cosa corrisponda al lavoro finito e gli conferisca una lettura aperta.

Quanto, dunque, la musica, il cinema, la letteratura influiscono sui tuoi lavori e sulla tua poetica?
La musica è l’unica compagna di studio. Non lavoro mai senza musica. Diciamo che tra il pensare la pittura e il farla c’è un gap incolmabile. Ci sono però alcuni pensatori che, pur parlando di altre cose o dello statuto dell’immagine nella nostra epoca, mi hanno fatto riflettere molto e in qualche modo hanno influenzato il mio modo di rapportarmi alla creazione. Fra tutti, Giorgio Agamben e Werner Herzog.

Come definiresti la tua pittura?
Contemplativa.

Cosa significa fare pittura oggi?
È, prima di tutto, una grande sfida perché la pittura nasce con l’uomo. È poi un atto di sincerità e coraggio mettersi di fronte al vuoto e creare un’immagine in un mondo di schermi e immagini che si susseguono senza tregua a folle velocità. Vuol dire riappropriarsi di un tempo diverso, meditativo-contemplativo. Quindi vuol dire anche proporre qualcosa di diverso dalla quotidianità.

Cosa pensi della scena della pittura italiana contemporanea?
Incredibilmente più ricca di quanto si potesse pensare un decennio fa. O, forse, si sta solo prestando più attenzione.

‒ Damiano Gullì

LE PUNTATE PRECEDENTI

Pittura lingua viva #1 ‒ Gabriele Picco
Pittura lingua viva #2 ‒ Angelo Mosca
Pittura lingua viva #3 ‒ Gianluca Concialdi
Pittura lingua viva #4 – Michele Tocca
Pittura lingua viva #5 ‒ Lorenza Boisi
Pittura lingua viva#6 ‒ Patrizio Di Massimo
Pittura lingua viva#7 ‒ Fulvia Mendini
Pittura lingua viva#8 ‒ Valentina D’Amaro
Pittura lingua viva#9 ‒ Angelo Sarleti
Pittura lingua viva#10 ‒ Andrea Kvas
Pittura lingua viva#11 ‒ Giuliana Rosso
Pittura lingua viva#12 ‒ Marta Mancini
Pittura lingua viva #13 ‒ Francesco Lauretta
Pittura lingua viva #14 ‒ Gianluca Di Pasquale
Pittura lingua viva #15 ‒ Beatrice Meoni
Pittura lingua viva #16 ‒ Marta Sforni
Pittura lingua viva #17 ‒ Romina Bassu
Pittura lingua viva #18 ‒ Giulio Frigo
Pittura lingua viva #19 ‒ Vera Portatadino
Pittura lingua viva #20 ‒ Guglielmo Castelli
Pittura lingua viva #21 ‒ Riccardo Baruzzi
Pittura lingua viva #22 ‒ Gianni Politi
Pittura lingua viva #23 ‒ Sofia Silva
Pittura lingua viva #24 ‒ Thomas Berra
Pittura lingua viva #25 ‒ Giulio Saverio Rossi
Pittura lingua viva #26 ‒ Alessandro Scarabello
Pittura lingua viva #27 ‒ Marco Bongiorni
Pittura lingua viva #28 ‒ Pesce Kethe
Pittura lingua viva #29 ‒ Manuele Cerutti
Pittura lingua viva #30 ‒ Jacopo Casadei
Pittura lingua viva #31 ‒ Gianluca Capozzi
Pittura lingua viva #32 ‒ Alessandra Mancini
Pittura lingua viva #33 ‒ Rudy Cremonini
Pittura lingua viva #34 ‒ Nazzarena Poli Maramotti
Pittura lingua viva #35 – Vincenzo Ferrara
Pittura lingua viva #36 – Luca Bertolo
Pittura lingua viva #37 – Alice Visentin
Pittura lingua viva #38 – Thomas Braida
Pittura lingua viva #39 – Andrea Carpita
Pittura lingua viva #40 – Valerio Nicolai
Pittura lingua viva #41 – Maurizio Bongiovanni
Pittura lingua viva #42 – Elisa Filomena
Pittura lingua viva #43 – Marta Spagnoli
Pittura lingua viva #44 – Lorenzo Di Lucido
Pittura lingua viva #45 – Davide Serpetti
Pittura lingua viva #46 – Michele Bubacco
Pittura lingua viva #47 – Alessandro Fogo
Pittura lingua viva #48 – Enrico Tealdi
Pittura lingua viva #49 – Speciale OPENWORK
Pittura lingua viva #50 – Bea Bonafini
Pittura lingua viva #51 – Giuseppe Adamo
Pittura lingua viva #52 – Speciale OPENWORK (II)
Pittura lingua viva #53 ‒ Chrysanthos Christodoulou 
Pittura lingua viva #54 – Amedeo Polazzo
Pittura lingua viva #55 – Ettore Pinelli

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Damiano Gullì

Damiano Gullì

Damiano Gullì (Fidenza, 1979) vive a Milano. I suoi ambiti di ricerca sono l’arte contemporanea e il design. Da aprile 2022 è curatore per l'Arte contemporanea e il Public Program di Triennale Milano. Dal 2020 è stato Head Curator del…

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