Dialoghi di Estetica. La pittura “inevitabile” di Nazzarena Poli Maramotti

Il discorso sulla pittura che rende bidimensionale un pensiero, l’astrazione come bisogno umano, la noia come motore della creazione. Ne parliamo con l’artista emiliana

Dopo gli studi presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino, Nazzarena Poli Maramotti (Montecchio Emilia, 1987) ha rifinito la sua formazione presso la Akademie der Bildenden Künste di Nürnberg. Nel 2019 ha vinto il Premio Mediolanum per la pittura Artefiera Bologna, nel 2016 il premio Debütantenförderung dello stato della Baviera e nel 2014 il Premio Euromobil under 30 Artfirst Bologna.
Tra le sue mostre personali si ricordano: Una fòla (Z2O Sara Zanin Gallery, Roma, 2022), Pratonera (Galleria AplusB, Brescia, 2021), L’altra notte (Z2O Sara Zanin Gallery, Roma, 2019), Hidden in a short night (Kunstverein Kohlenhof, Norimberga, 2019), Unterwasser (Galleria AplusB, Brescia 2018). Nel 2023, con le sue opere ha inoltre partecipato alle seguenti esposizioni collettive: Quadri come luoghi (Villa Presti, Ospitaletto, BS), Keramikos (CAR Gallery, Bologna), Wenn es regnet, ist mein herz nackt (Circolo Lia mostra d’ert, Ortisei BZ), Sonata #023, sezione Nuove Visioni del Premio Lissone 2023 (MAC Lissone MB), Medea (antico mercato di Ortigia, Siracusa). Questo dialogo affronta alcuni dei principali temi che animano la poetica di Poli Maramotti: il discorso sulla pittura, il suo essere inevitabile e originaria, i ruoli che hanno l’astrazione e gli schemi operativi, i dubbi le crisi e la noia.

Nazzarena Poli Maramotti, Garzette all'abbeverata, 2021. Tecnica mista su tela, 260 x 200 cm. Courtesy A+B Gallery. Photo Masiar Pasquali
Nazzarena Poli Maramotti, Garzette all’abbeverata, 2021. Tecnica mista su tela, 260 x 200 cm. Courtesy A+B Gallery. Photo Masiar Pasquali

Intervista a Nazzarena Poli Maramotti

Vorrei considerare anzitutto un tema che credo sia per te davvero significativo: il discorso sulla pittura o, se preferisci, su quella che è stata anche chiamata la sua attualità. Mi sembra che il tuo modo di svolgerlo sia singolare, perché è come se ogni volta dichiarassi che, in fondo, la pittura appartiene a un suo tempo.
Assisto alle discussioni in merito alla pittura in maniera talmente interna da esserne anche esterna. Credo che questo sia dovuto in gran parte alla mia formazione, tanto agli studi svolti all’Accademia di Urbino quanto al periodo successivo che ho trascorso a Norimberga. Il tema dell’attualità è diventato ben presto un modo per dichiarare quello che penso sia un falso sospetto rispetto alla possibile dipartita della pittura. Forse, il vero problema è che non abbiamo le parole giuste per fare quel discorso. Perché, alla fine, lo si svolge facendo pittura. La questione, però, è ben più complessa. Da una parte, se sono più di dieci anni che mi servo della pittura per esprimermi e così va ancora oggi, allora vuol dire che non è morta. Tuttavia, se in fondo permane anche la necessità di continuare a chiederselo, quei discorsi continuano a essere alimentati.

Dunque, più che a eventuali esiti della pittura, il tuo interesse è rivolto al suo costante rinnovamento: a tutti quei moti operativi che lo rendono possibile.
Questa tua lettura mi trova molto d’accordo. Forse, per parlare di pittura il termine più opportuno potrebbe essere “inevitabile”: finché abbiamo le mani, la pittura è inevitabile. La pittura è anche un tentativo di rendere in modo bidimensionale un pensiero. La sua attualità va di pari passo con i mezzi che possiamo usare per farla prima che per dirla.

Pensi che la pittura si nutra di altri elementi o che sia una anticipazione delle possibilità espressive?
La considero un approccio originario. Ma quando poi si va oltre il suo inizio, sicuramente ci si dovrà misurare anche con altre influenze esterne. Questo mi appare chiaro considerando anche il mio lavoro più recente con la ceramica, che influenza continuamente il mio modo di fare pittura. Come tutte le cose umane, anche la pittura risente dell’ascendenza del mondo esterno. Perciò, la penso sia come origine sia come influenza.

Nazzarena Poli Maramotti, Le frasche, 2023. Tecnica mista su tela, 50x40 cm. Courtesy A+B Gallery. Photo Alberto Petrò
Nazzarena Poli Maramotti, Le frasche, 2023. Tecnica mista su tela, 50×40 cm. Courtesy A+B Gallery. Photo Alberto Petrò

L’astrazione secondo Nazzarena Poli Maramotti

Le tue opere sono frutto del lavoro che svolgi anche attraverso l’astrazione, un elemento imprescindibile per la loro riuscita.
Penso all’astrazione come a un bisogno umano, pari a quello di fare poesia invece che prosa. La intendo come l’esigenza di tirare fuori qualcosa che non sia completamente definito, per lasciare spazio anche all’immaginazione; per non sottostare a quelle regole che si sono inizialmente prese per buone ma che poi sarà necessario contraddire aprendo così alla libertà.

Tuttavia, l’astrazione non è il solo riferimento: la tua è anche una esplorazione del suo rapporto con la figurazione, una indagine che svolgi sulla base di quelli che potremmo chiamare ‘schemi operativi’.
Con il tempo mi sono resa conto di aver bisogno di alcuni punti di partenza che spesso sono gli stessi. Quindi, alle volte quello che poi elaboro sono anche delle variazioni sul tema. Ho capito che la ripetizione di quegli schemi – che sono diventati schemi mentali – mi permette di riuscire a scardinarli per poi fare qualcosa di nuovo. È così che riesco a procedere in nuove direzioni. In parte questo è possibile attraverso il profondo legame tra la testa e la mano. In parte, affrontando anche il ruolo della noia che si presenta nei tentativi di ripetere uno schema, perché si tratta di misurarsi con la sua sedimentazione e con il mio tentativo di sradicarla da esso.

Il tuo modo di discutere la pittura facendola, lascia trasparire anche quello che credo sia il tuo scetticismo sia per le figure sia per l’avanzamento stesso dei processi alla base di quegli schemi.
Sì, c’è spazio per lo scetticismo. Ma, in entrambi i casi, sono ancora fiduciosa di tutti quei metodi che riesco comunque a evadere, pur servendomene. Inoltre, a me le figure, anche quelle più tradizionali, piacciono moltissimo. La possibilità di fare altro si deve agli schemi dei quali parlavamo prima: lavorando mi sono resa conto che ho bisogno di punti fermi, almeno all’inizio.

In questo modo di porti risalta anche il ruolo che ha il dubbio nelle tue attività.
Non vedo il dubbio in modo negativo, perché è anche ciò che tiene vivo il lavoro, che porta a farne nuove versioni, a fare altri passi in più direzioni, e volendo a ripensare a quanto è stato fatto prima. Lo penso anche come un sintomo della tensione che alimenta il lavoro e come il bisogno stesso alla base della continua discussione sulla pittura.

Il valore della noia e delle crisi per il fare artistico

Alla ripetizione tu assegni un ruolo importante.
Sì e anche alla noia e alle crisi.

In che misura sono presenti nel tuo lavoro?
Sono entrambe la massima espressione del dubbio. Arrivare a dubitare così tanto da mettere in crisi totalmente il lavoro e chiedersi se abbia senso quello che stai facendo, se abbia senso continuare a fare quella cosa, ti porta ad aprire delle strade che altrimenti se tu avessi le idee totalmente chiare, stabili e marmoree, non percorreresti. Penso alle crisi prendendo le distanze da una idea troppo rigida di errore.

E per quanto riguarda la noia?
È quella condizione – ormai rara – che permette alla mente di rilassarsi, di trovare un senso di oscillazione, di vaghezza che porta anche al bisogno di creare. È uno stato mentale necessario che collego anche all’ozio. Oggi sembra che la produttività sia tutto, che sia cruciale raggiungere gli obiettivi, produrre e produrre… Mentre, forse, la cosa più rivoluzionaria è proprio essere inutili.

Però, tenendo conto del tuo modo di fare pittura, mi sembra che attraverso di esso tu provi anche a reagire a questa condizione.
Forse. Sostenere che la pittura sia irrinunciabile e irresistibile, per me vuol dire anche ammettere che persino con le parole ci saranno ancora limiti e che sia proprio solo con il gesto di usare il colore che possiamo dare seguito a un bisogno che non si riesce a descrivere. Allora, mi viene da dire che quello che magari si troverà nelle mie opere sarà la dichiarazione di quel bisogno primordiale, del quale non si potrà dire parola alcuna. Perché non riusciamo a spiegarlo. L’unico modo che abbiamo per farlo, è farlo e poi vederlo. Questo, forse, ha a che fare anche con quel tempo della pittura del quale mi chiedevi.

Davide Dal Sasso

https://www.z2ogalleria.it/artists/26-nazzarena-poli-maramotti/biography/
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Davide Dal Sasso

Davide Dal Sasso

Davide Dal Sasso è ricercatore (RTD-A) in estetica presso la Scuola IMT Alti Studi Lucca. Le sue ricerche sono incentrate su quattro soggetti principali: il rapporto tra filosofia estetica e arti contemporanee, l’essenza delle pratiche artistiche, la natura del catalogo…

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