Dialoghi di Estetica. Parola a Carola Barbero
Carola Barbero è professore associato di Filosofia del linguaggio presso l’Università degli Studi di Torino. Tra i suoi ultimi libri ricordiamo: “Attesa” (Mursia, 2016), “Filosofia della letteratura” (Carocci, 2013), “Chi ha paura di Mr. Hyde? Oggetti fittizi, emozioni reali” (Il Melangolo, 2010). In questo dialogo abbiamo affrontato i seguenti temi: i presupposti della filosofia della letteratura, il suo rapporto con l’estetica, l’apprezzamento delle opere letterarie, il ruolo della finzione e della conoscenza, la possibilità di definire la letteratura.
Come altri ambiti di produzione artistica – penso, ad esempio, alla danza, alle arti visive, al cinema – anche la letteratura può essere oggetto delle indagini filosofiche. Quali sono le principali ragioni che motivano l’interesse dei filosofi per la letteratura?
Sono molte le ragioni (etiche, estetiche, politiche, storiche, antropologiche ecc.) per le quali i filosofi possono essere interessati alla letteratura; in particolare, la filosofia analitica se ne è spesso interessata dal punto di vista della filosofia del linguaggio, cercando di rispondere a domande del tipo: “che differenza c’è tra un testo qualsiasi e un’opera letteraria?”, “qual è il valore di verità degli enunciati contenuti nei romanzi?” e così via.
L’esperienza delle opere letterarie è diversa da quella di altre opere. Che rapporto c’è tra la letteratura e l’estetica?
Per quanto riguarda l’esperienza estetica, è evidente come la letteratura presenti caratteristiche abbastanza particolari, da un lato perché non possiamo accettare tout court come tipico di tale esperienza quel disinteresse e quella distanza che Kant riteneva essere requisiti indispensabili del giudizio estetico (spesso infatti per l’apprezzamento delle opere letterarie è richiesto esplicitamente un coinvolgimento particolare da parte del fruitore), dall’altro perché non sembra che l’esperienza intesa come percezione (vista o tatto che sia) sia di per sé rilevante per la fruizione delle opere letterarie (anzi, potremmo addirittura sostenere che l’apprezzamento della letteratura in quanto tale cominci soltanto dopo che la percezione in senso stretto ha avuto luogo; non a caso Hegel diceva che la poesia si situa oltre il livello della sensibilità).
L’esperienza estetica delle opere letterarie fa quindi riferimento non tanto alla percezione o al modo in cui le cose ci appaiono (come invece il termine ‘aisthesis’ – nel suo originale significato baumgarteniano, riportato potentemente al centro dei dibattiti in estetica da Maurizio Ferraris, nel suo Estetica razionale del 1997 – sembrerebbe farci supporre), bensì alla capacità di riflessione e immaginazione dei fruitori. Questo spiega la ragione per la quale, come ben osservano Peter Lamarque e Stein H. Olsen, le pratiche letterarie, precisamente in quanto dotate di valore estetico, siano necessariamente normative, perché leggere un testo di letteratura implica sempre valutarlo, esprimere un giudizio.
Consideriamo le possibilità che offrono le opere letterarie ai fruitori. Quali sono i principali fattori che concorrono a determinare il nostro apprezzamento?
La letteratura, dice Aristotele nella Poetica, a differenza della storia che ci racconta ciò che è accaduto, ci narra di cose che possono accadere, dandoci così possibilità di accesso al regno dell’universale. Da questo punto di vista, quindi, la letteratura ci fornisce la più elevata forma di conoscenza. Ovviamente, ciò detto, resta da capire quale sia, nello specifico, questa forma di conoscenza (se essa sia, per esempio, proposizionale, non proposizionale, etica, immaginativa) e quanto sia in grado di determinare il nostro apprezzamento.
Se si trattasse di una conoscenza di tipo etico, come sostengono vigorosamente Martha Nussbaum e Berys Gaut, allora potremmo dire che il nostro apprezzamento aumenta con l’aumentare della dimensione etica positiva veicolata dall’opera (e, di converso, un’opera con un contenuto altamente immorale non potrà suscitare un nostro apprezzamento positivo – il che significa che Lolita di Vladimir Nabokov dovrà essere considerata di livello inferiore rispetto a Resurrezione di Lev Tolstoj).
Vorrei soffermarmi sul rapporto tra letteratura e finzione. Gli oggetti delle opere letterarie esistono nella finzione, eppure possono suscitare le nostre emozioni. Come è affrontata questa specificità delle opere di finzione dalla filosofia?
Le emozioni che le opere di finzione possono suscitare nei fruitori sono al centro della riflessione filosofica dai tempi di Platone e Aristotele. Nel 1975, con l’articolo di Colin Radford emblematicamente intitolato How Can We Be Moved by the Fate of Anna Karenina?, la questione è stata potentemente riportata al centro del dibattito filosofico e diverse soluzioni sono state avanzate per risolvere quello che è stato definito il paradosso della finzione, basato su tre tesi – 1. Il lettore si commuove per Anna Karenina; 2. Per provare emozioni verso qualcosa o qualcuno bisogna credere nella sua esistenza; 3. Il lettore non crede che Anna Karenina esista – che, per quanto individualmente convincenti, sono reciprocamente incompatibili.
La risposta forse più famosa che è stata data – oltre a quella di Samuel Taylor Coleridge, secondo il quale proviamo emozioni perché, mentre leggiamo, ci dimentichiamo momentaneamente che i personaggi dei quali seguiamo le vicende non esistono – è quella di Kendall Walton, secondo il quale in quei casi in realtà proviamo quasi-emozioni, cioè emozioni all’interno del gioco di fare finta al quale stiamo partecipando, che però non sono (e non possono essere considerate) emozioni in senso proprio.
La letteratura non veicola verità sul nostro mondo ma su quelli di finzione creati dai suoi autori. Nonostante questo, possiamo comunque imparare qualcosa su di noi e sul nostro mondo attraverso le esperienze letterarie che facciamo – ad esempio, la lettura di Aspettando Godot di Samuel Beckett può permetterci di riflettere sull’attesa, sullo scorrere del tempo e su molto altro ancora. Qual è la tua posizione in proposito?
Penso che la letteratura ci consenta di fare esperimenti immaginativi molto importanti. Immaginando che cosa si prova a guardare il mondo con gli occhi di Vladimiro ed Estragone, nel caso dell’opera di Beckett, si impara non solo a cambiare il proprio punto di vista, ma anche ad avere quello specifico tipo di esperienze che i protagonisti della storia hanno, però forti della certezza (alla base del concetto di sublime, come ben ci insegnano Lucrezio e Kant) di essere al sicuro e di non dover pagare in prima persona.
Tra i loro obiettivi, i filosofi delle arti hanno quello di definire la natura del loro oggetto di indagine. Quali sono le principali direzioni di una ricerca filosofica che si pone il medesimo obiettivo per la letteratura?
Di norma, le definizioni forniscono le condizioni necessarie e sufficienti per caratterizzare un oggetto in maniera tale che si possa stabilire quali oggetti rientrano all’interno dell’insieme considerato e quali no. Ci sono buone ragioni per pensare che non sia possibile rinvenire tali condizioni nel caso della letteratura: innanzitutto perché non si caratterizza come un oggetto semplice, bensì come un insieme piuttosto complesso di fenomeni di difficile caratterizzazione e in continua evoluzione; inoltre, per quanto quello di “letteratura” sia un concetto indubbiamente legato a quello di “belles lettres”, è evidente come non ci si possa fermare a esso: il carattere prettamente qualitativo dei testi può, al più, essere una condizione sufficiente per la letteratura intesa nel suo senso più generale, ma sicuramente non può essere considerata né come una condizione sufficiente né come una condizione necessaria per la letteratura intesa come sottogenere dell’arte in generale (possiamo avere opere scritte benissimo che non sono opere di letteratura, così come possiamo avere opere scritte male che sono letteratura a tutti gli effetti).
Negli ultimi anni il dibattito in filosofia dell’arte ha posto l’accento sulla possibilità di procedere anche in direzioni alternative a quella definitoria. Per la filosofia della letteratura, vale la stessa possibilità?
Senz’altro. Anziché pensare che possa essere interessante (o utile) riuscire a definire che cosa sia letteratura, si è giunti alla conclusione che convenga concentrarsi su altre questioni, come provare a circoscrivere ed elencare (sempre provvisoriamente) la molteplicità dei generi letterari, concentrarsi sul linguaggio letterario, individuare il rapporto tra l’autore, il narratore e il testo, tentare di comprendere quale sia il rapporto fra il testo e le molteplici interpretazioni, e così via.
– Davide Dal Sasso
www.unito.it/persone/carola.barbero
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