Dialoghi di Estetica. Parola a Gianluca Brando

Forma e memoria compongono il terreno di indagine di Gianluca Brando, che approfondisce insieme a noi il suo processo creativo in queste giornate di quarantena.

Dopo gli studi nelle Accademie di Belle Arti di Roma e Venezia, Gianluca Brando (Maratea, 1990) ha coltivato le sue ricerche nell’ambito della scultura prima con un soggiorno a Taiwan, dal 2014 al 2017, dove ha partecipato alla scena artistica di Taipei e in seguito, negli ultimi due anni, attraverso le esperienze di alcuni programmi di residenza artistica: Cripta747 studio programme a Torino, Officine Saffi in residence e VIR Viafarini in residence a Milano. Il suo lavoro è stato recentemente inserito all’interno del progetto Index della Fondazione SoutHeritage di Matera. In questo dialogo ci siamo soffermati su alcuni aspetti del suo lavoro, in particolare: la mutabilità, la manipolazione dei materiali, il ruolo della percezione e della trasformazione, il rapporto con il tempo, la maturazione dei cambiamenti e la memoria.

Oltre al tuo interesse per alcune polarità – penso, per esempio, a interno/esterno, presenza/assenza, pieno/vuoto, lontananza/vicinanza –, il tuo lavoro si orienta anche in rapporto a un altro elemento, la mutabilità.
Ci sono vari livelli. A volte credo che si tratti di trovare un equilibrio rispetto a ciò che ti offre il processo. Voglio dire, quelle polarità che hai citato possono essere al centro di un lavoro proprio perché esso si basa prima di tutto su possibilità derivanti dalla manipolazione della materia. La mutabilità, però, non è l’unico elemento. C’è anche un rapporto di intimità che credo sia all’origine della scultura. O, almeno, della mia idea di essa.

Che tipo di rapporto è?
Penso che alla sua base ci siano due aspetti, uno percettivo e l’altro trasformativo. Al primo è legata una specie di inclinazione erotica: la possibilità di sentire la materia, di interagire con essa, mosso da un interesse che non è solo progettuale. Ho la necessità di “essere nelle cose”. Infatti, spesso la mia scelta di raccogliere oggetti dipende dalla attrazione che questi esercitano su di me (ecco perché penso a una sorta di erotismo che influenza il lavoro). Spesso, questa attrazione proviene dalla loro superficie esterna, da come appaiono. Ma c’è anche dell’altro: percepire, in un certo senso, è un modo per prendere qualcosa. Dopo viene la trasformazione.

Gianluca Brando, Passaruota, 2019 20, calchi in gesso, residui di grasso e polvere, dimensioni variabili. Installation view at Cripta747, Torino

Gianluca Brando, Passaruota, 2019 20, calchi in gesso, residui di grasso e polvere, dimensioni variabili. Installation view at Cripta747, Torino

Proviamo a chiarire questo secondo aspetto.
La materia è in continuo cambiamento. Il lavoro viene fuori dalla manipolazione, dalle possibilità di riuscire a compiere una trasformazione. Lavorando accadono molte cose e questi eventi influenzano il risultato che potrei ottenere. La mutabilità è resa possibile anche da numerose variabili che entrano in scena mentre lavoro. Posso andare in una direzione o in un’altra, ma devo sempre tenere conto di quelle variabili.

Realizzata durante la residenza in Viafarini, l’opera Imago – un filo di bronzo, quasi invisibile, che dal pavimento entra nello spazio poggiandosi su una parete – sembra mostrare che la trasformazione per te sia anche un modo per testare le condizioni di possibilità della sua riuscita.
In parte è così. Il lavoro è nato da un viaggio che ho fatto in Cina. Nella vetrina di una farmacia avevo visto uno strano ciuffetto di erbe – così almeno mi sembrava, a un primo sguardo – che mi aveva molto incuriosito. Quando ho chiesto di cosa si trattasse mi hanno detto una parola che tradotta suonava come: ‘verme d’inverno, erba d’estate’. Mi colpì esattamente questa trasformazione che avviene nel tempo, le condizioni che rendono possibile che un fungo si impossessi di un altro organismo vivente e lo modifichi; che un corpo si aggiunga a un altro instaurando una relazione simbiotica che, oltre a essere una cosa che genera meraviglia, contiene un’allegoria.

Che importanza dai al tempo per la riuscita delle tue opere?
Lo considero soprattutto in rapporto alla forma che potranno avere. In un primo momento un’opera può anche essere priva di forma. Ma, con il passare del tempo, poi ne acquista una. Quella che prende, ovviamente, lavorando in uno spazio o in un altro – e in rapporto alle esperienze quotidiane che posso fare – è perciò destinata a mutare.

Tra le opere alle quali stai lavorando in questi mesi, una in particolare ispirata dallo studio di un oggetto quotidiano, la tegola, mi sembra che mostri bene come la mutabilità e il tempo siano centrali nella tua attività.
Assolutamente sì. Sto sviluppando uno studio di questa forma e fin qui mi sono mosso sostanzialmente in due direzioni: una legata al profilo della tegola, ossia alla rappresentazione; l’altra all’idea di inversione. In entrambi i casi procedo lavorando sull’aderenza all’oggetto, iniziando dal suo calco. Il risultato sono le impronte in terracotta dei due profili dell’oggetto, segni orizzontali e curvi. Nella maggior parte dei miei lavori all’inizio c’è il contatto con un oggetto comune, anonimo. In questo caso, la tegola. Un oggetto, a tratti emblematico, poiché esprime, anche solo visivamente, una “fluidità con l’ambiente”. Stando sui tetti, le tegole diventano un elemento del paesaggio mentre, al contempo, i profili ne evocano una rappresentazione.

Gianluca Brando, Imago, 2018, bronzo, 20.8 m, diam. 3 mm. Installation view at Viafarini, Milano. Photo Valerio Torrisi

Gianluca Brando, Imago, 2018, bronzo, 20.8 m, diam. 3 mm. Installation view at Viafarini, Milano. Photo Valerio Torrisi

In questo momento, con l’emergenza Coronavirus, come sta procedendo questo lavoro?
Credo che il tempo sia una grande risorsa perché posso lavorare con ancora maggiore attenzione su molti aspetti legati alle trasformazioni della forma, lasciando che le variabili si presentino vivendo una quotidianità diversa dal solito. Lo faccio anche ampliando le mie conoscenze, leggendo più di quanto faccio solitamente, facendo nuove scoperte e continuando a prendere appunti.

Qual è l’aspetto che pensi sia più importante in questa fase?
Considerando proprio questa nuova esperienza con il tempo quotidiano, credo che l’aspetto più importante sia la sospensione; la possibilità di vedere le cose in altri e nuovi modi. Certo, devo fare a meno di molte cose. Ma, allo stesso tempo, ci sono numerose possibilità che si stanno presentando. Credo che questo periodo sia utile anche per ripensare il nostro rapporto con il mondo, per recuperare una sorta di dimensione primitiva dell’esistenza alternativa alla frenesia e alla iperproduzione.

Vorrei tornare alla tua idea di rappresentazione: qual è la tua riflessione su questo tema?
Quando dico ‘rappresentazione’ mi riferisco nello specifico al fatto che i profili delle tegole mostrano oggetti del paesaggio. Al tempo stesso, si tratta di forme che lo contengono: nel senso che sono anche una sua rappresentazione. Il profilo di una tegola lo disegna, l’oggetto è anche un segno che compone l’immagine che avremo del paesaggio. Questa rappresentazione credo riveli anche una sorta di organicità tra gli oggetti e l’ambiente.

Il tema dell’inversione è altrettanto importante. In molte tue opere lo esprimi proprio attraverso l’uso dei materiali – penso, per esempio, a Della notte e del giorno: un gruppo di coppi in ceramica nera smaltata, disposti sul pavimento e all’interno dei quali c’è dell’acqua.
Sono d’accordo con te. In quel lavoro questo aspetto risalta almeno in due modi: c’è inversione perché i coppi sono capovolti, sono in negativo. Si trovano sul pavimento e non più sopra di noi. Non coprono ma, in un certo senso, “si scoprono”. Non fanno defluire l’acqua ma, al contrario, la contengono. Ancora, c’è inversione anche perché l’acqua crea uno specchio naturale che offre le immagini dell’ambiente circostante. L’immagine riflessa è anch’essa una inversione, così come lo è il calco.

Gianluca Brando, Nu Vaso, 2019, terracotta, gesso, gres, terra cruda, lastra di ottone (175x60x0,2 cm), teli di polietilene mossi dall’aria, dimensioni site specific. Installation view at BoCs Art, Cosenza

Gianluca Brando, Nu Vaso, 2019, terracotta, gesso, gres, terra cruda, lastra di ottone (175x60x0,2 cm), teli di polietilene mossi dall’aria, dimensioni site specific. Installation view at BoCs Art, Cosenza

Insieme all’inversione e alla rappresentazione, nel tuo lavoro risalta anche l’interesse per il contatto. Riferimento che emerge soprattutto dall’opera Nu Vaso, installazione che hai realizzato nel 2019 durante il periodo di residenza presso BoCs Art a Cosenza.
Lo spazio in cui l’ho allestita è stato rimodulato usando alcuni teli di polietilene che si muovevano con lo spostamento dell’aria, formando un ulteriore ambiente. Il contatto è certamente un riferimento importante, anche perché con questo lavoro ho cercato di esplorare i confini della scultura. Ma lo è soprattutto perché rimanda ad altri due temi che sono impliciti: la memoria e la separazione. Nello spazio ho allestito diversi elementi: una lastra dorata tanto grande da poter ospitare un corpo in orizzontale su di essa, una serie di vasi parziali e un calco in gesso che replica fianchi femminili (un riferimento anatomico umano di cui mi sono servito per modellare la porzione di un’anfora in terracotta). Alcune vicende personali di quel periodo sono state cruciali per dare corpo a una suggestione narrativa che mi accompagna da molto tempo, il mito tramandato da Plinio il Vecchio sulla nascita della scultura. La narrazione della figlia di Butades, vasaio di Corinto, che alla vigilia della partenza del suo amante ne traccia il contorno dell’ombra su una parete, in seguito trasposta dal padre in un modello di argilla. Rendere presente l’assente sembra essere il cuore del mito. Possibilità che ho coltivato anche con la mia installazione.

Perché sei interessato alla memoria?
Più che un interesse credo sia una componente interna alle azioni che vanno a costituire il mio lavoro. La mia attrazione verso alcuni tipi di forme, di oggetti preesistenti, mi spinge a farne il calco. Ci confrontiamo sempre con ciò che già c’era prima di noi. Quando nasciamo ci inseriamo in un mondo che è già formato. Il calco trattiene e trasmette una forma, è una traccia che conserva la memoria del contatto tra due elementi; è qualcosa di molto fisico, oggettivo, ma che in realtà è una rigenerazione pura, soggetta a ulteriori passaggi.

Davide Dal Sasso

www.gianlucabrando.com

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Davide Dal Sasso

Davide Dal Sasso

Davide Dal Sasso è ricercatore (RTD-A) in estetica presso la Scuola IMT Alti Studi Lucca. Le sue ricerche sono incentrate su quattro soggetti principali: il rapporto tra filosofia estetica e arti contemporanee, l’essenza delle pratiche artistiche, la natura del catalogo…

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