Futuro Antico. Intervista allo scrittore Emanuele Trevi

La rubrica che parla di futuro curata da Spazio Taverna dà la parola allo scrittore Emanuele Trevi, vincitore del premio Strega nel 2021. Risultato? Una riflessione sul mondo attuale, sul suo legame con l’arte e la spiritualità e sul difficile rapporto con il presente

Emanuele Trevi è nato a Roma nel 1964. Collabora con il Corriere della Sera e con il Manifesto. Tra le sue opere: I cani del nulla (Einaudi, 2003), Senza verso. Un’estate a Roma (Laterza, 2004), Il libro della gioia perpetua (Rizzoli, 2010), Qualcosa di scritto (Ponte alle Grazie, 2012), Il popolo di legno (Einaudi, 2015) e Sogni e favole (Ponte alle Grazie, 2019). Con Neri Pozza ha pubblicato Due vite (2020), vincitore della LXXV edizione del Premio Strega nel 2021.

Quali sono i tuoi riferimenti nell’arte?
Per me l’arte, se dovessi definirla, è quello che vado a vedere, e tutte le condizioni di visibilità che si determinano in quel momento particolare e irripetibile. Io cerco tutto quello che non può stare in una riproduzione. Quindi su di me il maggior effetto lo hanno sempre le esperienze più recenti, per esempio mi ha molto colpito questo autunno la mostra di Gnoli alla Fondazione Prada, più recentemente una mostra straordinaria di Guido Reni curata da Francesca Cappelletti alla Galleria Borghese. Queste sono veramente cose che ispirano molto. Per me un punto di riferimento costante è l’opera di Luigi Ontani, sul quale ho scritto molto.

Qual è il progetto che ti rappresenta di più? Puoi raccontarci la sua genesi?
Non saprei proprio che cosa rispondere! Mi coglie alla sprovvista. Io investo molto su quello che sto facendo, insomma sull’immediato futuro. Quindi spero che il libro che sto scrivendo sia quello che mi rappresenta di più, perché desidero sempre mettermi alla prova, sfidarmi.

Che importanza ha per te il genius loci all’interno del tuo lavoro?
Beh, ho letto un interessante saggio polemico del critico Stefano Chiodi molto negativo sul concetto stesso di G.L. Devo dire però che per quanto riguarda me, proprio per il tipo di storie che scrivo, non può non avere importanza. Se sei sensibile ai luoghi e alle loro connessioni con il tempo, il G.L. è una parte del gioco. A me poi la cosa che meno interessa è l’universalità, mi fa piacere avere delle traduzioni in tante lingue ma non è una dimensione che mi attrae.

Emanuele Trevi Due vite, Neri Pozza, Milano 2020

Emanuele Trevi Due vite, Neri Pozza, Milano 2020

PASSATO E FUTURO SECONDO EMANUELE TREVI

Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro? Credi che il futuro possa avere un cuore antico?
Le grandi civiltà sono sempre state quelle che hanno ereditato meglio ciò che proveniva dal loro passato. Può anche essere che l’umanità, nella sua follia, rinunci a ereditare. La cosiddetta cancel culture è solo una delle possibili modalità di questa amputazione. In un periodo così oscuro, anche il minimo gesto di salvaguardia e trasmissione diventa prezioso.

Quali consigli daresti a un giovane che voglia intraprendere la tua strada?
Il consiglio fondamentale è sempre lo stesso: gioca tutte le tue carte sulla tua vocazione, come se non avessi altre possibilità. Non c’è nulla di facile, nulla di gratuito in quello che facciamo. Non si può coltivare un’arte come un hobby. Ti devi distruggere su quello che fai. Kafka diceva che il vero significato dell’espressione “conosci te stesso” è: “distruggiti”.

In un’epoca definita della post verità, ha ancora importanza e forza il concetto di sacro?
È relativamente facile obliterare il passato; del sacro è più difficile fare a meno, il sacro sceglie bene le maschere attraverso cui si manifesta. Il luogo più sacro che ho visto al mondo è l’anello sotterraneo del CERN di Ginevra, dove si studiano gli effetti dell’accelerazione sulle particelle. Mi ha fatto lo stesso effetto delle rovine del santuario di Eleusi o di certe architetture gotiche. Diciamo che il sacro si trova ovunque si apre una porta sull’invisibile.

Come immagini il futuro? Sapresti darci tre idee che secondo te guideranno i prossimi anni?
Di natura sono molto pessimista, perché sono stato giovane in un mondo accogliente, dove si poteva viaggiare ovunque, dove ci si poteva sentire a casa. Il ciclo iniziato nel 2001 mi sembra di quelli terribili nella storia umana. Spero che questo mio sentimento apocalittico sia un abbaglio, una visione parziale. Non saprei definire comunque delle idee-guida, non ci ho mai pensato.

Ludovico Pratesi

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Ludovico Pratesi

Ludovico Pratesi

Curatore e critico d'arte. Dal 2001 al 2017 è stato Direttore artistico del Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro Direttore della Fondazione Guastalla per l'arte contemporanea. Direttore artistico dell’associazione Giovani Collezionisti. Professore di Didattica dell’arte all’Università IULM di Milano Direttore…

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