Pittura lingua viva. Intervista a Linda Carrara

Viva, morta o X? 83esimo appuntamento con la rubrica dedicata alla pittura contemporanea in tutte le sue declinazioni e sfaccettature attraverso le voci di alcuni dei più interessanti artisti italiani: dalla pittura “espansa” alla pittura pittura, dalle contaminazioni e slittamenti disciplinari al dialogo con il fumetto e l’illustrazione fino alla rilettura e stravolgimento di tecniche e iconografie della tradizione.

Linda Carrara è nata a Bergamo nel 1984. Vive e lavora a Bruxelles e Milano. È diplomata all’Accademia di Belle Arti di Brera e ha conseguito un Master alla Kask School di Gent nel 2014-2015, anni in cui ha collaborato con Michaël Borremans come assistente di studio. Tra le mostre personali recenti: In fondo al pozzo, RizzutoGallery, Palermo, 2020; Chora, Boccanera Gallery, Trento, 2019; Madonna delle rocce, Galleria Iragui, Mosca, 2019; A/R, Italian Institute of Culture, Bruxelles, 2018; La fatigue de ne pas finir, Musumeci Contemporary, Bruxelles, 2017. Tra le mostre collettive: Libere tutte, Casa Testori, Novate, 2019; Graffiare il presente, Casa Testori, Novate, 2018; Carte d’artista, Villa d’Este, Tivoli, 2018; Restless, Artopia-Rita Urso Gallery, Milano, 2018; Stupido come un pittore, Villa Vertua, Nova Milanese, 2018; Arte e Forte. La Babele di linguaggi e simboli legati ai conflitti, Boccanera Gallery, Trento, 2016; Still of Peace and everyday life. L’arte contemporanea tra Italia e Francia, Atri, 2016; Eclettica, Atelier Tonoli Adamo, Berlino, 2016; Ex.Peri.Mental, L.A.C. Lieu d’Art Contemporain, Sigean, 2016. È stata artista in residenza a MOMENTUM, Berlino, 2015; LKV, Trondheim, 2016; NCCA Krontadt, San Pietroburgo, 2017.

Come ti sei avvicinata alla pittura?
Istintivamente. Ho abbracciato sin da subito la pittura, ma se devo dire come mi sono avvicinata a un fare artistico, credo che vedere mio zio passar del tempo solitario nel suo studiolo a leggere, studiare e disegnare deve avere avuto una grande influenza. Mi sembrava un luogo sacro e invalicabile.
Poi all’Accademia ho provato mille possibilità contemporanee ma nella mente e nel mio studio non facevo altro che dipingere.

Chi sono gli artisti e i maestri cui guardi?
Ogni volta che mi imbatto in questa domanda non so cosa e come rispondere, sono troppi. Ho provato a elencare per nomi, poi ho pensato fosse meglio per opere perché in fondo ci sono delle opere che ci colpiscono più di altre, ma l’elenco in sé era comunque pedante. Così posso solo dire che i miei maestri sono quelli del passato, tra Italia e Fiandre dal 1300 al 1500. Poi ci sono numerosi artisti di cui stimo l’opera. Per chi è curioso di nomi: Masaccio, Giotto, van Eyck, Bosch, Beato Angelico, Leonardo da Vinci, Paolo Uccello, Lotto, Antonello da Messina, Manet, de Pisis, de Chirico, Morandi, Licini, De Dominicis, Rothko, Schifano, Richter, Tuymans, Borremans, Yvoré, Dreher, Flavin, Turrell, Viola…

Astrazione e figurazione: dove inizia l’una e finisce l’altra? E la tecnica conta? Perché la scelta del frottage?
Questi “fondi” non li penso come astrazioni. A volte sono delle lavagne su cui esistono disegni, scritte, dettagli che però si immergono nei fondali. Sono luoghi di avvenimento come nel caso del primo piano, ma restano più nascosti. A volte sono frottage di materie, luoghi, pavimenti o muri, e dunque sono estremamente figurativi (per come Didi-Huberman ci descrive magnificamente la figurazione). Sono impronte di oggetti, 1:1, dunque le definirei quasi “iper-realiste” piuttosto che astratte. Sono luoghi della memoria che danno all’opera un senso segreto. Per questo, la tecnica è essenziale, è quella cosa che unita al pensiero può donare l’arte. Un’idea può e deve essere affrontata con la tecnica affinché prenda forma, ma la conseguenza è la forma di un’idea. Non può essere altrimenti o si rischia di cadere nel vezzo estetico o concettuale.

Looking for the right place at the right moment. Exhibition view at Blanco Space, Gent 2017

Looking for the right place at the right moment. Exhibition view at Blanco Space, Gent 2017

MIMESI E ORNAMENTO SECONDO LINDA CARRARA

Mimesi e rappresentazione sono temi per te importanti da affrontare e da scardinare. intervenendo quasi chirurgicamente. Della tua pittura è stato scritto di una volontà di superamento delle funzionalità rappresentative. E cosa si trova allora “in fondo al pozzo”, riprendendo il titolo di una tua recente mostra a Palermo…?
In fondo al pozzo c’è la pittura. Non cerco di rappresentare cose o qualcosa, ma di indagare la pittura come soggetto stesso, piegata ovviamente a delle scuse pittoriche. Per quello mi dedico a “temi” ricorrenti nella storia dell’arte, ai “generi come scuse perfette e già date” in continuità con una storia dell’arte ben evidente. Non mi serve capire cosa rappresentare, ma piuttosto come nel 2020 si più dipingere e pensare, ad esempio, una natura morta.

La natura morta, appunto. Cos’è? Ha ancora senso trattarla come genere nel 2020? E, in generale, da cosa deriva la tua fascinazione per la rappresentazione della natura?
Ho da sempre guardato alla natura morta che precede se stessa, cioè quando non era ancora definita e circoscritta come genere. Oggetti finti, nicchie, pitture murarie per domus e luoghi sacri. Il senso di abbondanza e ricchezza portato al sublime, il senso di appartenenza umana e di vita terrena che si oppone alla vita divina. Gli oggetti erano un simbolo di unione tra la vita e la morte, rappresentavano quasi il passaggio nell’al di là ed erano la porta di entrata (o di uscita).
Venivano posti di fianco alla salma o riecheggiati sui mosaici a pavimento come a sottolineare che quei resti di cibo non erano caduti invano né per tracotanza, ma che “lì dovevano stare” perché quel pavimento era l’unione con il divino, elevando un luogo così sottovalutato come il pavimento a luogo di avvenimento, ricordandoci in questo modo che ogni passo ci condurrà all’unica conseguenza certa della vita. Per questo, per dieci anni ho lavorato sulla natura morta, mi sembrava una scusa piuttosto buona per sviluppare un pensiero artistico scevro da pura estetica espressiva o bellezza.

Come nasce invece la serie dei falsi marmi di Carrara? Se da una parte ci colleghiamo al tema della mimesi dall’altra apriamo a un altro tema a te caro: il decoro, l’ornamento.
La mimesi non c’entra con i miei finti marmi. Non mi interessa mimare la materia (cosa che peraltro potrei fare molto meglio) al contrario mi interessa che una materia possa divenire un’altra, mi interessa il processo che ho trovato per fare i miei finti marmi. Detto ciò, la cosa più vera dei False Carrara Marble è che vogliono riallacciarsi a tutta la storia, secondo la quale ci sono Artisti Maestri (e che son tali per tutta l’umanità e per tutta la storia dell’Arte) che hanno affrontato il tema dei finti marmi con estrema libertà e devozione. Sono il rimando a una sacralità della materia stessa, alla carne divina, sono l’accesso all’aldilà, lo “sperma di Dio” a volte. Ed è proprio per questo che mi interessano, perché rendono la pittura libera. Libera di divenire e di essere, senza nessuna immagine rappresentativa. La pittura in sé, non racchiusa in una scena che descrive un accadimento. Sono i primi dripping della storia, le prime “astrazioni”, le prime volte che un artista ha probabilmente sentito l’ebrezza del dipingere di per sé, senza mimesi.

La stratificazione, la materia cosa rappresentano per te? C’entra una certa idea di tempo?
Il sovrapporre diversi strati e livelli prospettici mi rivela la possibilità di diverse visioni, differenti punti di vista e coesistenza di mondi e possibilità, che nel loro insieme donano comunque una visione armonica del mondo-tela. Una visione possibile della teoria delle stringhe, come se, con diverse scale di percezione, visione, tatto e tempo, si potessero vedere diverse possibilità di mondi, e infine come se diversi punti di vista fossero l’unica realtà dell’animo umano e dell’umanità intera. Una commistione di diversità che entrano a far parte dello stesso luogo.

E cosa sono quegli oggetti galleggianti nelle tue opere a sfidare la forza di gravità?
Sono gli oggetti che sono, parte della realtà che vivo, e trovo un estremo piacere nel dipingerli per come sono, indagando sempre più le mie capacità pittoriche. Mi fai però pensare a uno dei lavori Floating-Objects che porta la scritta “la gravità è ciò che ci lega alla realtà”, dunque questi oggetti “sfidano” la gravità o semplicemente la rendono visibile.

Floating Object, 2018, acrilico e grafite su legno, cm 22x30

Floating Object, 2018, acrilico e grafite su legno, cm 22×30

IL SACRO E LA RELIGIONE

Madonna delle rocce ha un evidente richiamo alla sfera del sacro, del religioso. Cosa rappresentano per te la religione, il sacro? Perché secondo te oggi rispetto alla grande storia dell’arte moderna ci sono solo pochi esempi illuminati di committenza di opere d’arte sacra?
Religione e Arte si sono separate nel momento in cui l’una credeva di non aver più bisogno dell’altra. Di fatto è così, non è bisogno, è semplicemente un legame innato da accettare per com’è. Sin dalla Preistoria l’uomo disegnava sulle pareti dei luoghi che riteneva sacri e non per abbellire le grotte nelle quali abitava. Dunque la sfera mistica è sempre stata nell’Arte, come la religione o il divino son sempre stati resi noti e vivibili dall’Arte. Inutile dire che l’una non sia a servizio dell’altra (senza scala di importanza tra le due parti). L’Arte non è un puro fattore estetico o di design slegato dalla sfera mistica. Se poi oggi ci troviamo a dire che l’Arte e la sfera sacra siano un’unione obsoleta allora dovremmo anche dire che tutta la storia dell’arte è sbagliata, sia quella antica che quella moderna. Ricordo che artisti di fama mondiale, di varie culture e appartenenze, si sono dedicati all’arte sacra, sia in modo esplicito, lavorando per chiese e luoghi sacri, sia in modo implicito al loro fare artistico, come in quest’ultimo caso Monet di fronte al tempo che scorre nella luce della Cattedrale di Rouen, il quale sicuramente non era affascinato da un semplice cambiamento climatico. Poi ci sono grandi artisti che si sono dedicati all’arte sacra per committenza religiosa o per spirito personale, ad esempio de Chirico, Rothko, Flavin, Richter, Fontana, Parmiggiani, Kounellis, Vago, Arienti, Mastrovito e sinceramente sarebbe uno dei miei sogni.

Del 2011 è un tuo lavoro con una folla di persone protette dai loro ombrelli, sono un gruppo ma si parla di solitudine. Ti senti mai sola?
Mi sento estremamente sola, ed è una sensazione che mi mette una dolcissima malinconia come se infondo non esistessi che io per le mie opere. A volte mi par di sfiorare la solitudine del disgraziato, che non ha grazia e che forse non se la sa né dare né cercare, ma poi c’è sempre l’arte che mi richiama”. L’ho scritto in una conversazione con un amico pochi giorni prima di quest’intervista e qui lo riporto. Oggi però non mi sento sola.

Il tuo lavoro si è trasformato nel tempo?
All’inizio, mi sono isolata in studio alcuni anni. Lavoravo tutto il giorno ed ero curiosa di capire cos’era la pittura per me e quale era il mio istinto pittorico. Dopo di ciò, mi sono trasferita in città. Il mio lavoro ha subito una svolta e un cambiamento evidente quando ho iniziato a frequentare il Belgio.  Non tanto per le influenze esterne ma piuttosto per lo smottamento interno del trasferimento che mi ha obbligata a ricostruire ritmi e vita in un Paese nuovo. Lì credo di essere arrivata all’essenza, scevra da tentazioni puerili. Ho capito cosa vedo io nell’azione artistica e nella pittura. Un cambiamento davvero repentino, che però da anni sentivo in divenire.

La tua è una pittura lenta o veloce?
Lenta se penso, veloce se agisco.

Frottage, 2018, olio su tela con cornice in rovere, cm 97x182

Frottage, 2018, olio su tela con cornice in rovere, cm 97×182

LA PITTURA DI LINDA CARRARA

A questo proposito penso a un titolo di una tua mostra del 2018 che mi ha molto colpito: La fatigue de ne pas finir. È una mostra molto eterogenea, ma al contempo coerente nelle varie declinazioni dei lavori che esplorano il tema delle superfici e della tecnica. Di che fatica parli? Finire cosa? E quando per te un’opera è finita?
Della fatica di non prendersi troppo sul serio in fin dei conti, della fatica di capire quando non è più il caso di accanirsi su un’opera per piegarla al mio volere, ma lasciarle il tempo e la sedimentazione necessari per far sì che essa si mostri.
La fatica di lasciare un’opera aperta al dialogo.
La fatica di accettare che non sono solo io a decidere, ma che di fronte a me c’è un’entità.
La fatica di rifiutare di aggiungere altro o la fatica di non saper più cosa aggiungere.
La fatica di vedere l’opera appesa per mesi e mesi, fino a sentire che su di essa ci si deve stagliare una betulla che poggia su di un piano inesistente e che sembra tridimensionalmente uscire dalla tela.
Se avessi agito di fretta, tentando tutte le possibilità, senza osservare il fondo per quasi sette mesi aspettando che si palesasse l’unica e vera possibilità, quell’opera non sarebbe mai nata. Un’opera è finita quando non c’è più niente da aggiungere, quando anche solo una linea di matita in più la distruggerebbe.

Il caso cosa rappresenta per te?
Tutto.

E il tempo?
Tanto.

Il disegno che ruolo svolge? Ha una sua autonomia o rappresenta un lavoro preparatorio alla pittura?
Non uso il disegno come bozzetto per un’opera, non faccio mai bozzetti ma disegno direttamente sulla tela e, spesso, si intravedono questi segni amalgamati nel fondo. Restano lì, così come sono. Non amo né progettarli né cancellarli, fanno parte dell’opera. Dunque il disegno è un mezzo espressivo, come la pittura.

Che formati prediligi?
Rettangolari verticali al momento. Sono delle finestre attraverso le quali io osservo e attraverso le quali voi vedete.

Perché fare pittura oggi?
Come non farla? È intrinseca nell’essere umano. Morta lei, muore l’umano.

Cosa pensi della scena della pittura italiana contemporanea, anche alla luce delle tue esperienze all’estero che, immagino, ti abbiano dato punti di vista e prospettive diverse.
In qualche modo credo sia molto influenzata dagli avvenimenti esterni ed esteri, per l’impossibilità di sentirsi “un’origine”.

Damiano Gullì

https://www.lindacarrara.com/

LE PUNTATE PRECEDENTI

Pittura lingua viva #1 ‒ Gabriele Picco
Pittura lingua viva #2 ‒ Angelo Mosca
Pittura lingua viva #3 ‒ Gianluca Concialdi
Pittura lingua viva #4 – Michele Tocca
Pittura lingua viva #5 ‒ Lorenza Boisi
Pittura lingua viva#6 ‒ Patrizio Di Massimo
Pittura lingua viva#7 ‒ Fulvia Mendini
Pittura lingua viva#8 ‒ Valentina D’Amaro
Pittura lingua viva#9 ‒ Angelo Sarleti
Pittura lingua viva#10 ‒ Andrea Kvas
Pittura lingua viva#11 ‒ Giuliana Rosso
Pittura lingua viva#12 ‒ Marta Mancini
Pittura lingua viva #13 ‒ Francesco Lauretta
Pittura lingua viva #14 ‒ Gianluca Di Pasquale
Pittura lingua viva #15 ‒ Beatrice Meoni
Pittura lingua viva #16 ‒ Marta Sforni
Pittura lingua viva #17 ‒ Romina Bassu
Pittura lingua viva #18 ‒ Giulio Frigo
Pittura lingua viva #19 ‒ Vera Portatadino
Pittura lingua viva #20 ‒ Guglielmo Castelli
Pittura lingua viva #21 ‒ Riccardo Baruzzi
Pittura lingua viva #22 ‒ Gianni Politi
Pittura lingua viva #23 ‒ Sofia Silva
Pittura lingua viva #24 ‒ Thomas Berra
Pittura lingua viva #25 ‒ Giulio Saverio Rossi
Pittura lingua viva #26 ‒ Alessandro Scarabello
Pittura lingua viva #27 ‒ Marco Bongiorni
Pittura lingua viva #28 ‒ Pesce Kethe
Pittura lingua viva #29 ‒ Manuele Cerutti
Pittura lingua viva #30 ‒ Jacopo Casadei
Pittura lingua viva #31 ‒ Gianluca Capozzi
Pittura lingua viva #32 ‒ Alessandra Mancini
Pittura lingua viva #33 ‒ Rudy Cremonini
Pittura lingua viva #34 ‒ Nazzarena Poli Maramotti
Pittura lingua viva #35 – Vincenzo Ferrara
Pittura lingua viva #36 – Luca Bertolo
Pittura lingua viva #37 – Alice Visentin
Pittura lingua viva #38 – Thomas Braida
Pittura lingua viva #39 – Andrea Carpita
Pittura lingua viva #40 – Valerio Nicolai
Pittura lingua viva #41 – Maurizio Bongiovanni
Pittura lingua viva #42 – Elisa Filomena
Pittura lingua viva #43 – Marta Spagnoli
Pittura lingua viva #44 – Lorenzo Di Lucido
Pittura lingua viva #45 – Davide Serpetti
Pittura lingua viva #46 – Michele Bubacco
Pittura lingua viva #47 – Alessandro Fogo
Pittura lingua viva #48 – Enrico Tealdi
Pittura lingua viva #49 – Speciale OPENWORK
Pittura lingua viva #50 – Bea Bonafini
Pittura lingua viva #51 – Giuseppe Adamo
Pittura lingua viva #52 – Speciale OPENWORK (II)
Pittura lingua viva #53 ‒ Chrysanthos Christodoulou 
Pittura lingua viva #54 – Amedeo Polazzo
Pittura lingua viva #55 – Ettore Pinelli
Pittura lingua viva #56 – Stanislao Di Giugno
Pittura lingua viva #57 – Andrea Barzaghi
Pittura lingua viva #58 – Francesco De Grandi
Pittura lingua viva #59 – Enne Boi
Pittura lingua viva #60 – Alessandro Giannì
Pittura lingua viva #61‒ Elena Ricci
Pittura lingua viva #62 – Marta Ravasi
Pittura lingua viva #63 – Maddalena Tesser
Pittura lingua viva #64 – Luigi Presicce
Pittura lingua viva #65 – Alessandro Sarra
Pittura lingua viva #66 – Fabio Marullo
Pittura lingua viva #67 – Oscar Giaconia
Pittura lingua viva #68 – Andrea Martinucci
Pittura lingua viva #69 – Viola Leddi
Pittura lingua viva #70 – Simone Camerlengo
Pittura lingua viva #71 – Davide Ferri
Pittura lingua viva #72 – Diego Gualandris
Pittura lingua viva #73 – Paola Angelini
Pittura lingua viva #74 ‒ Alfredo Camerottti e Margherita de Pilati
Pittura lingua viva #75 – Andrea Chiesi
Pittura lingua viva #76 – Daniele Innamorato
Pittura lingua viva #77 – Federica Perazzoli
Pittura lingua viva #78 – Alessandro Pessoli
Pittura lingua viva #79 ‒ Silvia Argiolas
Pittura lingua viva #80 – Dario Carratta
Pittura lingua viva #81 ‒ Il progetto Linea 1201
Pittura lingua viva #82 – Stefano Perrone

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Damiano Gullì

Damiano Gullì

Damiano Gullì (Fidenza, 1979) vive a Milano. I suoi ambiti di ricerca sono l’arte contemporanea e il design. Da aprile 2022 è curatore per l'Arte contemporanea e il Public Program di Triennale Milano. Dal 2020 è stato Head Curator del…

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