L’arte è soprattutto materiale. Intervista al regista teatrale Damiano Michieletto 

“Stare meno davanti ad un computer e di più davanti ad un foglio bianco”. Questo e altri consigli per il futuro nell’intervista al grande regista teatrale Damiano Michieletto

Nel giro di poco tempo, Damiano Michieletto (Venezia, 1975) è emerso sulla scena internazionale come uno dei rappresentanti più interessanti della giovane generazione di registi italiani. Ha studiato opera e produzione teatrale presso la Scuola d’Arte Drammatica di Milano Paolo Grassi e si è laureato in lettere moderne presso l’Università di Venezia, sua città natale. 
Tante le opere liriche che ha diretto, collaborando con i maggiori palchi italiani e internazionali: dal Teatro alla Scala di Milano alla Royal Opera House di Londra, dal Teatro La Fenice di Venezia alla Staatsoper di Berlino. In programma per il 2024, il Don Quichotte di Massenet, all’Opera di Parigi. 
Oltre all’intensa attività nel teatro lirico, Damiano Michieletto è attivissimo anche nel teatro di prosa: ha infatti all’attivo collaborazioni, tra le altre, con il Piccolo Teatro di Milano e il Teatro Stabile del Veneto. 

La Damnation de Faust. Photo Yasuko Kageyama, Teatro dell'Opera di Roma, 2017-2018
La Damnation de Faust. Photo Yasuko Kageyama, Teatro dell’Opera di Roma, 2017-2018

Intervista a Damiano Michieletto 

Quali sono i tuoi riferimenti ispirazionali nell’arte? 
Cerco di nutrirmi di tante cose, mi piacciono le installazioni che utilizzano la tecnologia ma senza esserne succubi. Amo lo stupore che nasce dalla materia, dalla concretezza. Ho una posizione scettica sull’arte contemporanea: penso che in certi casi sia una forma di nuova religione (visto che in chiesa la gente non ci va più), dove il pubblico si comporta come una massa di fedeli dogmatici. Non mi emoziona chi si affida esclusivamente a dei software per realizzare le proprie creazioni. Spero che il figurativismo torni ad avere un ruolo importante.  

Qual è il progetto che ti rappresenta di più? Puoi raccontarci la sua genesi? 
La damnation de Faust penso sia un lavoro che mi rappresenta dal punto di vista drammaturgico, estetico e attoriale. Uno spettacolo presentato all’Opera di Roma nel 2017. È un’opera senza una vera storia, ma con una musica potente e molti interventi del coro. Ho suddiviso il materiale musicale in una serie di scene a cui ho dato un titolo e in base a questo ho inventato un percorso per il personaggio di Faust, vedendolo come un giovane uomo alle prese con il suo affrancamento e la sua difficile ricerca verso la propria identità. 
È stato uno spettacolo che mi ha dato delle emozioni quando l’ho visto; di solito questo succede raramente per me, perché mi distacco subito dalle cose che realizzo ed è un progetto che utilizzava linguaggi tra loro molto diversi. 

Che importanza ha per te il Genius Loci all’interno del tuo lavoro? 
Ogni teatro ha un suo “spirito”, costituito dalla sua tradizione, dall’umanità delle persone che ci lavorano, dal pubblico che lo anima. Dico sempre che i teatri lirici sono lo specchio di una città. È bello fare questo incontro con il Genius Loci di un teatro; riuscire a comprenderlo ti permette di star bene e di ottenere poi il massimo da quel luogo. 

Passato e futuro secondo Damiano Michieletto 

Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro? Credi che il futuro possa avere un cuore antico? 
Soprattutto in Europa non può che essere così. Noi siamo i discendenti di una civiltà antica che ha radici lunghe e profonde. Nel passato ci sto bene, ma non voglio farmi cullare nostalgicamente da un tempo che ai nostri occhi sembra migliore solo perché perduto.  Penso che ogni epoca vive un cambiamento e una crisi. Credo sia una condizione costante per l’uomo. 

Quali consigli daresti ad un giovane che voglia intraprendere la vostra strada? 
Consiglio di mettersi in gioco e cercare delle opportunità per crescere senza scoraggiarsi di fronte alle porte chiuse. Prima o poi le cose si muovono se capisci che la tua strada è quella. 

In un’epoca definita della post-verità, ha ancora importanza e forza il concetto di sacro? 
Sì, il sacro è il senso del rispetto, il riconoscere l’inviolabilità dell’altro perché entrambi siamo racchiusi in un grande mistero che è quello dell’essere mortali.  

Come immagini il futuro? Sapresti darci tre idee che secondo voi guideranno i prossimi anni? 
Penso che in un mondo digitale dove il gesto creativo sarà sempre più intangibile, chi avrà il coraggio di andare contro questa direzione massificata sarà, come sempre, il portatore di una voce libera, unica e perciò artistica. L’idea principale che suggerisco è di stare meno davanti ad un computer e di più davanti ad un foglio bianco, o in una stanza vuota, per provare a lasciare dei segni che siano il risultato di una vera sfida con se stessi. 

Ludovico Pratesi 

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Ludovico Pratesi

Ludovico Pratesi

Curatore e critico d'arte. Dal 2001 al 2017 è stato Direttore artistico del Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro Direttore della Fondazione Guastalla per l'arte contemporanea. Direttore artistico dell’associazione Giovani Collezionisti. Professore di Didattica dell’arte all’Università IULM di Milano Direttore…

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