Relazioni e ricerca. Intervista con l’artista Paola Anziché

L’attenzione per i materiali e le relazioni, il legame tra ricerca e applicazione pratica, l’inclinazione ecologica e l’interesse per la purezza dell’arte. Sono i temi di questo nuovo “Dialogo di Estetica”. A parlare è Paola Anziché

Dopo la formazione presso l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e il Master student alla Stäedelschule, Staatliche Hochschule für Bildende Künste, a Francoforte sul Meno, Paola Anziché (Milano, 1975) ha svolto le sue ricerche lavorando sulle possibilità del medium e delle relazioni umane. Le sue opere sono state esposte in numerose istituzioni pubbliche e private in Italia e all’estero: Quartz studio (Torino, 2022); Museo Salvatore Ferragamo (Firenze, 2019); Turner Contemporary (Margate, 2017); XXI Triennale Internazionale (Milano, 2016); Kichik QalArt a Yarat (Baku, 2015); Fondazione Remotti (Camogli, 2012); GAM – Galleria d’Arte Moderna (Torino, 2013); MAMbo – Museo d’arte moderna di Bologna (2013); Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (Torino, 2010); Careof (Milano, 2009). Ha partecipato a numerosi programmi di residenza internazionali: New Roots Foundation (Antigua, 2021); Temporars, Museum Susch (Susch, 2019); Kiosko Galería (Santa Cruz de la Sierra, 2017); HIAP Residency Program (Helsinki, 2015); SYB Artist Residency  (Beetsterzwaag, 2012); RESÒ International network for art residencies (Torino, 2012); Capacete, Artist Residency (Rio de Janeiro, San Paolo, 2012); Pact Zollverein Zentrum (Essen, 2012); Centre International d’Accueil et d’échanges des Récollets (Parigi, 2008). Ha collaborato con il College of Art dell’Università di Tecnologia di Taiyuan (Shanxi, 2019). Nel 2019 è stata pubblicata da Viaindustriae Publishing la monografia La terra suona/The Earth Sounds e nel 2022/2023 l’artista sarà ospite della residenza Tashkeel’s artist-in-residence a Dubai, con il supporto di Loro Piana.
Soffermandosi su più aspetti della poetica di Anziché, questo dialogo restituisce alcuni dei nodi tematici che la caratterizzano: l’attenzione per i materiali e le relazioni, il legame tra ricerca e applicazione pratica, l’inclinazione ecologica e l’interesse per la purezza dell’arte intesa essenzialmente come insieme di attività umane.

Nonostante la loro diversità, i mezzi espressivi che scegli rendono manifesto un soggetto ricorrente: la terra. Nelle tue opere essa appare come superficie ma anche come sede delle operosità umane, alla luce di condizioni ancestrali e fisiche: quello che facciamo accade nel mondo e avviene anche attraverso ripetuti ritorni alla terra.
Anche se siamo con i piedi per terra, nella gran parte dei casi non ci accorgiamo di cosa stiamo calpestando. È raro guardare cosa c’è per terra. Ancora di più lo è soffermarsi per scoprire cosa vi sia in essa. Sotto ai nostri piedi c’è tutta una attività che trascuriamo. Mentre facciamo cose sulla terra non ci curiamo del fatto che oltre a essere su di essa ne siamo anche parte essendole profondamente legati. Penso, per esempio, ai profumi: qualcosa che è nel mondo entra anche a far parte di noi, così siamo in contatto diretto con la terra.

Quella che stai sviluppando da ormai più di dieci anni è una pratica artistica che privilegia la ricettività attraverso l’offerta di più possibilità per fare esperienze diverse.
Sì, perché l’arte per me è pura curiosità, il piacere che si rinnova costantemente di poter conoscere: è la gioia stessa di scoprire che cosa succederà entrando in relazione con determinati materiali o facendo parte di una certa attività.

Pensi che il ruolo che assegni alla curiosità si traduca anche nel tuo modo di lavorare?
Certamente. Prima di tutto, perché sono interessata a dare spazio alla scoperta: più stimoli ci sono, più posso capire come le cose vanno, senza sapere che cosa succederà. Tutto avviene gradualmente, in parallelo allo sviluppo del lavoro. Inoltre, perché penso che la stessa possibilità di realizzare un’opera non sia legata solo a quello che faccio concretamente ma anche – e forse, ancora di più – a quell’intreccio di pensieri che nascono prima di farla e l’accompagnano durante la lavorazione. Per me questo è il senso di una possibile artigianalità (un saper fare acquisito volta per volta), una questione che mi è molto familiare sia rispetto a come sono cresciuta sia alla possibilità che alimenta tutto il mio lavoro: scoprire sempre qualcosa.

Che cosa pensi della tecnologia?
Non appena viene presentata, si rivela per quello che è: vecchia giacché diventa ben presto obsoleta quanto noi. Rispetto al mio lavoro la penso come un mezzo che possiamo usare e che si lega a un altro importantissimo strumento che abbiamo già naturalmente e del quale ci serviamo per le nostre vite, il pensiero. Considerare l’epoca contemporanea come se fosse quella della tecnologia non mi soddisfa granché. Io la penso piuttosto come l’epoca in cui possiamo presentare un punto di vista che se si afferma si differenzierà da quelli del passato.

La tua difesa della curiosità sembra trovare nuove forme anche nelle continue trasformazioni della tua pratica in ricerca artistica e teorica. Voglio dire, insieme a performance sculture installazioni tu organizzi anche workshop e sei autrice di opere basate su pratiche relazionali e partecipative.
Un cambiamento davvero significativo per me è avvenuto con il passaggio dall’attività artistica orientata alla produzione di cose a quella mossa dall’interesse per le relazioni: tra noi e il mondo, tra le persone gli oggetti e i materiali. Essere ricettivi e curiosi credo voglia dire ammettere che si possono fare numerose scoperte ma anche incontrare molte difficoltà. Ogni volta che avvio un progetto non so in che modo andrò a realizzarlo: anche se attraverso la ricerca posso individuare gli elementi che mi serviranno per realizzare il lavoro, fino alla fine non so mai che cosa potrà accadere.

Da dove trae origine il tuo interesse per il coinvolgimento delle persone?
Dal mio essere in ricezione, dalla possibilità di lasciarmi sorprendere da quello che potrà succedere.  Questo mi porta a stare insieme alle altre persone, a coinvolgerle nelle mie opere, a condividere esperienze con loro. Perché, in fondo, quello che abbiamo in comune è la vita su questo pianeta. Per me si tratta anche di coltivare un interesse per l’ecologia: come dire, abbiamo iniziato a parlare della terra e essa siamo naturalmente tornati.

Il tuo interesse per l’ecologia rivela anche la centralità che hanno le esperienze affinché la tua poetica possa rinnovarsi. A risaltare è in particolare la tua attenzione per il corpo e per la percezione.
È come dici. Infatti, ti vorrei raccontare brevemente due esperienze molto particolari. Una l’ho fatta agli inizi del 2000, quando ho visitato l’Orecchio di Dioniso al parco archeologico della Neapolis a Siracusa. Una grande cava scavata nel tufo nella quale ho potuto fare un’esperienza incredibile basata su una sorta di traduzione sonora della mia presenza: un po’ come se fosse possibile risonare e riascoltarsi nello spazio… Ho avuto una percezione fisica molto marcata del mio corpo e di dove mi trovavo. Un’altra esperienza davvero significativa è avvenuta mentre ero in Azerbaijan nel 2015. Ho visitato una moschea e mi sono resa conto di quale sia la forza del vuoto, ossia di come lo spazio per il pensiero possa anche essere privo di qualsiasi elemento. Culturalmente, noi abbiamo un’idea diversa dei luoghi per il ritiro spirituale. In quello spazio, invece, non puoi non riconoscere una differenza profonda: quello che accade all’esterno è il mondo; all’interno della moschea, invece, vigono il silenzio, la quiete, il vuoto. La componente percettiva è sempre in primo piano.

Oltre all’attenzione per le relazioni con il mondo e per la percezione tu coltivi anche un vivo interesse per il tessuto. Esso trova espressione nei tuoi lavori con le fibre, gli intrecci, i ricami; allo stesso tempo, ti permette di sviluppare una riflessione ben più ampia.
Il tessuto è pensabile come se fosse la nostra architettura, poiché riguarda come ci vestiamo e anche come ci poniamo verso l’altro.  La riflessione sul tessuto si è sviluppata nel corso del tempo attraverso le mie opere e l’esperienza diretta con i materiali. Ma sono state altrettanto decisive alcune letture. Tra queste vi sono taluni studi dell’architetto Bernard Rudofsky che negli anni Sessanta aveva scritto un libro intitolato Architecture without Architects (tradotto in Italia più tardi, a metà anni Settanta). Rudofsky mostrava come il tessuto e l’intreccio siano le prime basi dell’architettura – diversi esempi si trovano nella fabbricazione delle capanne – e con ciò metteva in risalto anche il ruolo della spontaneità, del mettere insieme elementi per produrre tessuti di vario tipo. Una parte considerevole delle mie ricerche è stata influenzata anche dalle sue riflessioni. In fondo, gli intrecci possono essere compiuti su più livelli, non solo quello fisico.

– Davide Dal Sasso

www.paolanziche.net

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Davide Dal Sasso

Davide Dal Sasso

Davide Dal Sasso è ricercatore (RTD-A) in estetica presso la Scuola IMT Alti Studi Lucca. Le sue ricerche sono incentrate su quattro soggetti principali: il rapporto tra filosofia estetica e arti contemporanee, l’essenza delle pratiche artistiche, la natura del catalogo…

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