Architetti d’Italia. Gianfranco Franchini, il misterioso

Identikit di Gianfranco Franchini, l’architetto che, insieme a Piano e Rogers, progettò il Centre Pompidou, rimanendo però sempre nell’ombra.

Chi era Gianfranco Franchini, detto Gianni? Ecco una domanda che mi accompagna da diverso tempo. Probabilmente perché tra i tanti architetti dimenticati è quello che avrebbe dovuto esserlo di meno, avendo realizzato uno degli edifici più importanti del dopoguerra: il Centro Pompidou a Parigi. Un’opera che ha prima suscitato scandalo e che oggi è tra le più visitate e apprezzate: conosciuta quasi quanto la Torre Eiffel. Franchini nell’impresa non era da solo. Il concorso internazionale di progettazione per il nuovo edificio nel plateau Beaubourg nel 1971 lo avevano vinto in tre. Tutti scandalosamente giovani: Renzo Piano che aveva 34 anni, Richard Rogers che ne aveva 38 e lui, Gianni, trentacinquenne. Ci sono, poi, altri giovani e tra questi gli ingegneri della Arup, tra i quali Edmund Happold e il geniale Peter Rice, al quale probabilmente si deve l’ideazione della struttura con mensole che sorreggono le scale mobili utilizzandone il peso per rendere con la loro contro-spinta più sottili le travi principali. E nel team vi è la moglie di Rogers, Susan Jane Brumwell, detta Su, dalla quale Richard divorzia proprio in quegli anni, ma che partecipa attivamente almeno alle prime fasi, probabilmente in quanto socia della Richard+Su Rogers, come si vede dalle foto in cui il progetto viene reso pubblico.

LA STORIA DI GIANFRANCO FRANCHINI

Gianni, come ricorda Renzo Piano in una delle rarissime occasioni in cui parla del collega, “è stato l’amico di una vita”. I due, entrambi genovesi, dividono l’appartamento quando studiano Architettura al Politecnico di Milano. Franchini è un giovane brillante e capace tanto da essere adocchiato da Marco Zanuso che negli anni 1970 e 1971 lo prende come assistente. Inoltre lavora a Genova dove svolge attività professionale, con particolare riguardo ‒ come ricorderà il figlio Riccardo ‒ alla programmazione, alla progettazione e alla direzione lavori. È probabilmente Renzo Piano che spinge Franchini a partecipare: si conoscono, si stimano e la concretezza di Franchini può essere un asset vincente per il concorso, al quale partecipano 681 progetti. E che vede in commissione giudicatrice personaggi del calibro di Jean Prouvé, Philip Johnson e Oscar Niemeyer.
Da questo istante in poi la figura di Franchini sfuma progressivamente. Wikipedia suggerisce addirittura che diede forfait, sottolineando che “… alla fine, al progetto lavorarono solo Rogers e Piano”. Un pensiero diffuso, tanto che la gran parte dei testi di storia dell’architettura, quando si parla del Centro Pompidou, cita solo Rogers e Piano, a volte disquisendo su a chi dei due si debba attribuire maggiormente la paternità dell’opera: al tubismo o, direbbe Reyner Banhan, al bowellism dell’inglese oppure al senso dell’ordine e dell’organizzazione spaziale dell’italiano. Francesco Dal Co, che recentemente ha dedicato una corposa monografia all’edificio, cita Franchini solo di sfuggita e a proposito della sua partecipazione al concorso con gli altri due soci, diventati nel tempo più importanti.

Centre Georges Pompidou, il team durante la posa della prima trave, 1974. Photo Bernard Vincent © Fondazione Renzo Piano © Rogers Stirk Harbour + Partners

Centre Georges Pompidou, il team durante la posa della prima trave, 1974. Photo Bernard Vincent © Fondazione Renzo Piano © Rogers Stirk Harbour + Partners

GIANFRANCO FRANCHINI E IL POMPIDOU

Le cose sembrano essere andate diversamente. Nella nota biografica dedicata al padre, Riccardo Franchini afferma che dal 1971 al 1976, cioè gli anni di costruzione del manufatto inaugurato a inizio 1977, Gianfranco, pur mantenendo l’ufficio a Genova, fu “direttore della Piano+Rogers architetti per la progettazione e la realizzazione del Centre Pompidou, con ruoli di progettazione generale, pianificazione delle attività e design degli interni e degli arredi”. Un ruolo, quindi, di primo piano che, a mio avviso, lo rende, a pari merito degli altri due, titolare della paternità dell’opera e non solo della sua ideazione concettuale in fase di progetto di concorso.
Perché Franchini, che aveva insieme ai suoi soci vinto la lotteria, scomparve dalle cronache? Una parte della storia me la raccontò lui stesso nel 2005, quando fui invitato a Supercrit#3, un incontro a Londra in cui si parlava del Centro Pompidou in presenza dei progettisti. Durante l’evento, fu proiettata una presentazione in Power Point che avevo preparato per una lecture del giorno precedente. Il tema della presentazione verteva sulla domanda: chi era Gianfranco Franchini? E ne parlavo come di un mistero. Come del principale mistero di quella costruzione. Piano non partecipò all’incontro, era presente Rogers. Non immaginavo minimamente che Franchini potesse esserci in carne e ossa.
Dopo l’evento, in un pub, parlammo a lungo. Mi raccontò che da studente divideva a Milano l’appartamento con Piano e che, dopo il concorso vinto, a un certo punto aveva preferito lasciar costituire a Piano e Rogers la società e da loro farsi assumere. Da persona giudiziosa e assennata, aveva avuto paura di fare un passo più lungo della propria gamba. Le polemiche sul Centro, sicuramente azzardato rispetto ai tempi, erano, d’altronde furibonde con articoli a piena pagina sui giornali contro l’astronave piombata nel cuore della capitale francese, e i progettisti correvano il rischio di essere chiamati a giudizio per rimborsi milionari.
Franchini quindi fece un passo indietro, anche se contribuì alla concreta realizzazione dell’opera. Lo fa notare lo stesso Piano che però sottolinea che Franchini “non si traferì mai a Parigi, ma visse intensamente tutto l’arco del progetto, dal concorso (che facemmo a Londra) fino alla fine dei lavori”.
Che il suo ruolo, sul quale Piano glissa, fosse importante lo testimonia, oltre che la nota biografica redatta dal figlio, anche uno strano articolo pubblicato dopo la sua morte sul Times. Dico “strano” perché il lungo pezzo, non mi sembra (a giudicare dal ritaglio che ho consultato) sia stato firmato. Eccone alcuni frammenti: “Rogers e Piano coinvolsero Franchini per aiutarli a sviluppare il concept iniziale perché credevano che egli avrebbe potuto dare a spazi così futuribili una scala umana che si sarebbe dimostrata vivibile”. E poi: “Il suo input fu cruciale nel creare un edificio che nelle parole della giuria del premio Pritzker rivoluzionò la concezione dei musei trasformando quelli che erano stati monumenti di una élite in luoghi aperti alla gente, di scambio sociale e cultura, integrati negli spazi vitali della città”. Il pezzo, inoltre, sottolinea la buona conoscenza del francese, rispetto ai due colleghi più anglofoni, e il ruolo di moderatore se non di paciere svolto nelle dispute sia in studio che con gli interlocutori esterni.
Mi sono sempre chiesto chi abbia scritto o ispirato l’articolo. Mi piace pensare che fu lo stesso Richard Rogers, come forma di risarcimento post mortem al collega trascurato dai media e dalle sempre più numerose cronache e monografie che hanno parlato dell’opera. D’altronde se Franchini non collaborò con Piano ad altri progetti, almeno per quanto ne sono a conoscenza, nel 1990 collaborò ‒ segno che tra i due vi fu un legame che non si spezzò con il tempo ‒ con la Richard Rogers Partnership per il concorso per il nuovo quartiere Sextius Mirabeau a Aix-en-Provence, per la riconversione di un’area industriale dismessa a Mestre e per un complesso alberghiero a Seattle. Può però darsi semplicemente che l’articolo fosse stato ispirato da qualsiasi altra persona che conobbe e apprezzò la squisita dimensione umana di Franchini e a cui non andava giù il silenzio sulla sua partecipazione a un’opera della quale venivano dati i meriti soprattutto ai due architetti diventati con il tempo più famosi.

Centre Georges Pompidou, l'edificio in costruzione, 1974. Photo Bernard Vincent © Fondazione Renzo Piano © Rogers Stirk Harbour + Partners

Centre Georges Pompidou, l’edificio in costruzione, 1974. Photo Bernard Vincent © Fondazione Renzo Piano © Rogers Stirk Harbour + Partners

GLI ALTRI PROGETTI DI FRANCHINI

Cosa ci ha lasciato, oltre al Centro Pompidou, Gianfranco Franchini? Pochi progetti e realizzazioni, tra le quali alcune biblioteche a Genova, sicuramente non rilevanti per numero e grandezza se, appunto, paragonate con la sterminata produzione di Piano e Rogers.
Al di là del loro valore, ci raccontano di come, anche nella professione di architetto, non basta essere pescati dalla lotteria e fare il proprio lavoro. Per vincere occorre, come diceva Steve Jobs, sapersi confrontare con il precetto “stay hungry, stay foolish”. Portare all’incasso il biglietto estratto e saper gestire mediaticamente la vincita, diventando protagonisti della narrazione, evitando di farsi relegare in secondo piano. E, poi, tante altre cose. Certo è che, di tutti i dimenticati dell’architettura italiana, Franchini è quello che, a mio avviso, suscita più simpatia per essersi fatto sfuggire con grande signorilità e garbo un treno particolarmente importante che forse nessun collega, più famelico e più folle, si sarebbe mai lasciato scappare.

Luigi Prestinenza Puglisi

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LE PUNTATE PRECEDENTI

Architetti d’Italia #1 – Renzo Piano
Architetti d’Italia #2 – Massimiliano Fuksas
Architetti d’Italia #3 – Stefano Boeri
Architetti d’Italia #4 – Marco Casamonti
Architetti d’Italia #5 – Cino Zucchi
Architetti d’Italia#6 – Maria Giuseppina Grasso Cannizzo
Architetti d’Italia#7 – Adolfo Natalini
Architetti d’Italia#8 – Benedetta Tagliabue
Architetti d’Italia#9 – Michele De Lucchi
Architetti d’Italia#10 – Vittorio Gregotti
Architetti d’Italia#11 – Paolo Portoghesi
Architetti d’Italia#12 – Mario Cucinella
Architetti d’Italia #13 ‒ Mario Bellini
Architetti d’Italia #14 ‒ Franco Purini
Architetti d’Italia #15 ‒ Italo Rota
Architetti d’Italia #16 ‒ Franco Zagari
Architetti d’Italia #17 ‒ Guendalina Salimei
Architetti d’Italia #18 ‒ Guido Canali
Architetti d’Italia #19 ‒ Teresa Sapey
Architetti d’Italia #20 ‒ Gianluca Peluffo
Architetti d’Italia #21 ‒ Alessandro Mendini
Architetti d’Italia #22 ‒ Carlo Ratti
Architetti d’Italia #23 ‒ Umberto Riva
Architetti d’Italia #24 ‒ Massimo Pica Ciamarra
Architetti d’Italia #25 ‒ Francesco Venezia
Architetti d’Italia #26 ‒ Dante Benini
Architetti d’Italia #27 ‒ Sergio Bianchi
Architetti d’Italia #28 ‒ Bruno Zevi
Architetti d’Italia #29 ‒ Stefano Pujatti
Architetti d’Italia #30 ‒ Aldo Rossi
Architetti d’Italia #31 ‒ Renato Nicolini
Architetti d’Italia #32 ‒ Luigi Pellegrin
Architetti d’Italia #33 ‒ Studio Nemesi
Architetti d’Italia #34 ‒ Francesco Dal Co
Architetti d’Italia #35 ‒ Marcello Guido
Architetti d’Italia #36 ‒ Manfredo Tafuri
Architetti d’Italia #37 ‒ Aldo Loris Rossi
Architetti d’Italia #38 ‒ Giacomo Leone
Architetti d’Italia #39 ‒ Gae Aulenti
Architetti d’Italia #40 ‒ Andrea Bartoli
Architetti d’Italia#41 ‒ Giancarlo De Carlo
Architetti d’Italia #42 ‒ Leonardo Ricci
Architetti d’Italia #43 ‒ Sergio Musmeci
Architetti d’Italia #44 ‒ Carlo Scarpa
Architetti d’Italia #45 ‒ Alessandro Anselmi
Architetti d’Italia #46 ‒ Orazio La Monaca
Architetti d’Italia #47 ‒ Luigi Moretti
Architetti d’Italia #48 ‒ Ignazio Gardella
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Architetti d’Italia #50 ‒ Gio Ponti
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Architetti d’Italia #72 – Marcello d’Olivo
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Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi (Catania 1956). Critico di architettura. Collabora abitualmente con Edilizia e territorio, The Plan, A10. E’ il direttore scientifico della rivista Compasses (www.compasses.ae) e della rivista on line presS/Tletter. E’ presidente dell’ Associazione Italiana di Architettura e Critica…

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