Architetti d’Italia. Oreste Martelli Castaldi, l’autentico

L’appassionato ricordo di Luigi Prestinenza Puglisi dedicato a Oreste Martelli Castaldi, architetto scomparso quindici anni fa e troppo spesso dimenticato dalla Storia.

Questo profilo glielo dovevo, a Oreste Martelli Castaldi, e da tempo. A lui scandalosamente così poco conosciuto; a lui che è stato uno dei più dotati, dei più ricchi di talento, dei più spazialmente generosi architetti del dopoguerra. Perché con il trascorrere degli anni dalla sua scomparsa, avvenuta a settantasette anni, nel 2004, del suo passaggio rimane una traccia flebile, sempre più evanescente. Qualche accenno su internet, ricordato non dagli storici e dai critici, come si meriterebbe, ma dagli annunci immobiliari che sottolineano che fu l’autore di meravigliose case realizzate per una committenza facoltosa, formalmente più ambiziosa di quella attuale.
La mia storia si è intrecciata due volte con la sua. La prima fu quando, giovane architetto, ebbi l’incarico da un autorevole amico il quale mi aveva aiutato a pubblicare il mio primo libro dedicato al tema delle case per la terza età, Giovanni B., di ristrutturargli una casa comprata nel quartiere Prati. Per farmi capire cosa volesse, invitò me e mia moglie a pranzo nella residenza in cui abitava e dalla quale voleva trasferirsi, una villa ubicata in un parco residenziale nella zona nord di Roma. Ricordo che rimasi stupito dalla bellezza della casa, perfettamente integrata nel verde, eppure dotata, come nel caso delle migliori abitazioni wrightiane, di un cuore. Un cuore generato da un vuoto perché era una sorta di patio attorno al quale giravano i principali ambienti. Magnifica. L’unico neo che trovai era l’uso eccessivo di arredi in muratura rivestiti di moquette. Un vezzo degli architetti degli Anni Settanta che garantiva di abbattere i costi dei mobili e impediva ai committenti di collocare all’interno dell’abitazione sedie, tavoli, divani, spesso di dubbio gusto, che avrebbero compromesso l’integrità del disegno complessivo.
Giovanni B. aveva le idee molto chiare per quanto riguardava la divisione della nuova casa a Prati. Io, forse a torto, ho sempre pensato che è il cliente che deve decidere come abitare. Accettai così di mettere da parte le mie proposte e di lavorare alle sue idee. Ne venne un disegno che piacque molto al committente e che fu apprezzato anche dai suoi amici, i quali mi affidarono altri incarichi. Io non riuscivo a farmene una ragione. La casa che avevo progettato era, a mio giudizio, orribile. Come poteva uno che aveva posseduto una villa meravigliosa non accorgersi delle differenze e accontentarsi di una distribuzione spaziale tanto insignificante?
Dimenticai presto quella villa e la casa di Prati. Solo a distanza di anni seppi il nome del progettista di quel capolavoro. Era Oreste Martelli Castaldi.

Courtesy Famiglia Martelli Castaldi

Courtesy Famiglia Martelli Castaldi

LA MONOGRAFIA

Fu nel momento in cui stavo lavorando alla monografia di Gigi Pellegrin. Un giorno ci trovavamo nel suo studio a via dei Lucchesi e Pellegrin mi chiese se fossi disposto a scrivere un’altra monografia per un suo amico. Risposi che avrei prima voluto vedere qualcosa. Gigi mi mostrò alcune immagini dei lavori. Riconobbi subito la villa in cui ero stato invitato a pranzo una decina di anni prima.
Mi sembrò il segno che quel testo lo dovevo scrivere proprio io. Dissi che conoscevo la villa e la giudicavo un capolavoro. Sapevo di rischiare: Gigi, bravissimo ma egocentrico come era, non amava certo che si parlasse troppo bene di qualche altro architetto che non fosse lui stesso. Eppure, non solo incassò, ma gli riservò molte belle parole: uno dei pochi, a suo dire, che in Italia sapeva lavorare sullo spazio, un architetto autentico. E così, dopo qualche giorno, incontrai Oreste Martelli Castaldi, per gli amici Tino. Insieme lavorammo alla monografia, che credo sia l’unica cosa pubblicata in Italia su di lui, se si tralascia qualche articolo, come quelli scritti da Renato Pedio su L’Architettura. Cronache e storia. Per almeno due aspetti la monografia è deludente. Lavorammo su foto che Castaldi aveva già in archivio, non tutte della stessa qualità. Fare nuovi servizi sarebbe costato troppo e, poi, le case avevano oramai diversi lustri di vita. Per quanto tenute, nella maggior parte dei casi, molto bene, inevitabilmente accusavano gli anni; a volte dieci, a volte quindici, a volte venti e più. Il secondo motivo è che, come tutte le buone architetture in cui il tema predominante è lo spazio, quelle di Martelli Castaldi si fotografavano con difficoltà. Giocate tutte sui percorsi, non si prestavano a essere mortificate in singole inquadrature. Era, infine, difficilissimo rendere il rapporto con il luogo, con la luce, con il panorama.  Ci sarebbe voluto un grande fotografo: ma allora ero troppo giovane per convincerne qualcuno a investire in un’opera così meritoria.
Girare per le case di Martelli Castaldi è stato uno dei momenti più importanti della mia attività di critico e anche una bella esperienza umana. Tino era un uomo mite, piacevole, appassionato e la moglie Francesca una donna deliziosa. Trattava ancora le case come se fossero sue, e i committenti lo lasciavano fare, compiaciuti da tanto affetto.
Mi confessò che, per un certo tempo della sua vita, le ville, oltre a disegnarle, le aveva costruite. Era bravissimo a far moltiplicare il budget destinato alla costruzione. “Si parte con 1 ma si arriva a 10. I clienti dimenticano” ‒ mi diceva ‒ “i soldi spesi e per tutta la vita apprezzeranno la bella architettura”. Ma, come impresario, penso che l’attività a lui non rese particolarmente bene. Era talmente innamorato dell’architettura che spesso, per realizzare un progetto come lo sognava lui, ci rimise dei soldi e tanti. “Per essere un costruttore di successo” ‒ mi disse a un certo punto ‒ “non ti devi mai innamorare del tuo lavoro”.

Oreste Martelli Castaldi, Villa Coletta. Courtesy Famiglia Martelli Castaldi

Oreste Martelli Castaldi, Villa Coletta. Courtesy Famiglia Martelli Castaldi

4 ELEMENTI

Se vogliamo entrare all’interno della produzione, elaborata dall’architetto in quasi cinquanta anni di attività ma soprattutto tra gli Anni Settanta e Novanta, credo che dovremmo soffermarci sui quattro principali elementi che la caratterizzano: il rapporto con il luogo; il sistema dei percorsi; la ricerca del comfort psicologico e materiale; l’attenzione ai materiali.
Per Martelli Castaldi è chiaro che la costruzione non è fatta tanto di pietre e mattoni quanto di interazione con il luogo. Se l’architettura, infatti, si limitasse al pieno del costruito, non avrebbe forza né respiro: sarebbe un insieme di volumi scatolari o, meglio, inscatolati e basta.
Percorsi: dicevamo che le case di Castaldi poco si prestano a essere fotografate, essendo innanzitutto sequenze di spazi, spesso orchestrate in assonanza o dissonanza tra di loro con valori tipo: aperto, chiuso, compresso, introverso, semiaperto, aperto. In questo senso la casa è sempre concepita quale unità. Pertanto valutarne, in sé e per sé, i singoli frammenti sarebbe un errore come lo sarebbe limitarsi a osservare gruppi di note in una composizione musicale.
Terzo aspetto: il comfort. Dicevamo del successo tra i committenti. È determinato dalla perseverante ricerca spaziale tesa a garantire agli utenti una vita comoda e piacevole.
Tutte a scala umana, nelle dimensioni, nell’altezza, nel rapporto con la natura, nella scelta dei materiali, non sono mai – come avviene a tanta edilizia contemporanea ‒ riducibili a involucri scultorei retti da leggi formali astratte. È anzi, difficile trovare un architetto che più di Martelli Castaldi sia ostile al formalismo e alle affermazioni di personaggi quali Philip Johnson che dicono che preferirebbero dormire in una scomoda architettura di grande valore estetico piuttosto che all’interno di una abitazione dotata di tutti i comfort.
Credo sia proprio questa ostilità a una visione intellettualistica della forma a caratterizzare in positivo la sua produzione, sempre libera da pregiudizi e da mode. Ma anche a costituirne il limite, soprattutto in tutti quei casi dove assumono peso prioritario le esigenze professionali, e Castaldi deve tagliare corto sulla ricerca linguistica per proporre soluzioni già sperimentate da lui stesso o dai suoi maestri organici, soprattutto Wright, a volte citato quasi letteralmente.
Quarto aspetto: i materiali. Castaldi ama soprattutto il legno, il cotto e le pietre. Per il loro calore. Per la capacità che hanno di invecchiare, garantendo alle architetture di resistere nel tempo, acquistando carattere. Li usa per configurare composizioni astratte, quasi neoplastiche, in casa Coletta, Fiorani e Gimmelli 2. Con maggiore forza espressiva nella casa Previti. Con gusto materico in casa Valdroni, al limite del rustico in casa Damiani. A volte varia registro dall’esterno all’interno: è il caso di casa Mariotti, con una struttura esterna in tufo di grande semplicità, e rivestimenti interni in legno di elaborata raffinatezza.
In tutte queste costruzioni il potere decorativo dei materiali naturali è moltiplicato dai pattern. Le formelle in cotto, per esempio, sono moduli che cadenzano la costruzione, le assi di legno formano linee di forza coerenti con lo spazio che rivestono, le travi in legno scandiscono ritmi.

Oreste Martelli Castaldi, Banca, Via degli Scipioni, Roma. Courtesy Famiglia Martelli Castaldi

Oreste Martelli Castaldi, Banca, Via degli Scipioni, Roma. Courtesy Famiglia Martelli Castaldi

I MATERIALI E LO SPAZIO

Se i materiali naturali sono i suoi preferiti, Castaldi non si ritrae di fronte all’uso di materiali artificiali. Fedele, anche in questo caso, alla lezione di Wright, cerca di utilizzarli secondo la loro natura. Evitando di farli apparire per quello che non sono. Sono numerose le costruzioni eseguite in cemento armato a faccia vista. Tra tutte la più riuscita è casa Dany, con una esecuzione tanto impeccabile da resistere a tutt’oggi.
Mi rendo conto che questi punti sono comuni alla produzione di diversi (anche se non numerosi) architetti. E quindi aggiungiamone un quinto: la magia spaziale. Quella poesia che è così difficile a tradurre in parole.
Ecco, almeno questo ti dovevo, carissimo Tino, grande architetto e spirito gentile. Spero che qualcuno, leggendo questo profilo, dopo essersi indignato per molti insignificanti progettisti oggetto di inspiegabili attenzioni critiche e che non raggiungono metà della tua statura, si incuriosisca e si appassioni alla tua figura, iniziando un periodo di scoperte e di ricerche. La tua opera lo merita. Diavolo, se lo merita.

Luigi Prestinenza Puglisi

LE PUNTATE PRECEDENTI
Architetti d’Italia #1 – Renzo Piano
Architetti d’Italia #2 – Massimiliano Fuksas
Architetti d’Italia #3 – Stefano Boeri
Architetti d’Italia #4 – Marco Casamonti
Architetti d’Italia #5 – Cino Zucchi
Architetti d’Italia#6 – Maria Giuseppina Grasso Cannizzo
Architetti d’Italia#7 – Adolfo Natalini
Architetti d’Italia#8 – Benedetta Tagliabue
Architetti d’Italia#9 – Michele De Lucchi
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Architetti d’Italia #13 ‒ Mario Bellini
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Architetti d’Italia #22 ‒ Carlo Ratti
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Architetti d’Italia #25 ‒ Francesco Venezia
Architetti d’Italia #26 ‒ Dante Benini
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Architetti d’Italia #30 ‒ Aldo Rossi
Architetti d’Italia #31 ‒ Renato Nicolini
Architetti d’Italia #32 ‒ Luigi Pellegrin
Architetti d’Italia #33 ‒ Studio Nemesi
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Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi (Catania 1956). Critico di architettura. Collabora abitualmente con Edilizia e territorio, The Plan, A10. E’ il direttore scientifico della rivista Compasses (www.compasses.ae) e della rivista on line presS/Tletter. E’ presidente dell’ Associazione Italiana di Architettura e Critica…

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