June Crespo, la scultrice che parla di corpo e immaterialità

Un dialogo a tutto campo con l’artista June Crespo, fra i protagonisti della Biennale di Venezia diretta da Cecilia Alemani nel 2022

June Crespo (Pamplona, 1982) ha conseguito il Bachelor of Fine Arts e il dottorato di ricerca presso EHU-UPV a Bilbao, dove vive e lavora. Attraverso la sua pratica scultorea analizza i modelli della rappresentazione contemporanea, soffermandosi soprattutto sulle condizioni del corpo come soggetto legato alla concretezza e alla immaterialità. Dopo la recente mostra Acts of Pulse presso P420 a Bologna, all’inizio di febbraio 2023 ha inaugurato Vieron su casa hacerse campo, curata da Marc Navarro, presso il Centro de Arte 2 de Mayo a Madrid.
Tra le sue mostre si ricordano: entre alguien y algo (2022), CarrerasMugica, Bilbao; Am I an Object (2021), PA///KT, Amsterdam; Helmets (2020), Artium, Vitoria-Gasteiz; Voy, “sí” (2020) Ehrhard Florez, Madrid. Tra le recenti mostre collettive alle quali ha preso parte si segnalano: The Milk of Dreams, Biennale di Venezia 2022; Fata Morgana, Jeu de Paume, Parigi; El sentido de la Escultura, Fundació Miró di Barcellona; Backwards Ahead, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino.
Questo dialogo offre una immagine della poetica di June Crespo e dei principali fattori che la alimentano: il suo interesse a stabilire connessioni, i ruoli dell’esperienza e dell’equilibrio, la sua critica verso le immagini, la sua idea di scultura in rapporto alla forma e alla rappresentazione, il ruolo delle intuizioni.

Portrait of June Crespo, photo Carlo Favero

Portrait of June Crespo, photo Carlo Favero

INTERVISTA A JUNE CRESPO

Ogni volta che vedo le tue opere penso che siano il frutto di quello che chiamerei il tuo “approccio connettivo”, perché credo tu sia davvero molto interessata a stabilire più connessioni possibili.
Uno dei miei interessi rispetto alla scultura è l’opportunità di trovare un altro essere, un’entità attraverso il mio lavoro sulla materia. Nell’ultimo anno, infatti, ho iniziato a pensarmi non proprio come un’autrice ma come un’assistente di questo tipo di processo attraverso il quale il mio scopo è che qualcosa mi possa apparire. Lo chiamerei “l’incontro tra le presenze”. Riuscire a realizzarlo significa stabilire sempre più connessioni. Quell’“approccio connettivo” di cui parli è probabilmente visibile nel mio modo di lavorare.

Perché il tuo approccio abbia successo sono cruciali due elementi: la tua posizione fisica e quella dei materiali che collocherai nello spazio.
Probabilmente hai ragione. In effetti, in molti casi, ho pensato a questo processo in termini di una negoziazione con le mie azioni e anche con i modi in cui i materiali “mi chiedono” di fare qualcosa in un certo modo. Con il materiale mi impegno in una sorta di “conversazione necessaria” affinché qualcosa possa essere presentato in un certo modo. Così facendo sono in grado di lavorare in modo sempre più ampio, posso percorrere il processo passo dopo passo in una sorta di negoziazione graduale. Per me questo significa essere immersa nei numerosi flussi di processi simultanei, attraverso i quali trovo connessioni e posso anche stabilirle con quello che sto facendo.

Allo stesso tempo, mi chiedo se vi sia anche qualcosa come una intuizione che ti guida durante il lavoro.
Sì, anche se più che una eventuale immagine dell’opera è piuttosto qualcosa che mi trasporta durante l’attività, è movimento puro. Attraverso di essa posso anche stabilire una sorta di mediazione tra corpi diversi. Voglio dire, riconosco quando questo tipo di intuizioni appaiono durante il lavoro e le seguo per continuare ad andare in nuove direzioni.

Entre alguien y algo, exhibition view at CarrerasMugica gallery, Bilbao. Photo credit Ander Sagastiberri

Entre alguien y algo, exhibition view at CarrerasMugica gallery, Bilbao. Photo credit Ander Sagastiberri

Una di esse potrebbe essere sintetizzata così: la scultura non è solo una questione di presenza. Un risultato importante che ottieni cercando di stabilire queste connessioni credo sia infatti quello di riuscire a rendere centrale anche il ruolo della sospensione attraverso l’uso dei materiali delle tue opere.
Parli correttamente di sospensione: per me il punto è riuscire a mettere in risalto le diverse qualità dei materiali attraverso l’articolazione tra la loro presenza e il nostro sentire corporeo. Penso alla posizione di ogni opera per trovare una risonanza con la nostra posizione. Quello che cerco di stabilire è una relazione tra le mie sculture e la nostra presenza.

Potresti aggiungere qualche dettaglio in più sul sentire corporeo?
Non è una sensazione fisica precisa, ma direi una sensazione affettiva: una sorta di modo in cui possiamo non solo avvicinarci alle cose ma tradurre attraverso di noi la loro presenza per noi. Quella sensazione nasce nella mia posizione: mi avvicino al mio lavoro in un modo che potrei definire “uno a uno”, o, se preferisci, attraverso un incontro “corpo a corpo”. Ciò non avviene direttamente nei termini del significato dei materiali ma in quelli della loro presenza immediata. Sono “parlanti”, sono associabili, sono come una “cosa emergente”: perché in fondo sono una modalità della presenza.

June Crespo, VSCHC (2) 2023, Vieron su casa hacerse campo, CA2M, Madrid. Photo Roberto Ruiz

June Crespo, VSCHC (2) 2023, Vieron su casa hacerse campo, CA2M, Madrid. Photo Roberto Ruiz

LE OPERE DI JUNE CRESPO

Per te, indagare la presenza vuol dire anche insistere su un particolare scambio che coltivi con le tue opere: penso in particolare alla serie Dividual, colonne apparenti, che si basa sull’alternarsi di flessibilità e rigidità. Una tua colonna non è affatto definita, semmai è qualcosa continuamente modificabile.
Posizionare una colonna è un modo per modificare lo spazio e anche la possibile interazione che avremo con essa. C’è infatti uno spazio in cui gravitazione e sospensione sono entrambe presenti. Soprattutto con le colonne lavoro sulle possibili connessioni tra piani diversi, quelli orizzontali e tra l’alto e il basso. Ma il modo rilevante di lavorare sullo scambio che hai citato per me è prima di tutto concentrarsi sulle relazioni tra le parti e il tutto. La flessibilità è legata alla tensione tra loro e altri elementi. Cerco con questo scambio di ottenere una sorta di conversazione tra ciò che accade dentro e fuori, anche in questo caso seguendo le sensazioni.

Pensi che per conseguire questi risultati il lavoro sulla forma delle tue opere sia in qualche modo determinante?
Sì, perché la forma è ciò che porta ad altre cose: è rilevante perché qualcosa possa apparire, la forma è come una incarnazione, ed è connessa con più livelli dell’opera. Ma, alla fine, penso alla forma come a un modo in cui qualcosa può esistere nel mondo. Allo stesso tempo, per me, la forma non è fondamentale poiché dipende da molti movimenti, punti di vista, posizioni… Per me si tratta essenzialmente di avere un modo soggettivo di sentire e incontrare qualcosa.

A essere rilevante nella tua riflessione è anche il ruolo dell’equilibrio, piuttosto che in termini di coerenza soprattutto in quelli di un particolare modo di esistere. Quando sei in equilibrio, vedi anche l’opportunità di estendere in qualche modo un’esperienza attraverso l’elaborazione di un’opera.
Assolutamente sì! Penso che il punto principale per l’equilibrio sia anche la mia necessità di andare avanti, qualcosa che considero un bisogno umano fondamentale che tutti condividono. È possibile fare qualcosa proprio perché possiamo anche fermarci, cancelliamo qualcosa per lasciare spazio ad altro; così facendo, continuiamo ad aprire il nostro sguardo. Aggiungo anche un altro elemento che ritengo fondamentale per trovare l’equilibrio: avere una distanza soddisfacente dalla cosa che si sta facendo. È necessario vedere le cose non solo dall’interno, ma anche dall’esterno.

June Crespo, No Osso (Occipital), 2023

June Crespo, No Osso (Occipital), 2023

E cosa pensi dell’uso delle immagini? Perché, in alcuni casi, le usi, ma di norma è chiaro che ne critichi l’uso. Non ne sei soddisfatta.
No, è vero. A volte provo a iniziare una scultura cercando qualcosa proprio in un’immagine. Ma utilizzare un’immagine significa affrontare un rischio, ed è di un altro genere rispetto a quello dei materiali per la scultura. È difficile non stabilire gerarchie nell’attenzione. Le immagini tendono a essere lette automaticamente e di solito dominano ciò che viene assemblato. A volte provo a spingere questo limite anche se è davvero una questione complicata, dal momento che alcuni oggetti funzionano già come immagini e alcune parti dei manichini funzionano allo stesso modo delle riviste che ho usato in alcuni dei miei lavori. Pertanto, è anche difficile utilizzare alcuni oggetti a causa della loro iconicità.

Ritieni che le tue opere siano rappresentazioni?
Dipende da come si pensa al termine ‘rappresentazione’: io preferisco considerarlo come la ricomparsa di qualcosa. A ogni modo, mi sento più a mio agio con il termine ‘traduzione’. Il motivo principale di questa scelta è che anche se posso lavorare in un percorso rappresentazionale, non so cosa rappresenterei: se qualcosa deve essere rappresentato, è qualcosa che non è completamente organizzato ma aperto alla variabilità di molti processi, quelli necessari per creare un’opera. Poiché sto lavorando a un modo per connetterci ai materiali, lo considero più come una sorta di proposta per formulare una possibile associazione, o direi, per avere simmetrie immaginative. Mi piace raggiungere questa possibile apertura.

Penso che questa apertura sia cruciale soprattutto perché hai bisogno di dire qualcosa attraverso le tue opere, e per farlo sei aperta ai limiti e alle possibilità che ne determinano la creazione.
Sono d’accordo con te. Ma vorrei anche sottolineare un aspetto in particolare: posso fare una proposta, posso arrivare a un compromesso, e posso farlo anche perché sono consapevole di quello che sto facendo facendolo. Vale a dire, è attraverso le mie attività che posso anche scoprire me stessa, chiarire ciò che sto cercando di dire mentre sono immersa nei processi necessari per fare un’opera. A volte mi rendo conto di quello che voglio dire solo alla fine del lavoro.

Davide Dal Sasso

https://junecrespo.com

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Davide Dal Sasso

Davide Dal Sasso

Davide Dal Sasso è ricercatore (RTD-A) in estetica presso la Scuola IMT Alti Studi Lucca. Le sue ricerche sono incentrate su quattro soggetti principali: il rapporto tra filosofia estetica e arti contemporanee, l’essenza delle pratiche artistiche, la natura del catalogo…

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