Architetti d’Italia. Fabrizio Carola, l’assennato

Luigi Prestinenza Puglisi ripercorre il lavoro di Fabrizio Carola, architetto non facilmente catalogabile in precise tassonomie.

Ci sono architetti che costituiscono un problema tassonomico. Il problema è questo: li apprezziamo, ma, proprio perché non riusciamo a catalogarli all’interno delle nostre categorie operative (le nostre tassonomie, appunto), li consideriamo eccezioni il cui contributo non va oltre la curiosità. Riconosciamo loro di essere autori di opere intelligenti e a volte geniali, ma irripetibili e quindi li releghiamo a un ruolo marginale. Importanti ma bislacchi.
Il personaggio che più esemplifica questa difficoltà è Antoni Gaudí. Non si può parlare di lui come di un incompreso: milioni di persone vanno a Barcellona per visitarne le opere. Eppure sono rari i testi di storia d’architettura che lo analizzino per il suo ossessivo metodo progettuale e riescano a collocarlo all’interno di una storia comune.
E così passa per eccentrico, mistico e visionario un protagonista che ha dato allo sviluppo dell’architettura contemporanea un contributo non paragonabile a quello di architetti più metodici, anche se formalmente meno dotati, quali, per citare due grandi, Peter Behrens o Hendrik Petrus Berlage, facilissimi, invece, da inserire all’interno delle nostre tassonomie storiche.
Nel Novecento, in Italia, abbiamo un certo numero di inclassificabili, segno che eccezioni poi non lo sono tanto quanto vorremmo credere. Spiccano in tre: Fabrizio Carola, Vittorio Giorgini e Mario Galvagni (tralasciando personaggi forse ancora più complessi quali per esempio Paolo Soleri, Giovanni Michelucci e Leonardo Ricci).
Fabrizio Carola, nato nel 1931 e scomparso all’inizio del 2019, dei tre ha avuto maggiore eco di stampa per aver lavorato in Africa, utilizzato tecnologie povere e sostenibili e per aver vinto nel 1995 l’Aga Kahn Award, il premio Nobel per chi costruisce nei Paesi islamici.
È interessante notare che, alla data in cui scrivo (gennaio 2019), non risultano su Wikipedia notizie in italiano, essendo il suo unico profilo nella versione francese.

Fabrizio Carola, Polo scolastico, scuola materna, biblioteca, auditorium, S Potito Sannitico, Italia, 2015. Credits Studio2111

Fabrizio Carola, Polo scolastico, scuola materna, biblioteca, auditorium, S Potito Sannitico, Italia, 2015. Credits Studio2111

IN AFRICA

Carola interessa poco alle riviste di architettura, che hanno ricambiato la sua avversione per l’edilizia chiacchierata. A me, dirà più volte, l’architettura interessa farla, non parlarne.  Provocando più di una delusione a tutti coloro che credono che per fare buoni edifici occorra appoggiarli su sofisticate teorie della forma. Anche i libri scritti da Carola parlano della vita più che delle costruzioni. Perché è solo recuperando l’esistenza, nelle sue intime motivazioni e nelle sue ragioni, che si può costruire decentemente. Carola la vita l’ha vissuta, respirandola a pieni polmoni. Erede di una delle famiglie più facoltose di Napoli, con avi architetti e ingegneri ma che avevano all’attivo più metri cubi che pagine (la madre ha però scritto un best seller di ricette di cucina), a diciotto anni decide di vendere la Vespa e andare a studiare a Bruxelles, dove si laurea nel 1956, e di rimanere all’estero per scampare al servizio militare. Seguono una laurea all’università di Napoli e, a partire dal 1972, numerosi viaggi in Africa. Ha una vita sentimentale movimentata. A consuntivo: quattro matrimoni e cinque figli. “Mio padre” ‒ dirà in una intervista ‒ “mi rimproverava perché a quaranta anni non mi ero ancora fatto una posizione”. “Io” ‒ aggiungerà ‒ “volevo una vita vera e l’ho avuta”. I lavori in gran parte sono stati eseguiti in Africa, con persone che hanno maggiori libertà concettuale e minori impedimenti normativi. In Italia, per alcune cupole sperimentali di piccole dimensioni in tufo, realizzate oltretutto con i prescritti nulla osta, è stato processato per abusivismo e prosciolto solo per decorrenza dei termini. Mentre le iniziative da lui tentate per scambiare prodotti tra l’Africa e l’Italia sono fallite e l’unico seguito che hanno avuto sono stati alcuni workshop di progettazione: per fare un po’ di sperimentazione, i workshop non si negano a nessuno.

Fabrizio Carola, Ospedale regionale di Kaedi, Mauritania, 1981. Credits Fabrizio Carola

Fabrizio Carola, Ospedale regionale di Kaedi, Mauritania, 1981. Credits Fabrizio Carola

LOGICA E RAZIONALITÀ

Da queste note biografiche, Carola potrebbe sembrare un avventuriero che si muove anche oltre le regole. In realtà è stato un personaggio molto normale, a partire dal modo di comportarsi e dal vestire, e particolarmente assennato. Non c’è progetto da lui eseguito, e ne ha realizzato di molto innovativi, che non risponda puntualmente alle prescrizioni della logica e della razionalità. A dimostrazione che i veri poeti sono solidi architetti e non meno robusti ingegneri. Il metodo è semplice: fare tabula rasa, cercando di dimenticare tutti i preconcetti accumulati con le esperienze precedenti, e dare a ogni problema la risposta più semplice ed economica. Si scopre così, se ci si trova in Africa, che le tecnologie migliori sono quelle che usano la terra cruda o il laterizio ed evitano legno e ferro, materiali costosi da reperire e difficili da utilizzare. Terra cruda e laterizio si trovano, infatti, in abbondanza e possono essere montati senza controindicazioni; abbattere alberi in zone dove ce ne sono pochi è sicuramente un problema e importare ferro e cemento è costoso e disastroso per l’ambiente. Da qui l’uso di cupole e geometrie curvilinee, sperimentate in tutte le loro conformazioni. Sia per rispondere alle esigenze costruttive che aggregative. È folle, infatti, pensare a sequenze di stanze squadrate quando aggregazioni a cluster possono ottimizzare e rendere dinamici gli spazi. Nell’ospedale in Mauritania, la disposizione di pianta permette al personale medico di raggiungere le camere attraverso un corridoio e, nello stesso tempo, a ogni stanza di accedere a uno spazio all’aperto nel quale possono accamparsi i familiari del degente e così assisterlo.
È stato dimostrato ‒ racconta infatti Carola ‒ che l’assistenza dei parenti determina benefici psicologici e migliora, velocizzandolo, il processo di guarigione. Ovviamente, la giustificazione in chiave esclusivamente funzionale dell’opera di Carola regge sino a un certo punto, possiamo anzi pensare che sia una corazza che l’architetto indossi per sfuggire alle critiche di formalismo che possono essere mosse a costruzioni così inconsuete. Le curve, ha ammesso l’architetto, oltre a essere le forme più vicine alla natura e a ricordare la civiltà mediterranea che ha fatto grande uso di archi e volte, soddisfano maggiormente la sensibilità perché sono più morbide e sensuali. Vi è insomma, oltre il rigore del metodo, una serie di motivazioni che lo trascendono. Carola non è mai stato un buon selvaggio, ha studiato con Victor Bourgeois, conosceva e apprezzava l’opera di Frank Lloyd Wright e, ovviamente, di Antoni Gaudí. Nelle sue piante e nei suoi alzati e negli spazi interni non è difficile leggere una cultura artistica sofisticata che si è formata meditando sulle culture dei primitivi e l’architettura senza architetti, a partire da Bernard Rudofsky, a lungo residente in Campania dove realizzò, con Luigi Cosenza, Villa Oro.

Fabrizio Carola, Ospedale regionale di Kaedi, Mauritania, 1981. Credits Fabrizio Carola

Fabrizio Carola, Ospedale regionale di Kaedi, Mauritania, 1981. Credits Fabrizio Carola

INSEGNARE L’ARCHITETTURA

Se l’architettura migliore è senza architetti, il compito dell’architetto è insegnarla, per dare a tutti la possibilità di praticarla. Carola riprende da Hassan Fathy, che lo aveva a sua volta appreso dalla cultura nubiana, l’uso del compasso ligneo. Un utensile molto semplice che aiuta il più sprovveduto dei muratori a realizzare archi e volte senza commettere errori. L’importante non è la bellezza, ma fare cose giuste. Nello spirito del posto, che non è quella insulsa stupidaggine del genius loci, una supercazzola che non si sa bene cosa sia, ma il luogo nella sua fisica evidenza, umanizzato dalla cultura dell’abitare dei residenti.
Vi è poi l’attività didattica in Italia. Serve a insegnare agli architetti che è profondamente sbagliato progettare senza tener conto delle condizioni locali. Sono i materiali e le culture che richiedono tecniche e forme particolari. Non esistono ricette universali. Tra le attività italiane vi è un villaggio a San Polito Sannitico, in provincia di Caserta, da realizzarsi con il contributo di studenti, architetti e gente comune per vivere il cantiere. Esperienza che, meglio di tanti libri, ci racconta qualcosa della teoria dell’architettura che serve a costruire una città migliore. Carola prova a tratteggiarla: un luogo dove si lavora per 400 ore l’anno per la collettività che, in cambio, restituisce il necessario per mangiare e vestire e trascorrere le 5000 ore libere dedicandole al piacere, alla fantasia e alla creatività. Il lavoro non è, come avrebbe voluto Marx, la realizzazione dell’uomo, ma una delle pericolose ossessioni della società occidentale.

‒ Luigi Prestinenza Puglisi

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Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi (Catania 1956). Critico di architettura. Collabora abitualmente con Edilizia e territorio, The Plan, A10. E’ il direttore scientifico della rivista Compasses (www.compasses.ae) e della rivista on line presS/Tletter. E’ presidente dell’ Associazione Italiana di Architettura e Critica…

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