Architetti d’Italia. Ludovico Quaroni, il pragmatico

Luigi Prestinenza Puglisi offre una lettura senza mezzi termini dell’operato architettonico di Ludovico Quaroni, pragmatico ma passatista.

Nel marzo del 1964 lo storico Manfredo Tafuri pubblicò per le Edizioni di Comunità un libro dal titolo Ludovico Quaroni e lo sviluppo dell’architettura moderna in Italia.
Il libro fu molto chiacchierato, se non altro per il fatto che quattro mesi dopo gli valse la vittoria al concorso di assistente ordinario presso la seconda cattedra di Composizione architettonica tenuta da Ludovico Quaroni e con in commissione lo stesso Quaroni, sollevando le ire del povero Pietro Barucci, il quale, molto più bravo come architetto e da lungo tempo assistente di Adalberto Libera ‒ che però era morto l’anno prima ‒, vide sfumare le sue legittime aspettative. “Uscì con folgorante tempismo”, scrisse Barucci, “il librone di Tafuri su Quaroni, che ne rimasse così commosso da nominarlo sul campo assistente di ruolo”.
Tafuri nel corso della sua vita scriverà solo un’altra corposa monografia dedicata a un italiano a lui contemporaneo, quella su Vittorio Gregotti, recentemente scomparso, indice a mio avviso della sua scarsa propensione a saper gustare la buona architettura, anteponendo a questa le avventure più o meno fortunate e/o sciagurate del potere. Ciò tuttavia non può fuorviarci dalla considerazione che Tafuri fosse uno studioso estremamente serio, tanto da non lasciarsi andare a sconsiderate marchette, così come sono dilagate nella pubblicistica degli anni successivi e per colpa di altri personaggi di minore spessore. Con il libro su Quaroni, Tafuri fece probabilmente la sua astuta scommessa accademica, puntando sull’uomo giusto, ma anche affrontando un personaggio particolarmente emblematico: una figura paradigmatica per l’attività professionale e per le aperture culturali dell’architettura italiana già dal 1964, quando aveva da un paio di anni superati i cinquanta. Non dobbiamo dimenticare, inoltre, che proprio l’anno prima, nel luglio 1963, Quaroni era stato chiamato a insegnare, insieme a Bruno Zevi e Luigi Piccinato, nella facoltà di architettura di Roma, acclamato a gran voce dal movimento studentesco, del quale uno dei leader era lo stesso Tafuri, che vedeva lui e i suoi due colleghi come portatori di una possibile svolta, in senso moderno, nell’insegnamento dell’architettura nella Capitale. E neanche sottovalutare che il tema della novità e del rinnovamento, Quaroni lo ha affrontato con grande intelligenza e sottigliezza per tutta la vita, sia pure attraverso una sistematica metodica del dubbio che lo porterà a essere più un distruttore che un costruttore. Una metodica del dubbio, oltretutto, non priva di connotazioni masochiste che ha non poche affinità con quella dello stesso Tafuri.

Borgo La Martella, 1951, Ludovico Quaroni (capogruppo) – Luigi Agati – Federico Gorio – Piero Maria Lugli – Michele Valori, Matera. Photo credits Pierangelo Laterza

Borgo La Martella, 1951, Ludovico Quaroni (capogruppo) – Luigi Agati – Federico Gorio – Piero Maria Lugli – Michele Valori, Matera. Photo credits Pierangelo Laterza

IL PRAGMATISMO

Tafuri questo carattere paradigmatico non mancherà di sottolinearlo, ammettendo che Quaroni non è mai stato un grande architetto, “almeno nel significato tradizionale e idealistico del termine”, ma che egli nella sua opera è stato animato da uno sperimentalismo che ha assunto addirittura un significato morale.
Quaroni, oltre a essere tutto questo, è stato anche un uomo di relazioni e di potere. Ricordo ancora quando arrivava all’InArch di Palazzo Taverna a Roma dove si svolgevano i Lunedì dell’architettura, circondato da assistenti e idealmente separato dal resto della platea da un alone quasi mitico. Noi ragazzi eravamo incuriositi da questo seguito, composto dai migliori sulla piazza ma tra loro molto diversi. Ci sembrava una specie di setta o, oggi diremmo, cerchio magico. Quasi tutti, con il tempo, sono diventati ordinari, presidi, direttori di dipartimento.
Si tratta sicuramente di impressioni esagerate, che però servono a ricordare il fascino di cui godeva questo personaggio nel mondo accademico, non solo romano. Non è un caso, d’altra parte, che Franco Purini e Laura Thermes abbiano chiamato una delle due figlie Ludovica in onore del Maestro. O che Quaroni raramente sia stato attaccato da Bruno Zevi, intendo con la durezza che destinò ad altri, anche quando era chiaro che le loro strade sarebbero state, dopo l’esperienza comune del Sistema Direzionale Orientale di Roma e l’infausta infatuazione per il postmodernismo, non solo diverse ma fortemente antagoniste. E difatti il paradosso di questo sperimentatore è che ha generato un’eredità alla resa dei conti passatista e reazionaria, anche se mai facilmente identificabile in una Scuola intesa in senso stretto (se ha senso parlare dei rossiani, lo ha molto meno parlare dei quaroniani). Lo abbiamo detto: Quaroni ammetteva e coltivava contributi divergenti. Penso per esempio alla stimolante e a me particolarmente cara figura di Antonino Terranova, che è stato uno dei suoi più inquieti allievi.
Quaroni sperimentò, se si escludono alcuni registri stilistici tra i quali l’high tech, le correnti e gli stili architettonici che incontrò lungo il corso della propria esistenza, dal razionalismo fascista alle macrostrutture degli Anni Sessanta e Settanta. Fu, insieme a Mario Ridolfi, capogruppo del quartiere Ina-casa al Tiburtino. Si tratta di un’opera emblematica della poetica del neo-realismo. Il tentativo forse più intelligente di unire architettura moderna e linguaggi regionali e vernacoli, ma anche il segno della sconfitta dell’architettura italiana di fronte alle sfide tecnologiche. Sconfitta di cui Quaroni si accorgerà presto, tanto da soprannominarlo ironicamente il Paese dei Barocchi.
Vi sono poi, sulla stessa linea d’onda, le esperienze per Matera e il villaggio contadino La Martella. Se guardiamo le prospettive della chiesa disegnata da Quaroni per Matera, non possiamo non pensare all’Italia di don Camillo e Peppone magistralmente raccontata da Giovannino Guareschi.

IL CAMBIO DI REGISTRO

Negli Anni Sessanta, Quaroni cambia registro con il progetto per le Barene di San Giuliano. Sono grandi segni a matrice circolare alla scala urbana. Il progresso non è più immaginabile attraverso il vernacolo, serve fare i conti con la contemporaneità. Marcello D’Olivo gli rinfaccerà di aver preso in prestito una propria idea. Ma le idee circolano nell’aria e Quaroni, come mostrerà il resto della sua produzione, non esita a captarle e filtrarle. E non è difficile vedere nelle opere che firma con altri progettisti il debito che ha verso ciascuno di loro.
Nell’ultima parte della propria vita si fa prendere anche dal postmodern.
Il progetto per l’ampliamento dell’opera di Roma (1983) è pasticciato senza ritegno. In uno scritto che lo descrive, un suo allievo, Lucio Valerio Barbera, sottolinea che la proposta affonda le proprie radici nel progetto che aveva realizzato per la piazza imperiale di Roma, redatto con Saverio Muratori e Francesco Fariello, “che utilizzava le proporzioni allungate e l’intercolumnio fitto tipico della fase ellenistico orientale dell’architettura”. L’obiettivo, continua Barbera, è ragionare con il disegno seguendo l’insegnamento di Vincenzo Fasolo a proposito dei monumenti antichi.

Ludovico Quaroni, Chiesa Madre, Gibellina Nuova, photo Valentina Silvestrini

Ludovico Quaroni, Chiesa Madre, Gibellina Nuova, photo Valentina Silvestrini

I LIBRI

Oltre a essere stato un architetto attivo, soprattutto nella proposizione e realizzazione di opere pubbliche (mostrando una particolare bravura nella realizzazione di chiese, per esempio quella della Sacra Famiglia a Genova del 1959 e la Chiesa Madre di Gibellina, con una lunga odissea che va dal 1970 al 2010), Quaroni è stato autore di alcuni libri importanti per il dibattito architettonico e la formazione dei giovani architetti.
Ne ricordiamo due: la Torre di Babele (1967) e Progettare un edificio. Otto lezioni di architettura (1977). Il primo fu pubblicato da Aldo Rossi nella collana Polis da lui diretta e uscì con una sua più che lusinghiera prefazione.
Quando, dieci anni dopo, uscì nelle librerie Progettare un edificio, ricordo che lo divorai, forse perché erano i tempi del bla bla architettonico mentre il libro appariva estremamente ben costruito e, allo stesso tempo, decisamente pragmatico. Vi confesso che l’ho riletto recentemente e con grande delusione. Mi è apparso un testo generico ed evasivo. Ho cercato di capire il perché di un giudizio così diverso: probabilmente i tempi sono cambiati. Un po’ di concretezza, in momenti caratterizzati dall’ideologia, può apparire come un atteggiamento pratico. In tempo di eccessiva de-ideologizzazione come il nostro, il giudizio può capovolgersi, facendoci vedere lo stesso testo come fumoso e inconcludente.
Due aneddoti per concludere. Leggo su Wikipedia che Massimiliano Fuksas nel 1969 si laureò con Ludovico Quaroni. Non faccio fatica a pensare che, da Quaroni, Fuksas abbia appreso il bisogno di pensare l’architettura alla scala urbana e cioè con quella sensibilità per la grande dimensione che costituisce la cifra più felice dell’architetto romano.
Incontrai Quaroni, dieci anni dopo, il giorno della mia laurea, nel dicembre del 1979. Era presidente di commissione. Relatore era Carlo Melograni, correlatore Paolo Meluzzi e il progetto non aveva simpatie postmoderne, anzi era sin troppo orientato verso un certo brutalismo di derivazione olandese: John Habraken in primis. Immaginavo molte critiche. Quaroni non ne fece alcuna e non perché il progetto fosse particolarmente bello, almeno secondo i canoni allora correnti. Neanche avevamo disposto i fogli di lucido sui tavoli che individuò una piccolissima magagna nella distribuzione degli spazi di parcheggio. Era minima e l’avevamo nascosta con molta cura. Dimostrazione, ho sempre pensato, di un colpo d’occhio formidabile.

Luigi Prestinenza Puglisi

LE PUNTATE PRECEDENTI

Architetti d’Italia #1 – Renzo Piano
Architetti d’Italia #2 – Massimiliano Fuksas
Architetti d’Italia #3 – Stefano Boeri
Architetti d’Italia #4 – Marco Casamonti
Architetti d’Italia #5 – Cino Zucchi
Architetti d’Italia#6 – Maria Giuseppina Grasso Cannizzo
Architetti d’Italia#7 – Adolfo Natalini
Architetti d’Italia#8 – Benedetta Tagliabue
Architetti d’Italia#9 – Michele De Lucchi
Architetti d’Italia#10 – Vittorio Gregotti
Architetti d’Italia#11 – Paolo Portoghesi
Architetti d’Italia#12 – Mario Cucinella
Architetti d’Italia #13 ‒ Mario Bellini
Architetti d’Italia #14 ‒ Franco Purini
Architetti d’Italia #15 ‒ Italo Rota
Architetti d’Italia #16 ‒ Franco Zagari
Architetti d’Italia #17 ‒ Guendalina Salimei
Architetti d’Italia #18 ‒ Guido Canali
Architetti d’Italia #19 ‒ Teresa Sapey
Architetti d’Italia #20 ‒ Gianluca Peluffo
Architetti d’Italia #21 ‒ Alessandro Mendini
Architetti d’Italia #22 ‒ Carlo Ratti
Architetti d’Italia #23 ‒ Umberto Riva
Architetti d’Italia #24 ‒ Massimo Pica Ciamarra
Architetti d’Italia #25 ‒ Francesco Venezia
Architetti d’Italia #26 ‒ Dante Benini
Architetti d’Italia #27 ‒ Sergio Bianchi
Architetti d’Italia #28 ‒ Bruno Zevi
Architetti d’Italia #29 ‒ Stefano Pujatti
Architetti d’Italia #30 ‒ Aldo Rossi
Architetti d’Italia #31 ‒ Renato Nicolini
Architetti d’Italia #32 ‒ Luigi Pellegrin
Architetti d’Italia #33 ‒ Studio Nemesi
Architetti d’Italia #34 ‒ Francesco Dal Co
Architetti d’Italia #35 ‒ Marcello Guido
Architetti d’Italia #36 ‒ Manfredo Tafuri
Architetti d’Italia #37 ‒ Aldo Loris Rossi
Architetti d’Italia #38 ‒ Giacomo Leone
Architetti d’Italia #39 ‒ Gae Aulenti
Architetti d’Italia #40 ‒ Andrea Bartoli
Architetti d’Italia#41 ‒ Giancarlo De Carlo
Architetti d’Italia #42 ‒ Leonardo Ricci
Architetti d’Italia #43 ‒ Sergio Musmeci
Architetti d’Italia #44 ‒ Carlo Scarpa
Architetti d’Italia #45 ‒ Alessandro Anselmi
Architetti d’Italia #46 ‒ Orazio La Monaca
Architetti d’Italia #47 ‒ Luigi Moretti
Architetti d’Italia #48 ‒ Ignazio Gardella
Architetti d’Italia #49 ‒ Maurizio Carta
Architetti d’Italia #50 ‒ Gio Ponti
Architetti d’Italia #51 ‒ Vittorio Sgarbi
Architetti d’Italia #52 ‒ Fabrizio Carola
Architetti d’Italia #53 ‒ Edoardo Persico
Architetti d’Italia #54 ‒ Alberto Cecchetto
Architetti d’Italia #55 ‒ Fratelli Castiglioni
Architetti d’Italia #56 ‒ Marcello Piacentini
Architetti d’Italia #57 ‒ Massimo Mariani
Architetti d’Italia #58 – Giuseppe Terragni
Architetti d’Italia #59 – Vittorio Giorgini
Architetti d’Italia #60 – Massimo Cacciari
Architetti d’Italia #61 – Carlo Mollino
Architetti d’Italia #62 – Maurizio Sacripanti
Architetti d’Italia #63 – Ettore Sottsass
Architetti d’Italia #64 – Franco Albini
Architetti d’Italia #65 – Armando Brasini
Architetti d’Italia #66 – Camillo Botticini
Architetti d’Italia #67 – Antonio Citterio
Architetti d’Italia # 68 – Oreste Martelli Castaldi
Architetti d’Italia #69 – Paolo Soleri
Architetti d’Italia #70 – Giovanni Michelucci
Architetti d’Italia #71 – Lucio Passarelli
Architetti d’Italia #72 – Marcello d’Olivo
Architetti d’Italia #73 – Venturino Ventura
Architetti d’Italia #74 ‒ Ugo e Amedeo Luccichenti
Architetti d’Italia #75 – Walter Di Salvo
Architetti d’Italia #76 – Luigi Cosenza
Architetti d’Italia #77 – Lina Bo Bardi
Architetti d’Italia #78 – Adriano Olivetti
Architetti d’Italia #79 – Ernesto Nathan Rogers
Architetti d’Italia #80 – Mario Galvagni

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Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi (Catania 1956). Critico di architettura. Collabora abitualmente con Edilizia e territorio, The Plan, A10. E’ il direttore scientifico della rivista Compasses (www.compasses.ae) e della rivista on line presS/Tletter. E’ presidente dell’ Associazione Italiana di Architettura e Critica…

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