A Siracusa gli artisti faccia a faccia con il mito di Medea

Quanti significati può avere il tragico mito narrato da Euripide, Seneca, Ovidio? A domandarselo sono i protagonisti della mostra nell’Antico Mercato di Ortigia

Contemporaneamente alla Medea di Euripide messa in scena da Federico Tiezzi al Teatro Greco di Siracusa, nell’Antico Mercato sull’isola di Ortigia il critico e curatore Demetrio Paparoni ha allineato un gruppo di artisti come non se ne vedevano da tempo sulla costa orientale siciliana. Una sola indicazione per tutti: dipingere Medea, non necessariamente quella di Euripide. E difatti nel testo di accompagnamento del catalogo Tiziano Scarpa esordisce così: “Prima di tutto: quale Medea? Quella di Euripide, di Apollonio Rodio, di Seneca, di Ovidio? O quella delle centinaia – non è un’iperbole: sono centinaia – di reincarnazioni moderne e contemporanee, a teatro, in musica, nei romanzi, al cinema: Luigi Cherubini, Franz Grillparzer, Jean Anouilh, Corrado Alvaro, Pier Paolo Pasolini, Christa Wolff”.

Nicola Samorì, Medea rende la giovinezza a Esone, 2023

Nicola Samorì, Medea rende la giovinezza a Esone, 2023

LA MOSTRA SU MEDEA A SIRACUSA

Sulle pareti del rettangolo tridimensionale dell’Antico Mercato spiccano ora opere quasi esclusivamente di grandi dimensioni: raggiunge i 250×480 cm il trittico di Rafael Megall, Medea and Jason in my Blossoming Garden. E tuttavia è il lino di Nicola Samorì a giganteggiare sopra tutti con i suoi 400×300 cm. La Medea rende la giovinezza a Esone di Samorì, secondo lo stesso autore, fa riferimento al minuscolo dipinto omonimo (1606-08 ca.) di Pasquale Ottino che mette al centro una Medea discinta e sanguinaria in uno scenario notturno. Esattamente come accade nel lavoro di Ottino, la maga di Samorì si erge in posizione verticale, mentre risulta orizzontale il corpo di Esone: ma qui è la dimensione a rendere monumentale questa figura carica di un potere minaccioso.
Euripide dipinge la sua Medea come è una forza compressa: la sua gelosia, il suo essere nella polis che la ospita una straniera guardata con sospetto la stritolano, sino a raggiungere la deflagrazione finale nell’abominio massimo: uccidere i due figli e spingere Creonte alla pazzia.
L’orrore per il suo gesto lo sentiamo anche in Medea, My Undivided Self di Ruben Pang, che ritrae una mantide religiosa: la femmina d’insetto danza in un rituale, macabro (ma qui coloratissimo) sino all’attimo precedente in cui divorerà il maschio. Così è per Yue Minjun che nel suo olio su tela di “appena” 100×80 cm ritrae l’inguardabile: Medea brandisce un pugnale e mostra il suo corpo nudo con la testa ruotata. Ai suoi piedi anche i due figli presentano la nuca allo spettatore. Stando alle note curatoriali, il riferimento va alla Medea furiosa (1862) di Delacroix, ma la torsione a centottanta gradi della testa riporta alla mente il rituale della pellicola del 1973 di William Friedkin, L’esorcista. La Medea di Minjun non ha nulla di umano: la cinghia di cuoio che trattiene i drappi di diverso colore della veste e il bracciale sottolineano ancor più la sua essenza di idolo del maleficio. Minjun è noto per gli autoritratti in cui raffigura se stesso con una risata sciocca e inquietante, ripetuta all’infinito: l’assurdità della condizione umana è dunque per lui una costante.

Yue Minjun, Medea, 2023

Yue Minjun, Medea, 2023

GLI ARTISTI IN MOSTRA ALL’ANTICO MERCATO DI ORTIGIA

Di tutt’altra empatia risuona invece l’installazione della fotografa Margaux Bricler, la quale mette in gioco il ritratto di se stessa nuda e in avanzato stato di gravidanza, e affronta così il dilemma tutto femminile di qualcosa che è allo stesso tempo voluto, ma anche subito a causa dei limiti sociali che la maternità pone a ogni donna. Qui la dinamica di un’arte politicamente consapevole trasferisce la riflessione sul mito proiettandolo nella vicenda contemporanea. Per rendere evidente il rapporto con la tragedia greca, Bricler fa interagire il suo autoritratto con una scultura tessile dal titolo Sêma, Sôma. L’ espressione è originariamente intesa da Platone come “prigione, corpo”: il modo con cui il filosofo descrive il corpo quale una costrizione da cui l’anima si libera solo dopo la morte. Si tratta di un telo bianco tinto di rosso nella sua parte inferiore che assume l’aspetto di un sudario imbrattato dalle tracce del sacrificio. L’interazione fra il telo e l’autoritratto evoca le parole con cui Medea afferma che preferirebbe imbracciare lo scudo in guerra tre volte piuttosto che partorire anche una sola volta.
Le opere finora elencate sono quelle più potenti e cariche di suggestione. E tuttavia è impossibile non restare colpiti dal trittico di Natee Utarit: in Two Boys and The Sacrifice Utarit dipinge un appartamento borghese dai colori neutri, in realtà la scena di un crimine che include i corpi senza vita di due bambini a terra. Tra le presenze italiane sono da segnalare i lavori della giovanissima Chiara Calore, di Francesco De Grandi, Vera Portatadino e Nazzarena Poli Maramotti.

Aldo Premoli

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Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

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