Futuro Antico. Intervista a Francesco Vezzoli

I contenuti dedicati al futuro curati per Artribune da Spazio Taverna cede la parola a Francesco Vezzoli, che commenta il domani a partire da un presente incerto

Dal genius loci alla cancel culture passando per un sistema dell’arte che è tornato a essere “rinascimentale”: intervista a tutto tondo a Francesco Vezzoli (Brescia, 1971).

Francesco Vezzoli

Francesco Vezzoli

Quali sono i tuoi riferimenti ispirazionali nell’arte?
Diciamo che non farei dei nomi, nel senso che fare dei nomi è una modalità che non mi viene, non direi mai Picasso, Jeff Koons… Quello che ho scoperto lavorando è che in me c’è un desiderio politico e sociale. Ho scoperto che a questo punto del mio lavoro mi interessa un tipo di arte diverso da quello che si trova nelle fiere, piuttosto mi interessa prendere una macchina, andare a Sciacca, fermare la gente e fargli vedere delle foto di una performance che c’è adesso a The Kitchen e chiedergli cosa ne pensano.
Non saprei fare dei nomi perché per me è sempre una questione di confronto, di dialettica, di studio, una specie di maieutica dove non c’è un seduttore o un sedotto ma semplicemente il desiderio di comprendere meglio se stessi e gli altri, le loro reazioni, le loro opinioni. Esiste una pagina Instagram che si chiama I Dati Sono Belli che, con dei numeri basici, ti racconta informazioni basate su realtà fattuali dei comportamenti delle persone e delle loro scelte. Ecco I Dati sono Belli, oggi, è il mio riferimento artistico di oggi.

Qual è il progetto che ti rappresenta di più? Puoi raccontarci la sua genesi?
A seconda del tipo di vita che facevo, ci sono state delle opere che mi hanno rappresentato di più. Quando vivevo in America, sicuramente Caligola, perché ha riunito tutta questa ipocrisia ed egofollia dell’identità hollywoodiana. Questa follia ovviamente era vista attraverso la mia lente che era la lente di un pastiche ready made: il film di Caligola. Tutto il processo di fare il mio Caligola è stata un’opera d’arte, ad esempio i litigi con l’avvocato di Benicio del Toro che mi urlava al telefono che mi voleva far arrestare perché avevo portato l’opera alla Biennale di Venezia d’arte e lui, conoscendo solamente il festival del cinema di Venezia, non capiva bene dove l’opera fosse installata (a mio avviso ovviamente è più prestigioso essere esposto in un padiglione artistico per 4 mesi piuttosto che fare uno screening cinematografico di 5 minuti).
Per la fase europea direi il progetto 24h MUSEUM, che è stato fatto con la Fondazione Prada e che aveva un impatto sociale molto forte. Un museo che durava 24 ore dentro il Palazzo del Consiglio Economico e Sociale della Comunità Europea all’interno del quale avevamo creato una gabbia con delle sculture e una discoteca in cui Kate Moss suonava… Obrist lo avrebbe definito la discoteca come scultura sociale. Io non so dare tutto questo peso a quello che faccio ma lo faccio e basta.

E per quanto riguarda il presente?
Per la fase che sto vivendo adesso invece sono molto contento della mostra che sto curando in questo momento di Leonor Fini, che nasce da un gesto non egoriferito ma dal desiderio di prendersi la responsabilità di dire che per me vi siete sbagliati per come è stata giudicata questa artista nella storia dell’arte. Se andiamo a guardare tra Francia, Italia e Germania dal 1920 al 1979, le donne che hanno valicato i confini e che sono arrivate anche in America si contano sulle dita di una mano, noi abbiamo Leonor Fini e non si sa perché l’abbiamo cancellata.
Questo progetto adesso mi rappresenta perché trovo sia un momento veramente peculiare per il mondo dell’arte e veramente tragico per il mondo. Parlare di qualcun altro è una forma di discrezione. Non so se oggi sarei in grado di fare una mostra con i miei lavori, mi sembrerebbe che ci vuole un bel coraggio per esprimere qualcosa di ego riferito.

Francesco Vezzoli, Trailer for a Remake of Gore Vidal’s Caligula, 2005, 35mm film transferred to video, color, sound, 5'30'', production Stills. Courtesy of the Artist. Photo Matthias Vriens

Francesco Vezzoli, Trailer for a Remake of Gore Vidal’s Caligula, 2005, 35mm film transferred to video, color, sound, 5’30”, production Stills. Courtesy of the Artist. Photo Matthias Vriens

PASSATO E FUTURO SECONDO FRANCESCO VEZZOLI

Che importanza ha il genius loci all’interno del tuo lavoro?
Aborro l’idea di rinchiudere la visione di un artista solo nel rapporto significativo che ha con la sua terra. Se intendiamo genius loci in questa maniera dispregiativa dobbiamo considerare che se provieni da New York sei un fico pazzesco e se sei di Agrigento sei uno sfigato, questa gerarchia tra New York e Agrigento non penso sia corretta anzi ti dico di più penso che questa gerarchia sia politicamente scorretta, se tutto è uguale, se tutti gli orientamenti sono uguali allora anche tutte le dimensioni geografiche e tutte le latitudini sono uguali. Non possiamo vivere con l’ossessione legittima di recuperare ciò che abbiamo perso della cultura afroamericana e però se uno dipinge ad Agrigento diciamo che non ha gli strumenti. Di base tutte le identità hanno una loro dignità.

Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro? Credi che il futuro possa avere un cuore antico?
Credo che il futuro debba avere un cuore antico, credo infatti che il problema della cancel culture sia un problema esilarante. È giusto mettere in discussione alcune figure storiche, ma il cancellarle tout court è palesemente un pasticcio perché porta le generazioni successive a non capire perché certi errori sono stati commessi. È proprio studiando la storia o leggendo Shakespeare o Pirandello e studiando tutto ciò che è nel passato che possiamo capire il futuro. Il modernismo era stupefacente e geniale perché non conteneva in sé alcun elemento che era già stato sviscerato in precedenza, ma non penso che i modernisti si siano svegliati modernisti, senza sapere niente di niente, si sono svegliati in antitesi al passato, quindi lo contenevano anche loro.

Quali consigli daresti a un giovane che voglia intraprendere la sua strada?
Di essere onesto con se stesso e di essere molto lucido sul sistema che si trova davanti e di capire che ci sono più buoni maestri che cattivi maestri in giro. In realtà la maggior parte delle persone che vogliono insegnare insegnano una visione pura, nobile ed etica. Poi diciamo che oggi il sistema dell’arte è sostenuto da una solida struttura commerciale globale e quindi non si può far finta che questa non esista. Il consiglio è assorbire dai buoni maestri tutta la cultura che ci possono trasmettere, ma anche accarezzare con dolcezza la loro ingenuità.

Francesco Vezzoli, In collaboration with AMO. 24 Hour Museum, 2012. Installation view at Palais d’Iéna, Parigi. Courtesy Prada S.p.A., Milano. Photo Agostino Osio

Francesco Vezzoli, In collaboration with AMO. 24 Hour Museum, 2012. Installation view at Palais d’Iéna, Parigi. Courtesy Prada S.p.A., Milano. Photo Agostino Osio

VEZZOLI, IL SACRO E LA VERITÀ

In un’epoca definita della post verità, ha ancora importanza e forza il concetto di sacro?
Quando lavoravo con Gore Vidal, lui mi raccontava sempre che la figura che disprezzava di più era Truman Capote, ovviamente per me era difficile capire i motivi di un disprezzo così aspro e profondo. Tuttavia Gore diceva sempre che lui odiava Truman perché Truman mentiva: “Se dice 5 parole, 6 sono bugie”. La risposta è molto semplice: la cosa più sacra è la verità e uno deve prendersi la responsabilità di dirla a se stesso e anche agli altri. Non puoi fingere che un operatore culturale sia un intellettuale, non puoi confondere i ruoli. Esistono dei confini oggettivi nel nostro mondo del lavoro, nella geopolitica, nel comportamento delle persone. C’è una verità nella scienza nella medicina, e questa è sacra. Il sacro si ricollega alla verità e dobbiamo difenderla, anche se a volte è diverso da ciò che ci piacerebbe o che potrebbe essere funzionale alla nostra agenda.

Come immagini il futuro? Sapresti darci tre idee che secondo te guideranno i prossimi anni?
È un momento storico tragico, forse il più delicato dal dopoguerra a oggi. Se ti avessi risposto due mesi fa, persino io che ho bisogno del manuale per fare la differenziata ti avrei detto che la sostenibilità ha una valenza molto importante. Poi siamo stati travolti da una violenza messa in scena in maniera ottocentesca e devo confessarti che da lì non ho più capito niente.
Ho sempre pensato che anche qualora nella mia vita avessi dovuto assistere alla messa in scena della crudeltà più abbietta, avrei visto manifestazioni che trascendevano la mia esperienza, cioè avrei visto guerre digitali in cui le nazioni si rubavano i dati vicendevolmente. E invece è nata una guerra come quelle che raccontavano le mie nonne quando mi dicevano che i fratelli erano morti nella campagna di Russia, quindi sinceramente non so bene dirti oggi quali siano i pensieri guida per il futuro, perché mai mi sarei immaginato di assistere nel XXI secolo a cose simili a quelle che racconta Senofonte. Non saprei più ben dire cos’è il futuro e cos’è il passato.
Quindi concluderei parlando del sistema dell’arte che è tornato a essere fondamentalmente rinascimentale: esistono delle corti che non sono più un tabù come nel secondo dopoguerra, ed esistono artisti che si muovono a seconda di dove le corti sono più attive. Le persone si sono finalmente rese conto che a Berlino possono esistere 100 milioni di artisti, ma se non c’è un cretino che gli compra i quadri la citta non emergerà mai e diventerà solo un posto dove la gente va a scopare nei camerini del Berghain e a me sinceramente dei camerini del Berghain non me ne può importare molto. Quindi l’esperienza berlinese è la prova di un malinconico sentimento, tutti hanno mentito a se stessi, sono andati tutti a Berlino e hanno scoperto che lì non c’era l’unica cosa di cui avevano bisogno per vivere: i soldi e i collezionisti, musei con dei trustee visibili al mondo che hanno bisogno di essere ancora più visibili. Tutti si sono raccontati una bugia ma ora devono dirsi la verità: Berlino è molto bella ma non c’è da lavorare. Meglio Milano, dove ci sono imprenditori curiosi e desiderosi di interagire.
L’unico principio del futuro direi che è l’onestà e non fare degli errori di prospettiva, senza lasciarsi travolgere dalle illusioni.

‒ Marco Bassan

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Marco Bassan

Marco Bassan

Curatore d’arte contemporanea, fondatore di Spazio Taverna. Ha curato progetti per istituzioni quali il MAECI, Fondazione CDP, CONAI, i Musei Capitolini, il Museo Nazionale Romano, il Parco Archeologico dell’Appia. Nel 2023 ha consegnato la tesi di dottorato presso Roma Tre…

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