Pittura lingua viva. Parola a Fabio Marullo

Viva, morta o X? 66esimo appuntamento con la rubrica dedicata alla pittura contemporanea in tutte le sue declinazioni e sfaccettature attraverso le voci di alcuni dei più interessanti artisti italiani: dalla pittura “espansa” alla pittura pittura, dalle contaminazioni e slittamenti disciplinari al dialogo con il fumetto e l’illustrazione fino alla rilettura e stravolgimento di tecniche e iconografie della tradizione.

Fabio Marullo (Catania, 1973) lavora attualmente a Milano. Ha vissuto a Berlino, Pechino e Copenaghen. Laureato in Architettura, Storia e Conservazione dei Beni Culturali, Progettazione e Produzione delle Arti Visive allo IUAV di Venezia, ha collaborato alla didattica per il laboratorio di Fotografia della Facoltà d’Architettura “Aldo Rossi” dell’Università di Bologna. Ha esposto in numerose gallerie e istituzioni pubbliche e private, tra le quali: Club Ufficiale Marina Militare, XV Mostra Internazionale di Architettura di Venezia; Haarmann Bloedow Haus, Berlino; MAC, Museo d’arte Contemporanea, Lissone; EFFEARTE, Milano; viafarini e Fabbrica del Vapore, Milano; Galleria Civica Contemporanea Montevergini, Siracusa; Gemist parco Valkenberg, Breda; Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia. È stato ideatore e curatore della mostra itinerante Ein Ausflug in Den Wald, Haarmann Bloedow Haus, Berlino, e MAC, Museo d’arte Contemporanea, Lissone è stato Visiting Lecturer per IUAV, Venezia; IED Milano; NABA, Milano; Royal Danish Academy of fine Art, Copenaghen.

Come ti sei avvicinato alla pittura?
La mia famiglia è sempre stata nell’ambito dell’architettura e del collezionismo. Ricordo l’odore della pittura in casa. La pittura c’è sempre stata. Un mio zio, Claudio Marullo a cui ero molto legato, era un pittore informale, devo dire anche molto interessante. È stato recensito da Crispolti, uno dei critici che lo hanno seguito di più. Non era tanto quello che faceva a interessarmi, ma il modo in cui lo faceva: il suo metodo, il suo comportamento ordinato. Era un personaggio piuttosto difficile. È sempre stato alla giusta distanza da me e mi ha insegnato molto in maniera indiretta. Quando passava a trovarci a casa mi portava sempre dei regali che rimandavano alla pittura; libri soprattutto… Quando ho compiuto vent’anni mi regalò un telaio ligneo che continuo tuttora a utilizzare. Mi disse: “Il formato è piccolo. Interrogati sul formato. Credo tu abbia un’attitudine. Decidi tu”. La sua visione è stata premonitrice, infatti l’artigiano che realizzava i telai per lui oggi li realizza anche per me. Tutto deriva da quel dono. Non ho però iniziato a dipingere subito a vent’anni. Disegnavo, sì, ma ho avuto dimestichezza e piena coscienza della pittura solo dopo aver terminato i miei studi. Mi sono laureato in Architettura, Storia e Conservazione dei Beni Culturali, poi ho conseguito una specializzazione in Arte. Ho portato avanti la carriera accademica. Quando mi sono occupato di architettura, ho lavorato molto sulla fotografia e mi sono avvicinato a Guido Guidi, una figura determinante del panorama del Novecento. La sua frequentazione è stata significativa. Bisogna conoscere prima di esperire. La traduzione della conoscenza è fondamentale. A un certo punto, ho come reciso un cordone ombelicale dal resto dei miei interessi: ho capito che la pittura sarebbe stata ciò che desideravo più di tutto, il vero amore! Ogni altra esperienza artistica che ho vissuto mi ha quindi condotto a questa scelta.

Fabio Marullo, Rivelazione ,2018, oil on linen cm 200 x 160

Fabio Marullo, Rivelazione ,2018, oil on linen cm 200 x 160

Pittura come vero amore. Perché?
È un argomento talmente vasto e intrigante. Baudelaire ne Il pittore della vita moderna parla dell’elogio del trucco affermando che non si possa abbellire la natura. E se la natura è tutto, allora anche la pittura è parte della natura. Anche il colore è fondamentale. È un tema complesso e argomento di disputa da Aristotele fino agli Illuministi. Aristotele invitava a utilizzare bene il colore sottolineando quanto fosse essenziale questo processo: “Chi infatti buttasse giù a casaccio i colori più belli, non diletterebbe mai la vista come chi ha disegnato una figura in bianco”. Questa affermazione è più platonica dello stesso Platone. Se il colore non viene preparato bene, è più significativo realizzare a questo punto un buon un disegno.

E il disegno che ruolo ha nella tua pratica?
Il disegno è un fratello della pittura e anche della storia. Per me il disegno è correlato al lavoro pittorico ma non è propedeutico a esso. Cammina come se avesse una sua identità, come fosse a sé stante. Non faccio mai un lavoro disegnato, nonostante sia molto pensato.

Tornando a tuo zio, dicevi che ti ha dato un metodo…
In ogni ambito credo che il metodo sia fondamentale, quanto il fare. Il mio metodo è rituale, impone una disciplina, di cui non riesco a fare a meno. Ogni giorno sono in studio. Anche quando non ho voglia di lavorare, dipingo, disegno. Mi piace applicare il metodo in studio ‒che è il teatro della rappresentazione ‒ dove sono in totale libertà. È un luogo intimo, riservato, dove posso tradurre anche le mie fragilità.

E la tecnica è importante? Ci sono tecniche o formati che prediligi?
Anche la tecnica fa parte del metodo, avere una griglia di riferimento che non cambia mi dà sicurezza. Anche i miei telai sono sempre gli stessi. Questo rituale mi piace moltissimo. La pittura è come una preghiera per me. Ultimamente prediligo un formato verticale perché meglio si adatta alla ricerca che sto portando avanti da due anni e mezzo, per scelta di soggetto ‒ anche se non è il termine più consono ‒ la tematica che sto affrontando impone in senso metodologico il formato verticale.

Fabio Marullo, Rivelazione, 2018, oil on linen, cm 197,3x140

Fabio Marullo, Rivelazione, 2018, oil on linen, cm 197,3×140

Lo stesso motivo per cui ricorri alle grandi dimensioni.
Sì. Ultimamente mi trovo molto a mio agio con i formati grandi. Prima, anche per via dei miei numerosi spostamenti, i formati piccoli risultavano più pratici. Qualche tempo fa mi hanno fatto notare quanto sia determinante il luogo in cui si lavora. Concordo con quanto suggerito, poiché il genius loci ci condiziona ‒ per esempio nell’uso delle tinte ‒, ci condiziona per la presenza di luce disponibile, e per quanta se ne vorrebbe in più… Io ho scelto come studio uno spazio molto luminoso che si apre verso un giardino.

Come sei approdato alla tua ricerca recente focalizzata su un seme un po’ misterioso?
Avevo fatto una personale a Milano dove avevo indagato il tema delle archeologie perché c’era una stretta connessione con quello che avevo studiato, con la mia conoscenza diretta sul campo. Fin da piccolo sono stato introdotto a questi temi. Il mio ritorno a Milano ha fatto connettere le archeologie con le piante creando un urto. Dopo la mostra sono stato invitato a partecipare a una residenza d’artista a Copenaghen. Lì pensavo di portare avanti un determinato tipo di ricerca, ma poi le cose sono cambiate. Ho affrontato la botanica perché in Danimarca hanno una tradizione storica molto approfondita sul tema. Casualmente, in uno dei miei tanti “incontri” mi sono imbattuto nella figura di Niccolò Stenone, un botanico di origini danesi, che aveva studiato il mondo dei fossili nell’area grecanica. Entrando in contatto con i sui libri si è aperto un mondo di nuova conoscenza per me. Ho iniziato a indagare il tema dei fossili e, soprattutto, poco dopo ho iniziato a leggere Il caso e la necessità di Jacques Monod del 1970. Per Monod il progetto umano è il progetto biologico più evoluto, ma si sofferma anche su altre forme esistenti sul nostro pianeta, organismi che noi definiamo non viventi. Ho avuto una folgorazione.

Arriviamo così al seme…
Ho scoperto questo seme, il cui nome scientifico è Xanthium strumarium, in gergo nappola.
La nappola, sverna sotto forma di seme e appartiene a tutte quelle categorie di piante che la letteratura definisce “come causa di afflizione”. Questa tipologia è presente vicino a noi, nei luoghi più inaspettati. Noi percepiamo la parte negativa, per il fatto che infastidiscono, perché pungono, ma questa è la parte più banale. In realtà il seme è l’ovulo dell’origine, collega passato e presente, si adatta molto facilmente e insegna come relazionarsi con ciò che ci sta accanto. La ricerca che sto portando avanti guarda quindi a queste specie botaniche che sono reminiscenze di dimensioni fossili, forme arcaiche che alimentano alla vista dubbi e mistero. Personalmente sono molto affascinato dal dubbio perché se riusciamo a vedere con occhi nuovi probabilmente riusciamo ad andare oltre le consuetudini. Oggi credo che questa ricerca sia quasi sul finire.

Fabio Marullo, Nebula, 2019, oil on linen, cm 78x63 cadauno

Fabio Marullo, Nebula, 2019, oil on linen, cm 78×63 cadauno

Ed è cambiato il tuo modo di vedere le cose…
Sì. Ho sviluppato un nuovo modo di vedere le cose e di mettere in vicinanza e commistione organismi viventi, le piante, e le pietre. Ci sono dei minerali che possono influenzare l’andamento della crescita di alcune piante. La pirite ad esempio possiede quella quarta categoria definita da Monod come “teleonomia”, la capacità di crescita autonoma. Tutti questi spunti hanno generato in me un immaginario preciso. È l’artificio delle pietre/piante, intorno al quale ho sviluppato il mio attuale lavoro tra pittura, disegno e scultura. Molte delle opere che sto portando avanti prima si avvicinano al seme, a una dimensione macroscopica, e poi si allontanano per aprirsi a un contesto più legato alla condizione del micro-mondo. Passo dal macro al micro.

Parli del fascino dell’ambiguità, del passaggio da pietra a pianta, di macro e micro, di commistione. E come dialogano astrazione e figurazione? Ricordo tue precedenti opere in cui l’elemento figurativo era ben presente. Come si è trasformato il tuo lavoro nel tempo?
Se penso ai lavori antecedenti alla mia attuale ricerca credo non ci sia in realtà tanta differenza. L’approccio è sempre empirico. In un ciclo di opere che ho realizzato a Pechino lo spirito del luogo mi ha spinto a osservare come un sociologo alcuni fenomeni che mi stavano attorno. Ho imparato ad arrivare nei luoghi come un non vedente, cercando di non definire subito le cose ma di farmi travolgere da ciò che mi circondava. In quel caso avevo l’esigenza di una figurazione molto forte per esempio. Secondo me non c’è confine tra figurazione e astrazione. È importante sollecitare negli osservatori un senso di ambiguità, di curiosità. Nell’arco del tempo molti miei lavori sono diventati sempre più astratti, però secondo dei principi. Quando studi il restauro ti insegnano a capire che ci sono delle lacune che vanno viste da vicino, ma quando ti allontani non vanno percepite. I miei lavori seguono questa logica: quando ci si avvicina si riescono a percepire delle forme, ma quando ci si allontana quella dimensione priva di forma diventa un’altra forma. È un lavoro tra il vuoto e il pieno.

È un lavoro molto stratificato.
Lavoro molto sui fondi. C’è una prima fase propedeutica, lavoro con olio su lino. Nel momento in cui la preparazione del fondo mi fa stare bene, allora inizio a lavorare sulla forma.

Fabio Marullo, Su questa affascinante terra, 2019, oil on linen, cm 210x170

Fabio Marullo, Su questa affascinante terra, 2019, oil on linen, cm 210×170

È evidente quanto i tuoi studi abbiano inciso sulle tue opere. Come invece le tue letture quotidiane, i film, la musica influiscono su di esso?
Durante l’arco della giornata sono sempre in compagnia della radio: è l’esaltazione della conoscenza pura, che passa attraverso una voce e ti stimola per il modo in cui racconta le cose. Sono poi compulsivo per quanto riguarda i libri. La loro presenza fisica, cartacea per me è importante. I miei lavori partono sempre dai libri. Anche questo fa parte del metodo.

Hai vissuto a Berlino, Pechino, Copenaghen e Milano. Anche alla luce delle tue esperienze internazionali, come vedi il panorama della pittura italiana contemporanea?
Credo, per stare nell’attualità, che negli ultimi decenni una nuova generazione di pittori abbia deciso di percorrere il sentiero della manualità, il ritorno ai pennelli. Nonostante questa esplosione, un’analisi attenta del mercato dimostra chiaramente che la pittura italiana non vanti una riconoscibilità e visibilità internazionale. I pittori italiani meriterebbero un’opportunità in più, una possibilità di poter affermare una tradizione che sin dai i tempi antichi ha invece riscontrato grandi successi.

Damiano Gullì

LE PUNTATE PRECEDENTI

Pittura lingua viva #1 ‒ Gabriele Picco
Pittura lingua viva #2 ‒ Angelo Mosca
Pittura lingua viva #3 ‒ Gianluca Concialdi
Pittura lingua viva #4 – Michele Tocca
Pittura lingua viva #5 ‒ Lorenza Boisi
Pittura lingua viva#6 ‒ Patrizio Di Massimo
Pittura lingua viva#7 ‒ Fulvia Mendini
Pittura lingua viva#8 ‒ Valentina D’Amaro
Pittura lingua viva#9 ‒ Angelo Sarleti
Pittura lingua viva#10 ‒ Andrea Kvas
Pittura lingua viva#11 ‒ Giuliana Rosso
Pittura lingua viva#12 ‒ Marta Mancini
Pittura lingua viva #13 ‒ Francesco Lauretta
Pittura lingua viva #14 ‒ Gianluca Di Pasquale
Pittura lingua viva #15 ‒ Beatrice Meoni
Pittura lingua viva #16 ‒ Marta Sforni
Pittura lingua viva #17 ‒ Romina Bassu
Pittura lingua viva #18 ‒ Giulio Frigo
Pittura lingua viva #19 ‒ Vera Portatadino
Pittura lingua viva #20 ‒ Guglielmo Castelli
Pittura lingua viva #21 ‒ Riccardo Baruzzi
Pittura lingua viva #22 ‒ Gianni Politi
Pittura lingua viva #23 ‒ Sofia Silva
Pittura lingua viva #24 ‒ Thomas Berra
Pittura lingua viva #25 ‒ Giulio Saverio Rossi
Pittura lingua viva #26 ‒ Alessandro Scarabello
Pittura lingua viva #27 ‒ Marco Bongiorni
Pittura lingua viva #28 ‒ Pesce Kethe
Pittura lingua viva #29 ‒ Manuele Cerutti
Pittura lingua viva #30 ‒ Jacopo Casadei
Pittura lingua viva #31 ‒ Gianluca Capozzi
Pittura lingua viva #32 ‒ Alessandra Mancini
Pittura lingua viva #33 ‒ Rudy Cremonini
Pittura lingua viva #34 ‒ Nazzarena Poli Maramotti
Pittura lingua viva #35 – Vincenzo Ferrara
Pittura lingua viva #36 – Luca Bertolo
Pittura lingua viva #37 – Alice Visentin
Pittura lingua viva #38 – Thomas Braida
Pittura lingua viva #39 – Andrea Carpita
Pittura lingua viva #40 – Valerio Nicolai
Pittura lingua viva #41 – Maurizio Bongiovanni
Pittura lingua viva #42 – Elisa Filomena
Pittura lingua viva #43 – Marta Spagnoli
Pittura lingua viva #44 – Lorenzo Di Lucido
Pittura lingua viva #45 – Davide Serpetti
Pittura lingua viva #46 – Michele Bubacco
Pittura lingua viva #47 – Alessandro Fogo
Pittura lingua viva #48 – Enrico Tealdi
Pittura lingua viva #49 – Speciale OPENWORK
Pittura lingua viva #50 – Bea Bonafini
Pittura lingua viva #51 – Giuseppe Adamo
Pittura lingua viva #52 – Speciale OPENWORK (II)
Pittura lingua viva #53 ‒ Chrysanthos Christodoulou 
Pittura lingua viva #54 – Amedeo Polazzo
Pittura lingua viva #55 – Ettore Pinelli
Pittura lingua viva #56 – Stanislao Di Giugno
Pittura lingua viva #57 – Andrea Barzaghi
Pittura lingua viva #58 – Francesco De Grandi
Pittura lingua viva #59 – Enne Boi
Pittura lingua viva #60 – Alessandro Giannì
Pittura lingua viva #61‒ Elena Ricci
Pittura lingua viva #62 – Marta Ravasi
Pittura lingua viva #63 – Maddalena Tesser
Pittura lingua viva #64 – Luigi Presicce
Pittura lingua viva #65 – Alessandro Sarra

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Damiano Gullì

Damiano Gullì

Damiano Gullì (Fidenza, 1979) vive a Milano. I suoi ambiti di ricerca sono l’arte contemporanea e il design. Da aprile 2022 è curatore per l'Arte contemporanea e il Public Program di Triennale Milano. Dal 2020 è stato Head Curator del…

Scopri di più