Partecipazione, fallimento e trasformazione. Intervista a Marinella Senatore
Il nuovo capitolo dei “Dialoghi di estetica” cede la parola a Marinella Senatore, artista che ha fatto della partecipazione consapevole il perno della propria ricerca
Artista multidisciplinare, Marinella Senatore (Cava dei Tirreni, 1977) vive e lavora a Roma e Parigi. La dimensione partecipativa e il costante dialogo tra storia, cultura popolare e strutture sociali caratterizzano la sua pratica. Ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Napoli (1994-97), al Conservatorio di Musica di Avellino (1997) e alla Scuola Nazionale di Cinema di Roma (1999-2001). Tra le sue mostre personali si segnalano quelle ospitate da: CCA, Tel Aviv (2023); Blitz, Malta (2022); 34esima Bienal de São Paulo, Fundação Bienal de São Paulo, Brasile (2021); Taak, Amsterdam (2021); Museo del Novecento e del Contemporaneo a Pistoia (2021). Il suo lavoro è stato esposto in sedi prestigiose in tutto il mondo, con performance e progetti realizzati in collaborazione con: Palazzo Strozzi, Firenze; Kunsthalle Sankt Gallen; Schirn Kunsthalle; Museum of Contemporary Art di Chicago; Museo Madre, Napoli; Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino; Musée d’art contemporain de Montréal; ICA, Richmond; BAK, Utrecht; Centro de Arte Dos de Mayo, Madrid; Palazzo Grassi, Venezia; Museo Boijmans Van Beuningen, Rotterdam; Moderna Museet, Stoccolma; UABB Bi Shenzhen; Biennale di Lione; Biennale di Salonicco; Biennale di Liverpool; Biennale di Atene; Biennale dell’Avana; Biennale di Göteborg; Bienale di Cuenca, Ecuador; 54esima Biennale di Venezia.
Questo dialogo, che inaugura il decennale di Dialoghi di estetica. Rubrica di filosofia e arti, si sofferma su alcuni dei principali temi che Senatore esplora con la sua poetica: le relazioni umane, l’educazione, le esperienze e le trasformazioni, il fallimento come scoperta, l’orizzontalità.
INTERVISTA A MARINELLA SENATORE
Sono dell’idea che considerare il tuo lavoro voglia dire prima di tutto prestare attenzione alla priorità, ossia alla tua necessità di rendere possibili alcune relazioni tra gli esseri umani.
Questa tua idea è molto giusta. Perché stiamo parlando di una condizione che mi appartiene e che si è presentata in modo naturale nella mia vita diventando poi imprescindibile per la mia ricerca artistica. Con il passare degli anni ho capito che con la mia pratica posso dare il meglio di me proprio perché riesco a sviluppare quella priorità lavorando sull’incontro e il continuo confronto con le persone. La sua influenza è stata decisiva per i rinnovamenti che sono avvenuti nel mio lavoro.
Da dove trae origine la tua necessità di lavorare sulle relazioni umane?
Credo dall’aver capito che ‘partecipare’ non significa solamente collaborare ma piuttosto essere parte di qualcosa. Ci sono arrivata solo a un certo punto, ma i presupposti c’erano tutti già nel mio modo di vivere. Nonostante io sia una persona solitaria, la mia energia si attiva sempre in un contesto collettivo, stando insieme agli altri. Per esempio, studiavo musica classica ma non mi interessava suonare a casa o intraprendere la carriera di solista; il mio compito riusciva solo quando ero coinvolta nello scambio, quando lavoravo in gruppo, quando ero parte dell’orchestra. Quella priorità ha poi preso sempre più forma anche attraverso il mio modo di rapportarmi al cinema e alla direzione della fotografia: me ne sono appassionata non pensando alla figura del regista ma alla possibilità di essere una parte del gruppo, con la mia individualità, la mia specificità, la mia voce, il mio approccio alla luce. All’epoca mi interessava essere parte di una costruzione che non avevo neppure architettato io.
Il senso della partecipazione è legato tanto alle relazioni quanto alle trasformazioni che rendono possibili; le relazioni con gli altri ci permettono di scoprire noi stessi.
Coltivare le relazioni umane implica anche la cessione di qualcosa di sé. Sembra scontata quest’ultima condizione, ma è innegabile che se non rinunci a niente di te non crei spazio per l’altro. Raffinando la comprensione del mio lavoro, mi è sempre più chiaro cosa cerco nelle relazioni che intesso: qualcosa che in me non c’è. La fascinazione per l’altro innesca in me la possibilità stessa di alimentare energia nelle altre persone. Affrontiamo molti aspetti di noi relazionandoci con gli altri. Sono le persone, le loro risposte e reazioni che possono insegnarci davvero molto. La relazione è infatti pensabile come un modo per lavorare sullo sviluppo di qualcosa che succederà solo in seguito. Questo è un aspetto imprescindibile per me e che rivela quanto sia influente proprio quella priorità. Ma, lasciami dire, quelle trasformazioni che giustamente hai citato sono fin troppo fraintese.
Che cosa intendi?
‘Trasformazione’ è un termine che andrebbe normalizzato perché lo si usa pensando soprattutto a grandi capovolgimenti. Ciò che invece andrebbe ammesso e considerato con maggiore attenzione è che, ben più di quanto non si creda, si tratta anche di movimenti infinitesimali che potrebbero non essere riconosciuti ma che ci sono e ci fanno continuamente diventare altro.
TRASFORMAZIONE E FALLIMENTO SECONDO SENATORE
Promuovendo qualcosa come una sorta di “microfisica della trasformazione”, tu sottolinei anche l’importanza delle esperienze che possono essere offerte attraverso le arti.
Assolutamente sì. Le esperienze non finiscono nell’atto creativo o nelle ambizioni dell’artista. Forse, neppure nell’opera. Per le persone esse sono semmai pura possibilità di scambio e di trasformazione. I piccoli movimenti, che troppo spesso non consideriamo, sono infatti cruciali. A partire da essi potremmo iniziare a riconoscere sia il ruolo del fallimento sia di quella specie di effetto domino che appartiene naturalmente alle relazioni umane. Esiti che le arti possono rendere manifesti in più modi anche attraverso la decelerazione.
Soffermiamoci un momento sul fallimento. Lo consideri in modo particolare, come se fosse una possibile via per la scoperta.
Sì, perché credo che all’origine di molti dei nostri disagi esistenziali vi sia un sistema desueto che, nonostante sia al centro di numerose riflessioni, forse non si è capito quanto profondamente ci influenzi. Sto pensando al sistema capitalista, che impone una concezione rigida secondo la quale vi sono solo riuscita o insuccesso. Questa concezione fortemente legata al “prodotto” influenza la nostra educazione e da essa deriva un pensiero comune e nocivo: devo riuscire, se non riesco sono una nullità! Ripartire dal fallimento, variamente inteso, penso significhi metterlo in discussione per coltivare una educazione alla scoperta e non alla competitività. Ma significa anche poter procedere almeno in due direzioni: da una parte rivedere il ruolo della vulnerabilità, dall’altra incentivare l’orizzontalità.
Entrambe le direzioni mostrano in modo ancora più chiaro quanto la tua sia anche una riflessione sulla dimensione umana, che può essere svolta fruttuosamente anche attraverso l’arte.
Con le mie attività, provo a gettare un sassolino coltivando possibili alternative nelle comunità che coinvolgo. L’obiettivo non è necessariamente riuscire o arrivare a ottenere un prodotto definito. Piuttosto, è ammettere che il risultato potrà anche essere ben altro rispetto a quello che si voleva inizialmente, perché anche il desiderio cambia. Quello che ho sviluppato nel corso del tempo è soprattutto un lavoro sul riconoscimento delle potenzialità che si presentano attraverso le relazioni. Nelle arti vedo la possibilità di tornare a una dimensione ancestrale, di poter raggiungere il vero sé. Sono convinta che questo sia stato possibile molte volte nelle arti, in passato, e sicuramente lo è anche oggi. È per questo che sto sviluppando le mie ricerche concentrandomi sulle diverse potenzialità offerte dalla mindfulness.
MARINELLA SENATORE E L’IMPORTANZA DEL FARE
Consideriamo adesso l’orizzontalità: pensando alle tue opere, oltre alle relazioni le associo anche al rispetto e alla mutabilità. Ma c’è di più: tu lavori sulla possibilità di mettere in risalto i processi e in tal modo credo tu riesca a mostrare che l’orizzontalità trova la sua ragion d’essere tra politica e poetica.
Mi ritrovo in queste riflessioni. Se infatti penso alla verticalità, mi sembra di poterla descrivere anzitutto come una trasmissione delle conoscenze che avviene secondo una imposizione, insistendo sulla gerarchia, dove c’è sempre un alto e un basso. È un pensiero che ho formulato lasciandomi influenzare dalla filosofia di Jacques Rancière, dalla sua idea di una relazione che possa svilupparsi anche mediante la dichiarazione di una possibilità educativa che si basi sulla espressione del rispetto e della consapevolezza dei limiti. Solo gli esseri umani possono emancipare altri esseri umani, questo è il ruolo che diamo non solo alla conoscenza ma soprattutto all’educazione. L’orizzontalità permette di fiorire – come accade anche nella School of Narrative Dance – proprio perché il problema non è il risultato del lavoro, ma la possibilità stessa di svolgerlo insieme sulla base di una trasmissione diretta delle competenze: il lavoro è questo, si fa così, fallo anche tu.
Si insegna facendo, invitando le persone a fare.
Esatto. Ancora meglio, invitando gli altri a mettersi in gioco, a trovare il loro modo di poter andare avanti su una strada appena mostrata e che può essere percorsa anche in maniera del tutto inaspettata.
Quanto è importante quest’ultimo possibile sviluppo per la tua ricerca?
La parte politica del mio lavoro è nell’avvio delle attività, che nei progetti comunitari si traduce nella fase della “chiamata”, dell’Open Call, nel riuscire a rendere manifeste le possibilità. Queste sono le premesse per il mio lavoro, se mancano non lo si può svolgere.
La priorità, dunque, è considerabile essenzialmente come una urgenza: quella di fare.
Sì. Proprio perché è urgente fare il lavoro. Farlo riuscendo a dare risalto alla individualità, alla consapevolezza che è alla base stessa delle numerose altre possibilità che si incontrano facendo. È con la nostra serie di processi che sono legati al fare che possiamo accedere alla fioritura e a molti altri esiti possibili. Possiamo anche arrivare alla messa in discussione di tutto, alla rottura, al capovolgimento, ma è comunque dal fare che si parte. Si tratta di un circolo estremamente virtuoso.
‒ Davide Dal Sasso
https://marinella-senatore.com
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