Architetti d’Italia. Giuseppe Pagano, il fascista morto a Mauthausen

Dopo una iniziale adesione al fascismo, nel solco però di una visione moderata, Giuseppe Pagano rivede le proprie posizioni – anche sul fronte architettonico – e muore a Mauthausen tredici giorni prima della liberazione del campo.

Sin da ragazzo, Giuseppe Pogatschnig mostra di avere tempra di eroe. Nato nel 1896 a Parenzo, in Istria, partecipa da volontario alla Prima Guerra Mondiale. Irredentista, si arruola dalla parte italiana. Cambia nome: d’ora in poi sarà Giuseppe Pagano. Combatte valorosamente ed è ferito più volte. Nel luglio del 1917 è fatto prigioniero dagli austriaci che lo detengono a Lubiana e poi a Theresienstadt. Nel giugno del 1918 evade, è catturato e riportato in prigione. Nell’ottobre evade di nuovo per raggiungere le file italiane. Il suo comportamento rocambolesco suscita sospetto da parte italiana, tanto che è processato per diserzione. Ne uscirà assolto con formula piena. Il fatto non sussiste e il giovane si è comportato da valoroso. Alla fine del conflitto, con tre croci di guerra al valor militare, fa ritorno al paese natale dove fonda il Fascio di Parenzo. Partecipa all’impresa di Fiume. La sua fede è per Benito Mussolini, che vede come il condottiero in grado di ridare grandezza e giustizia all’Italia. Una fede che lo accompagnerà, senza esitazioni, lungo gli anni successivi, sino alla terribile disillusione del secondo conflitto mondiale. A differenza di altri, che fascisti lo sono stati per conformismo, per codardia e per interesse, Pagano lo è per scelta convinta. E lo sarà anche da architetto, nel momento in cui otterrà alla regia Scuola di Ingegneria di Torino la laurea con il massimo dei voti, in quattro anni, invece che nei cinque previsti dal corso degli studi. Oltre a essere coraggioso, disegna bene, riesce nella progettazione, ha un occhio particolarmente dotato per fissare le inquadrature fotografiche, scrive con facilità ed è un energico polemista. Doti che, unite con la cordialità e generosità umana, lo rendono una figura di primo piano, un leader. A Torino fa amicizia con Edoardo Persico, che più tardi sarà il suo principale collaboratore nell’avventura di Casabella, la rivista di cui fu direttore e che rappresenterà una delle voci più sincere, colte ed eleganti dell’architettura moderna in Italia. Frequenta Lionello Venturi, il grande storico dell’arte, la cui visione della modernità è antitetica a quella retorica del regime e uno dei dodici su oltre mille che avranno il coraggio di rifiutare il giuramento al fascismo. Coinvolge il giovane Gino Levi-Montalcini con il quale realizzeranno numerosi progetti.

PAGANO OLTRE LE CONVENZIONI

Già da queste relazioni, con un cattolico problematico ed europeista (Persico), con un intellettuale antifascista (Venturi) e con un architetto razionalista di famiglia ebrea (Levi-Montalcini) si capisce quanto Pagano fosse oltre le convenzioni e il perbenismo del tempo. Anche se le leggi razziali arriveranno più tardi, nel 1938, e quelli erano ancora gli anni in cui Mussolini dichiarava che la questione razziale non lo interessava (forse perché subiva l’influsso di Margherita Sarfatti, anche lei di famiglia ebrea), Pagano rappresentava una figura dalle frequentazioni inconsuete e atipiche. Non mancheranno attacchi di loschi figuri quali Giuseppe Pensabene e Guido Sommi Picenardi, che vedranno l’architettura razionalista come un prodotto della degenerata cultura ebraica mentre l’architetto Alberto Sartoris, che aveva per Pagano un odio viscerale, arriverà a chiedere informazioni se fosse ebreo, forse per incastrarlo e denunciarlo. Pagano ha una visione sociale del fascismo, ci crede fermamente e può permettersi di criticarlo per il suo passato di combattente e di eroe, nonché, negli anni seguenti, per la sua posizione di prestigio nella scuola di Mistica Fascista. Lo vede come il movimento che, dopo i guasti provocati dalla democrazia liberale, avrebbe abolito la burocrazia ed esaltato le migliori energie del Paese, generando giustizia e benessere economico. Si troverà quindi in sintonia con quegli intellettuali, quali per esempio Giuseppe Bottai, che cercheranno di conciliare il regime autoritario con l’apertura alle scienze, alle arti, alla tecnologia. E, allo stesso tempo, con quei personaggi non favorevoli al regime, se non contrari, che però mostravano ideali sociali non dissimili. Tra questi vi è il finanziere e mecenate biellese Riccardo Gualino che gli diede l’incarico di costruire l’edificio torinese che avrebbe ospitato gli uffici delle proprie attività imprenditoriali. L’edificio, firmato in collaborazione con Levi-Montalcini, fu realizzato tra il 1928 e il 1930 e rappresenta, con il Novocomum di Terragni, una delle prime opere dell’architettura moderna italiana. Un monumento all’etica di una produzione industriale solida e laboriosa contraria agli sprechi e all’irrazionale. Sede che, però, fu goduta dall’industriale solo fino al 1931 quando, per essere inviso al regime, venne arrestato, costretto al confino e le sue aziende sequestrate e messe all’asta.

Giuseppe Pagano, Struttura a torre Litoceramica della Piccinelli ceramiche Soc. An., Fiera Campionaria di Milano, 1938. Courtesy Fondazione Fiera Milano Archivio Storico

Giuseppe Pagano, Struttura a torre Litoceramica della Piccinelli ceramiche Soc. An., Fiera Campionaria di Milano, 1938. Courtesy Fondazione Fiera Milano Archivio Storico

IL RAZIONALISMO DI GIUSEPPE PAGANO

La buona architettura per Pagano non può che essere semplice, essenziale, parsimoniosa, contraria quindi a quella sfigurata da incomprensibili giochi decorativi o da archi e colonne, resi oramai inutili dal cemento armato e dalle nuove tecniche costruttive. Da qui il funzionalismo, o meglio il razionalismo che lo porterà tra i primi ad aderire al MIAR, il Movimento Italiano per l’Architettura Razionale. Pagano, Adalberto Libera, Gaetano Minnucci e Gino Pollini organizzeranno, con Pier Maria Bardi, la seconda Esposizione Italiana di Architettura Razionale. La sede è la galleria romana di via Veneto 7 dello stesso Bardi, anch’egli fascista della prima ora. Bardi, che è un abile polemista (più tardi Persico lo definirà un provocatore), si dà da fare per costruire lo scandalo che scuoterà il mondo architettonico dell’epoca. Prepara un Tavolo degli orrori, un collage con pezzi di fotografie di giornali e di riviste che ritraggono le peggiori opere dell’accademia, non risparmiando personaggi di primo piano quali Armando Brasini e lo stesso Marcello Piacentini. E consegna a Benito Mussolini, proprio durante l’inaugurazione della mostra, un Rapporto sull’architettura in cui lo invita a prendere partito per i giovani. È il 30 marzo del 1931. Mussolini, che ancora ha una visione movimentista del fascismo (visione che a distanza di qualche anno sarà sostituita da una più classicista, tronfia e non priva di velleità imperiali), reagisce positivamente. Loda l’iniziativa, sottolineando che il fascismo deve aspirare a un’architettura nuova. Sembra una vittoria. Ma il sindacato fascista degli architetti, presieduto da Alberto Calza Bini, passa all’offensiva e chiede e ottiene lo scioglimento del MIAR. Calza Bini e gli accademici più avveduti intuiscono però che devono in qualche modo adeguarsi ai segni dei tempi. Lo capisce sicuramente Piacentini che, proprio in quegli anni, mostra una maggiore apertura all’architettura moderna: sia cambiando il proprio modo di progettare, orientandolo a una progressiva semplificazione formale, sia aiutando i progettisti più giovani a emergere nei concorsi nazionali. Saranno gli anni della vittoria del progetto di Giovanni Michelucci e il Gruppo Toscano al concorso per la stazione di Santa Maria Novella del 1932 e della vittoria del gruppo formato da Luigi Piccinato, Gino Cancellotti, Eugenio Montuori, Alfredo Scalpelli per il piano regolatore di Sabaudia del 1933.

GIUSEPPE PAGANO A CAPO DELLA RIVISTA CASABELLA

Nel 1931 Pagano si trasferisce a Milano e dal 1933 è direttore della rivista La Casa Bella che cambierà il nome in Casabella. Grazie anche al crescente prestigio, diventa il principale interlocutore di Piacentini, il quale, astutissimo, capisce che lo deve coinvolgere nella costruzione della città universitaria di Roma. A Pagano, infatti, è assegnato l’Istituto di Fisica. L’accordo sembra funzionare. L’Istituto si inserisce bene nell’impianto monumentale della città universitaria immaginata dall’architetto romano senza rinunciare alla raffinata sobrietà tipica del progettista istriano. Lo stesso Pagano sembra credere alla formula, tanto che sulla stessa Casabella loda Piacentini riconoscendo che in certe circostanze (l’articolo cita la Chiesa del Cristo Re a Prati e il Rettorato alla città universitaria) il monumentale funziona. Disinteressato e generoso, è da escludere tassativamente che Pagano parli così per piaggeria o per interesse. Piuttosto gli sembra di intravvedere per questa strada un buon compromesso tra diverse anime del fascismo. Una strada più praticabile di quella, a suo parere, eccessivamente formalista che in quegli stessi anni stanno tentando il gruppo di architetti che si sentono più vicini a Giuseppe Terragni e si riconoscono nella rivista Quadrante, fondata nel 1933 e diretta da Pietro Maria Bardi e Massimo Bontempelli. D’altra parte che Pagano sia un uomo tutto d’un pezzo, oltre alla sua storia precedente, lo dimostrano gli eventi successivi con numerosi episodi dai quali emerge l’uomo probo e generoso. Per esempio, pur avendo partecipato al concorso per la Stazione di Firenze, Pagano si dà da fare in tutti i modi per aiutare Michelucci e soci nella realizzazione dell’opera. Non esita a pubblicare e a parlar bene delle realizzazioni degli avversari, cercando di separare l’aspetto umano da quello culturale: arriverà nel 1942 a recensire positivamente il libro Gli elementi dell’architettura funzionale dello stesso Alberto Sartoris.
La delusione con Piacentini non tarda a venire. Ne è l’occasione il piano per l’E42 sul quale i due lavorano gomito a gomito con Luigi Piccinato, Ettore Rossi e Luigi Vietti, Il gruppo produce un progetto moderno. Ma non piace a Mussolini che è adesso preso da sogni imperiali e vorrebbe, come gli suggerisce il reazionario Ugo Ojetti, archi e colonne. Piacentini, realista e flessibile come un cortigiano, si dà da fare per cambiarlo, incurante delle proteste. A Pagano non resta che ammettere il fallimento: “Il vero classicismo di Piacentini è quello che egli identifica nei ‘grandi spazi’ e nei ‘grandi colonnati’. […] Crede infatti di risolvere lo spirito della moderna architettura italiana in senso nazionale e autarchico, consigliando un ‘ritorno all’essenziale del classicismo’. Ma cos’è, secondo lui, l’essenziale del classicismo? Chiarezza e onestà logica? No. Egli vi legge soltanto insegnamenti formali”. Con l’E42 cessa il grande sogno, l’idea di un nobile compromesso.

Giuseppe Pagano & Giangiacomo Prevadal, Sedia per l'Università Bocconi, 1942. Triennale Design Museum, Milano. Collezione Alessandro Pedretti

Giuseppe Pagano & Giangiacomo Prevadal, Sedia per l’Università Bocconi, 1942. Triennale Design Museum, Milano. Collezione Alessandro Pedretti

LA CRITICA AL REGIME E LA PRIGIONIA

Tra il 1937 e il 1941 Pagano realizza a Milano l’edificio per l’università Bocconi. È la sua opera più riuscita nella quale la ricerca del buon funzionamento si coniuga con una raffinata organizzazione plastica dei volumi attenta ai rapporti geometrici e armonici tra le parti.
Gli eventi precipitano. L’Italia entra in guerra. Pagano è sempre più critico nei confronti del regime. Fedele alla sua cocciuta idea che si può avere diritto di parola solo se si ha un comportamento etico adeguato, se si paga di persona, decide di andare al fronte e parte volontario. La guerra gli mostra, esasperate, tutte le contraddizioni del regime. Nel 1942 dà le dimissioni dal partito. Nel giugno del 1943 a Cuneo entra in contatto con il movimento antifascista. Nel novembre è arrestato e rinchiuso nel carcere di Brescia dal quale riesce a evadere. Ritorna clandestino a Milano. È tradito e arrestato nuovamente. Progetta un’altra evasione che fallisce. Nel 1944 è trasferito a Bolzano e dopo otto giorni deportato, insieme all’amico e collaboratore di Casabella, Raffaello Giolli, al campo di concentramento di Mauthausen e, dopo, a Melk. Subisce le più pesanti torture e privazioni. Sempre a testa alta, mostrando un atteggiamento nobile e fiero. Dando forza ai propri compagni di prigionia, evitando di lamentarsi, lavorando ancora di più di quello che viene richiesto per dare ai nazisti la sensazione che non avrebbero mai potuto piegare la sua non negoziabile dignità. A seguito dell’avanzata russa, Pagano insieme ad altri è trasferito di nuovo da Melk a Mauthausen. Le condizioni di salute sono disperate. Muore il 22 aprile del 1945, tredici giorni prima della liberazione del campo.
Per tutto il tempo della prigionia, Pagano si è fatto forte pensando a un habitat migliore, immaginando case razionali e prefabbricate, ideando spazi per una nuova società. Mai in nessun progettista è stato tanto intenso il nesso tra razionalità e moralità, tra una visione generosa e austera del mondo e la felicità delle forme architettoniche.
Nel 1946, a guerra conclusa, i nuovi direttori di Casabella, Franco Albini e Giancarlo Palanti, dedicheranno a Pagano un numero triplo della rivista, il 195-198, che costituisce uno degli omaggi più belli che si potesse tributare a un generoso compagno, amico e maestro. Vi consiglio di leggerlo. Il fascicolo è stato ripubblicato in tempi recenti come allegato del numero del febbraio 2008 di Casabella.

Luigi Prestinenza Puglisi

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Architetti d’Italia #1 – Renzo Piano
Architetti d’Italia #2 – Massimiliano Fuksas
Architetti d’Italia #3 – Stefano Boeri
Architetti d’Italia #4 – Marco Casamonti
Architetti d’Italia #5 – Cino Zucchi
Architetti d’Italia#6 – Maria Giuseppina Grasso Cannizzo
Architetti d’Italia#7 – Adolfo Natalini
Architetti d’Italia#8 – Benedetta Tagliabue
Architetti d’Italia#9 – Michele De Lucchi
Architetti d’Italia#10 – Vittorio Gregotti
Architetti d’Italia#11 – Paolo Portoghesi
Architetti d’Italia#12 – Mario Cucinella
Architetti d’Italia #13 ‒ Mario Bellini
Architetti d’Italia #14 ‒ Franco Purini
Architetti d’Italia #15 ‒ Italo Rota
Architetti d’Italia #16 ‒ Franco Zagari
Architetti d’Italia #17 ‒ Guendalina Salimei
Architetti d’Italia #18 ‒ Guido Canali
Architetti d’Italia #19 ‒ Teresa Sapey
Architetti d’Italia #20 ‒ Gianluca Peluffo
Architetti d’Italia #21 ‒ Alessandro Mendini
Architetti d’Italia #22 ‒ Carlo Ratti
Architetti d’Italia #23 ‒ Umberto Riva
Architetti d’Italia #24 ‒ Massimo Pica Ciamarra
Architetti d’Italia #25 ‒ Francesco Venezia
Architetti d’Italia #26 ‒ Dante Benini
Architetti d’Italia #27 ‒ Sergio Bianchi
Architetti d’Italia #28 ‒ Bruno Zevi
Architetti d’Italia #29 ‒ Stefano Pujatti
Architetti d’Italia #30 ‒ Aldo Rossi
Architetti d’Italia #31 ‒ Renato Nicolini
Architetti d’Italia #32 ‒ Luigi Pellegrin
Architetti d’Italia #33 ‒ Studio Nemesi
Architetti d’Italia #34 ‒ Francesco Dal Co
Architetti d’Italia #35 ‒ Marcello Guido
Architetti d’Italia #36 ‒ Manfredo Tafuri
Architetti d’Italia #37 ‒ Aldo Loris Rossi
Architetti d’Italia #38 ‒ Giacomo Leone
Architetti d’Italia #39 ‒ Gae Aulenti
Architetti d’Italia #40 ‒ Andrea Bartoli
Architetti d’Italia#41 ‒ Giancarlo De Carlo
Architetti d’Italia #42 ‒ Leonardo Ricci
Architetti d’Italia #43 ‒ Sergio Musmeci
Architetti d’Italia #44 ‒ Carlo Scarpa
Architetti d’Italia #45 ‒ Alessandro Anselmi
Architetti d’Italia #46 ‒ Orazio La Monaca
Architetti d’Italia #47 ‒ Luigi Moretti
Architetti d’Italia #48 ‒ Ignazio Gardella
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Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi (Catania 1956). Critico di architettura. Collabora abitualmente con Edilizia e territorio, The Plan, A10. E’ il direttore scientifico della rivista Compasses (www.compasses.ae) e della rivista on line presS/Tletter. E’ presidente dell’ Associazione Italiana di Architettura e Critica…

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