Architetti d’Italia. Luigi Caccia Dominioni, eclettico milanese

Considerato uno dei protagonisti dell’architettura milanese, Luigi Caccia Dominioni è il nuovo “volto” della rubrica di Luigi Prestinenza Puglisi.

Ci sono pochi progettisti allo stesso tempo conosciuti e disconosciuti come Luigi Caccia Dominioni. Osannato da Cino Zucchi e da personaggi quali Vittorio Gregotti e Gae Aulenti, di lui si parla poco anzi pochissimo nelle storie dell’architettura. Tafuri nella sua, sull’architettura italiana tra il 1944 e il 1985, lo liquida con due brevi citazioni. Una per la vicinanza fisica di un suo edificio a uno di BBPR e l’altra per dire che, tra le opere milanesi migliori, quelle di Dominioni si caratterizzano per maggiore “superficialità”.
Zevi, che lo teneva in maggiore considerazione, tanto da consacrargli una monografia, scritta da Maria Antonietta Crippa, nella serie da lui diretta dell’Universale d’Architettura, non ne parla mai a lungo, come si può vedere sfogliando gli indici delle Cronache dove appare solo tre volte e a proposito di altro.

CACCIA DOMINIONI, MILANO E IL DESIGN

Eppure, pochi come Caccia Dominioni hanno contribuito a segnare il volto di Milano. Non solo per la quantità di opere realizzate nel corso di una lunghissima carriera iniziata presto e conclusasi all’età di 102 anni. Ma per il fatto che per la buona borghesia milanese, il Caccia, come veniva chiamato e viene tuttora ricordato, è stato l’architetto per eccellenza, il personaggio a cui rivolgersi per un’impresa edilizia di qualità: non importa se un arredamento signorile, un condominio centrale o semi-periferico, un palazzo per uffici o un quartiere con case circondate dal verde. Inoltre, è stato un designer di mobili e oggetti di arredamento. Apprezzati e vincitori di un paio di Compassi d’oro. Sua è la sedia Catilina che Chipperfield ha voluto inserire nel proprio studio. Sue la lampada Monachella e le maniglie San Babila, queste ultime ancora commercializzate con successo dalla Olivari.
È difficile caratterizzare stilisticamente l’opera di Caccia Dominioni anche se due parole vengono in mente. La prima è il termine razionalismo. Un razionalismo però non nella versione astratta, indirizzata verso la ricerca di geometrie ben definite, se non perentorie. Quanto in quella professionale orientata al buon costruire e al concetto di durata. Lo si vede nell’attenzione nell’elaborazione del progetto in pianta (Dominioni scherzosamente si definiva un “piantista”) e alla cura del dettaglio costruttivo. Senza cadere in quelle fisime che, invece, derivano da modelli apoditticamente precostituiti. Se, per esempio, la migliore copertura, dal punto di vista del deflusso dell’acqua piovana, è il tetto inclinato, non si vede perché, sulla base di un diktat estetico, occorra preferirgli quella piana. Oppure non si vede perché la persiana, che è un ottimo sistema di oscuramento, debba essere sacrificata e sostituita con scomode tende opache. Il secondo termine che caratterizza l’opera di Caccia Dominioni è eclettico, non per apertura capricciosa al passato, ma per relativa indifferenza agli stili e attenzione alle sollecitazione del contesto, storico, tecnologico e ambientale. L’obiettivo è che l’opera, alla fine, riesca a comunicare solidità, durata ed eleganza; pertanto, rifugge dalla teatralità scenografica gestita attraverso artifici spaziali e colpi di scena. In questo senso, anche se Dominioni adopera a volte matrici circolari, si tratta di accorgimenti che servono per favorire i movimenti degli utenti, che richiedono una certa fluidità spaziale e quindi geometrie non spigolose, e non certo di attrazione verso poetiche barocche, a lui sostanzialmente estranee.

Nato a Milano nel 1913, Caccia Dominioni frequenta l’istituto gesuita Leone XIII, dove consegue la maturità classica, per poi iscriversi nel 1931 alla facoltà di architettura del Politecnico di Milano dove si laurea nel 1936. Suoi insegnanti sono Gaetano Moretti e Piero Portaluppi. Tra i colleghi: i fratelli Castiglioni, Gian Antonio Bernasconi, Enrico Peressutti ed Ernesto Nathan Rogers, Marco Zanuso. Con Livio e Pier Giacomo Castiglioni aprì, subito dopo la laurea, uno studio professionale, attivando un sodalizio che, anche se fu sciolto dopo la guerra, fu ripreso per alcune collaborazioni professionali in seguito. Nel 1947 Dominioni, Corrado Corradi dell’Acqua e Ignazio Gardella fondano la ditta Azucena per mettere in produzione i mobili da loro ideati. Numerose sono le collaborazioni con altri protagonisti dell’architettura milanese. Per esempio con Vico Magistretti con il quale realizzerà il complesso residenziale San Felice a Milano (1967-75), un quartiere non lontano dall’aeroporto di Linate, composto da torri e da serpentoni continui di edifici più bassi, inframezzati da verde, secondo i modelli urbanistici di quegli anni, affascinati dall’idea di una Milano alternativa rispondente ai nuovi imperativi ecologici.

Luigi Caccia Dominioni, Edificio per abitazioni e negozi - photo Filippo Romano

Luigi Caccia Dominioni, Edificio per abitazioni e negozi – photo Filippo Romano

L’ARCHITETTURA DI LUIGI CACCIA DOMINIONI

Dominioni non è quindi un protagonista isolato, al di fuori dalle ricerche formali e tipologiche che segnano il suo tempo. Motivo per il quale liquidarlo con la semplice etichetta del “professionista’ sembra riduttivo. D’altra parte basta osservare le sue opere con attenzione: la sua è una scelta dettata da un’altra idea di progetto, meno autonoma e più eteronoma, o, per dirla più semplicemente, dove a essere rappresentata non è l’architettura stessa in sé e per sé ma il suo carattere utilitario, che deriva dall’essere posta al servizio di chi la usa. Se si osservano gli interni, scopriamo, per esempio, che la qualità principale consiste nell’essere sistemi di relazione che mettono in scena il gioco della vita, per organizzarne al meglio i rituali. Il soggiorno sarà ampio e articolato per dar conto delle diverse attività che vi si svolgono, l’ingresso non avviene immediatamente, le camere da letto sono essenziali. A rappresentare le relazioni sono le piante disegnate come se fossero la concretizzazione di flussi di attività. Simili ritualità mediano lo spazio esterno da quello interno, evitando rigide contrapposizioni tra edificio e scena pubblica. Idem per le finestre che con le loro forme diversificate raccontano l’interno, o per le logge che, attraverso mattoni traforati, determinano un continuum, una graduazione che diversifica ma non separa nettamente. È chiaro che con un approccio del genere saltano le logiche formali a priori, nel senso che le geometrie sono un risultato, ottenuto empiricamente e con aggiustamenti operati attraverso il buon gusto, e non un precetto ineluttabile e assoluto. L’edificio ha una immagine ma potrebbe averne un’altra. Così come i materiali potrebbero essere ceramiche o mattoni, naturali o artificiali. Da qui un elenco sterminato di forme che Caccia Dominioni mette in gioco, edificio dopo edificio, a dimostrare che una volta che si sceglie una strada in cui il linguaggio è relativamente poco importante, molte immagini sono possibili (insomma: viene fuori quell’eclettismo non storicista di cui parlavamo in apertura).

I LIMITI DI DOMINIONI

Tutto bene, sin qui. Se non fosse per un problema. Che il mondo al quale Caccia Dominioni appartiene e coltiva è aristocratico, sia pur corazzato da tutto l’understatement lombardo. Emerge sotto forma di richiamo al bon ton, al lusso, alla distinzione sociale. La sedia Catilina è apparentemente povera: in realtà è snob nel suo accennato richiamo alla virtù romana. I mobili hanno sempre un dettaglio in ottone o un richiamo al neoclassico per poter essere un oggetto di design veramente moderno. Non hanno quell’asciutto rigore fuori dal tempo e dallo spazio che, per esempio, fa la grandezza dei fratelli Castiglioni. I palazzi hanno quell’armonia un po’ leccata che li fa piacere tanto alla aristocrazia e alla borghesia milanese ma li rende poco interessanti alla storia dell’architettura contemporanea. Forse non è la superficialità che Tafuri gli rimproverava ma è sicuramente una incapacità dell’architettura di staccarsi dai suoi dati di partenza, per rappresentare una condizione forse meno raffinata ma più universale.

Luigi Prestinenza Puglisi

LE PUNTATE PRECEDENTI

Architetti d’Italia #1 – Renzo Piano
Architetti d’Italia #2 – Massimiliano Fuksas
Architetti d’Italia #3 – Stefano Boeri
Architetti d’Italia #4 – Marco Casamonti
Architetti d’Italia #5 – Cino Zucchi
Architetti d’Italia#6 – Maria Giuseppina Grasso Cannizzo
Architetti d’Italia#7 – Adolfo Natalini
Architetti d’Italia#8 – Benedetta Tagliabue
Architetti d’Italia#9 – Michele De Lucchi
Architetti d’Italia#10 – Vittorio Gregotti
Architetti d’Italia#11 – Paolo Portoghesi
Architetti d’Italia#12 – Mario Cucinella
Architetti d’Italia #13 ‒ Mario Bellini
Architetti d’Italia #14 ‒ Franco Purini
Architetti d’Italia #15 ‒ Italo Rota
Architetti d’Italia #16 ‒ Franco Zagari
Architetti d’Italia #17 ‒ Guendalina Salimei
Architetti d’Italia #18 ‒ Guido Canali
Architetti d’Italia #19 ‒ Teresa Sapey
Architetti d’Italia #20 ‒ Gianluca Peluffo
Architetti d’Italia #21 ‒ Alessandro Mendini
Architetti d’Italia #22 ‒ Carlo Ratti
Architetti d’Italia #23 ‒ Umberto Riva
Architetti d’Italia #24 ‒ Massimo Pica Ciamarra
Architetti d’Italia #25 ‒ Francesco Venezia
Architetti d’Italia #26 ‒ Dante Benini
Architetti d’Italia #27 ‒ Sergio Bianchi
Architetti d’Italia #28 ‒ Bruno Zevi
Architetti d’Italia #29 ‒ Stefano Pujatti
Architetti d’Italia #30 ‒ Aldo Rossi
Architetti d’Italia #31 ‒ Renato Nicolini
Architetti d’Italia #32 ‒ Luigi Pellegrin
Architetti d’Italia #33 ‒ Studio Nemesi
Architetti d’Italia #34 ‒ Francesco Dal Co
Architetti d’Italia #35 ‒ Marcello Guido
Architetti d’Italia #36 ‒ Manfredo Tafuri
Architetti d’Italia #37 ‒ Aldo Loris Rossi
Architetti d’Italia #38 ‒ Giacomo Leone
Architetti d’Italia #39 ‒ Gae Aulenti
Architetti d’Italia #40 ‒ Andrea Bartoli
Architetti d’Italia#41 ‒ Giancarlo De Carlo
Architetti d’Italia #42 ‒ Leonardo Ricci
Architetti d’Italia #43 ‒ Sergio Musmeci
Architetti d’Italia #44 ‒ Carlo Scarpa
Architetti d’Italia #45 ‒ Alessandro Anselmi
Architetti d’Italia #46 ‒ Orazio La Monaca
Architetti d’Italia #47 ‒ Luigi Moretti
Architetti d’Italia #48 ‒ Ignazio Gardella
Architetti d’Italia #49 ‒ Maurizio Carta
Architetti d’Italia #50 ‒ Gio Ponti
Architetti d’Italia #51 ‒ Vittorio Sgarbi
Architetti d’Italia #52 ‒ Fabrizio Carola
Architetti d’Italia #53 ‒ Edoardo Persico
Architetti d’Italia #54 ‒ Alberto Cecchetto
Architetti d’Italia #55 ‒ Fratelli Castiglioni
Architetti d’Italia #56 ‒ Marcello Piacentini
Architetti d’Italia #57 ‒ Massimo Mariani
Architetti d’Italia #58 – Giuseppe Terragni
Architetti d’Italia #59 – Vittorio Giorgini
Architetti d’Italia #60 – Massimo Cacciari
Architetti d’Italia #61 – Carlo Mollino
Architetti d’Italia #62 – Maurizio Sacripanti
Architetti d’Italia #63 – Ettore Sottsass
Architetti d’Italia #64 – Franco Albini
Architetti d’Italia #65 – Armando Brasini
Architetti d’Italia #66 – Camillo Botticini
Architetti d’Italia #67 – Antonio Citterio
Architetti d’Italia # 68 – Oreste Martelli Castaldi
Architetti d’Italia #69 – Paolo Soleri
Architetti d’Italia #70 – Giovanni Michelucci
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Architetti d’Italia #74 ‒ Ugo e Amedeo Luccichenti
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Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi (Catania 1956). Critico di architettura. Collabora abitualmente con Edilizia e territorio, The Plan, A10. E’ il direttore scientifico della rivista Compasses (www.compasses.ae) e della rivista on line presS/Tletter. E’ presidente dell’ Associazione Italiana di Architettura e Critica…

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