Archivio, fotografia e installazione. Intervista a Eva Kreuger

È in mostra a Torino da Mucho Mas! e in questa intervista Eva Kreuger racconta perché nella sua pratica artistica è tutta una questione di equilibrio

Eva Kreuger (Paesi Bassi, 1995) vive ad Haarlem. Ha conseguito una laurea in fotografia presso AKV | St. Joost Breda dove si è laureata nel 2017. Sono stati selezionati dalla piattaforma Unseen Foundation for Futures Photography nel 2019 e recentemente hanno partecipato al programma di supporto BredaPhoto. Nel 2021 ha ricevuto la borsa di studio Artist Start dal Mondriaan Fund. Kreuger usa il suo archivio come punto di partenza del suo lavoro. Con la sua pratica artistica classificano, combinano e modificano la loro vasta collezione di immagini che consiste in immagini analogiche acquistate online, registrazioni delle sue precedenti mostre e fotografie scattate all’interno e all’esterno del loro studio. Espande costantemente questo archivio attraverso un processo di ri-fotografia e copia. Lottando con la superficie piatta del mezzo fotografico, sposta le immagini avanti e indietro tra oggetti bidimensionali e tridimensionali mentre lavora su sculture e installazioni. Da Mucho Mas! a Torino è possibile vedere la sua mostra Exploring the Living Studio in collaborazione con Camera Centro Italiano per la Fotografia e Giangavino Pazzola. Questa conversazione offre un’immagine dell’indagine artistica di Kreuger, del suo modo di fare fotografia utilizzando materiali e lavorando sulla creazione artistica attraverso l’installazione.

Portrait © Christopher Reichling

Portrait © Christopher Reichling

INTERVISTA A EVA KREUGER

Il tuo è un uso non convenzionale della fotografia: non produci solo immagini, ma interroghi anche il modo stesso in cui lo fai lavorando alla continua trasformazione delle tue opere.
È un approccio che ho coltivato già nei miei studi in fotografia: per me il punto era se lavorare in modo lineare o seguendo più direzioni. Ecco perché ora un mio progetto non ha un vero e proprio progresso unico in cui le cose possano svilupparsi e a un certo momento fermarsi. Quella trasformazione a cui ti riferisci mi permette di andare avanti. Il lavoro finale potrebbe essere l’inizio di un nuovo progetto. Qualcosa attraverso il quale possono sorgere altre prospettive e altre domande.

Per raggiungere questi risultati, insieme alla fotografia, sono fondamentali anche i materiali che utilizzi nelle installazioni.
Per me è molto importante che i materiali siano disponibili e abbiano alcune qualità di base in linea con il processo in cui cerco di lavorare. Mi interessa in particolare la possibilità di trasformare e riutilizzare il materiale: quindi, ad esempio, tengo molti oggetti conservati nel mio studio – come pezzi di legno, pietre, diversi tipi di carta e materiali dal negozio di ferramenta: per esempio, i morsetti che compro e utilizzo per creare una scultura in legno li riutilizzo in seguito, essendo un elemento visibile in un quadro.

Anche il ruolo della narrazione come possibilità offerta dall’opera risulta un riferimento importante.
Ci ho lavorato per definire le immagini e per trovare un linguaggio tra loro. In un altro modo, negli ultimi progetti, mi interessa lasciarlo come suggestione non del tutto afferrabile. Quando lavoro con materiali diversi per me è molto importante riuscire ad attivare una narrazione, anche in termini di spiegazione dell’opera. Si tratta di qualcosa che è anche connesso con il ruolo del sentimento, il modo in cui puoi sperimentare lo spazio e i materiali in esso contenuti. Penso che il punto principale sia l’occasione per avere un equilibrio che lo spazio richiede e che puoi trovare con l’esperienza dell’opera.

Quell’equilibrio è compositivo e narrativo. Quest’ultimo si basa sul contrasto. Immaginiamo che tu esponga una tua opera e qualcuno dica: “In questa foto di Eva, non c’è niente”. Avremmo esattamente il punto di partenza di una narrazione. Allo stesso tempo, la tua opera è anche un modo in cui dici qualcosa come: “Raccontami una storia”. E questo è possibile perché, prima di tutto, offri un’esperienza fisica.
Sono d’accordo con te. C’è qualcosa che chiaramente mi attrae. Quando a un certo punto sono andata al museo, le esperienze con la pittura o con la scultura erano palesemente diverse, quindi è corretta la distinzione che proponi. Nel mio lavoro cerco di innescare qualcosa che sia connesso con un diverso tipo di esperienza attraverso i materiali che uso. Essi sono importanti perché in quello che faccio nulla è mai completamente finito, qualcos’altro potrebbe essere comunque sviluppato.

Che ruolo ha la continuità in tutto questo?
Mi concentro sempre su qualcosa di nuovo per ogni mostra e considero quest’ultima come una opportunità per ripensare il mio lavoro: per rimodellarlo in uno spazio diverso. E, in quel processo, parto sempre dal lavoro che c’era già, da un progetto su cui sto già lavorando.

LA FOTOGRAFIA SECONDO EVA KREUGER

Quindi, non solo continui a interrogarti sulle possibilità della fotografia come mezzo, ma anche la tua idea di archivio rimane al centro delle tue riflessioni.
L’archivio, come la fotografia, li uso come spazi in cui qualcosa può emergere e fondersi. Ma c’è una questione da considerare: il mio archivio è in parte digitale e in parte fisico, e anche il mio studio è così. Quindi, il mio lavoro è in una sorta di spazio fluido. Non dico mai: “Questo è finito e non lo toccherò mai più”. Ho bisogno di cambiare le cose, di ripensarle. Questo è il motivo per cui la fotografia è il mezzo perfetto per creare e ricreare le cose. Usarle e riutilizzarle, crearne delle copie e così via. La maggior parte delle immagini che uso sono piuttosto astratte e potrebbero essere una base per far sentire le persone parte dell’installazione.

Intendi che è necessario avere una posizione fisica specifica per sperimentare il tuo lavoro?
No. Voglio dire che è rilevante avere un modo di relazionarsi che non sia lo stesso che offre la fotografia “da sola” perché è piatta, mentre l’installazione è pienamente vivibile. Uso la fotografia ovviamente, ma combinata con altri mezzi. In questo modo è possibile cogliere le connessioni e i diversi elementi che compongono i processi di lavoro, interagendo con i materiali che utilizzo.

Vorrei soffermarmi su una questione in particolare: accostando materiali e immagini, scomponi gli elementi che hai scelto – perché ti interessa usare questi elementi e non altri –, ma allo stesso tempo coinvolgi lo spettatore, offrendo anche una sorta di immersione.
Sì, è possibile che sia anche così. Ma considera che lavoro con immagini di found footage ed elementi visivi che non si possono riconoscere completamente. Questo è il motivo per cui sposto il mio lavoro verso una direzione astratta, uso immagini della natura e cerco di astrarre tutti i riferimenti. Forse è così che riesco a offrire possibili immersioni nel mio lavoro.

Sembra che tu sia interessata a trame naturali o micro o macro-pattern, diverse dimensioni delle visioni…
Per me è anche un modo per riportare la fotografia ai materiali. Facendo un ingrandimento, come se fosse “uno zoom”, su qualcosa, posso mettere in risalto questo approccio che è allo stesso tempo astratto e materialista.

Davide Dal Sasso

https://evakreuger.nl

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Davide Dal Sasso

Davide Dal Sasso

Davide Dal Sasso è ricercatore (RTD-A) in estetica presso la Scuola IMT Alti Studi Lucca. Le sue ricerche sono incentrate su quattro soggetti principali: il rapporto tra filosofia estetica e arti contemporanee, l’essenza delle pratiche artistiche, la natura del catalogo…

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