Futuro Antico. L’ultima intervista all’architetto Piero Sartogo

Dal Futurismo al metaverso, le ultime riflessioni dell’architetto Piero Sartogo, da sempre vicino al mondo dell’arte contemporanea, morto pochi giorni dopo aver rilasciato questa intervista

Piero Sartogo (Roma, 1934-2023), dopo il tirocinio nello studio di Walter Gropius, nel 1971 realizzò a Roma la sede dell’Ordine dei medici. Dal 1981, con Italian Re-Evolution ‒ Il design degli anni ottanta, una esposizione itinerante ospitata in vari musei d’Europa e America, iniziò il percorso professionale con Nathalie Grenon, che li portò a partecipare a vari eventi, fra cui l’Expo 1985 a Tsukuba, l’Expo 1992 a Siviglia, le Colombiadi del 1992, Imaginaire Scientifique al Parc de la Villette di Parigi, Telecom di Ginevra del 1991 e del 1994, Eureka d’Italie a Parigi e Madrid. Tra le sue opere architettoniche più note figurano l’Ambasciata d’Italia a Washington (2001) e la Chiesa del Santo Volto di Gesù a Roma (2006).

INTERVISTA A PIERO SARTOGO

Quali sono i tuoi riferimenti ispirazionali nell’arte?
Il Futurismo è il movimento internazionale che preferisco, e in particolare Giacomo Balla, il mio artista preferito. Perché? Primo perché ha fatto il “funerale” della sua fase precedente, non futurista; secondo perché il suo lavoro è molto sperimentale. Lo ammiro soprattutto per il coraggio che ha avuto nell’abbandonare la sua fase post-impressionista, quindi la lezione di Cézanne e degli impressionisti, che riguardava il secolo precedente. La rappresentazione che fa Balla della velocità è un’invenzione. La velocità è un termine, Balla la trasforma in una pura invenzione. E che dire della Ricostruzione futurista dell’Universo? Con Depero gli artisti hanno immaginato una società totalmente futurista.

Qual è il progetto che ti rappresenta di più? Puoi raccontarci la sua genesi?
Il progetto che più rappresenta lo Studio Sartogo-Grenon è senz’altro l’Ambasciata d’Italia a Washington, negli States. Durante uno dei tanti sopralluoghi ci accorgemmo che, tra l’Ambasciata del Brasile (progettata da Oscar Niemeyer) e la Cancelleria si poteva traguardare un punto elevato del parco, dal quale l’obelisco del Mall appariva in tutta la sua maestosità. Detto questo, sul piano della dislocazione ‒ una volta stabilito il nuovo asse di riferimento, tutto è stato progettato di conseguenza ‒, l’edificio si presenta con la facciata principale parallela alla Massachusetts Avenue, come tutte le altre ambasciate, e di spigolo rispetto alla Whitehaven Street (che porta al Campus degli Hellenic Studies della Harvard University), dove si trovano le residenze di personaggi di spicco come Paul Mellon. Questa è la genesi del progetto: pertanto il volume dell’Ambasciata è disposto in diagonale rispetto alla strada.

Lo avevi immaginato così?
Una volta stabilito il nuovo asse dell’edificio, diventava logico impiantare un taglio all’interno del volume che separa la parte diplomatica e quella militare, connesse da una piazza interna, coperta da uno skyline vetrato, che permette alla luce naturale di invadere l’intero organismo. Un cubo tagliato a metà, come il fiume Potomac taglia il territorio della città di Washington. Allora ci fu un grande problema relativo alla scelta della pietra di tutto l’edificio: noi volevamo il Rosa Asiago, mentre l’impresa americana voleva imporre il Limestone, con il quale sono fatti tutti gli edifici più importanti della città.
Ricordo che per il concorso dell’Ambasciata era stato interpellato il Gotha dell’architettura italiana, composto dai seguenti nomi: Carlo Aymonino, Guido Canella, Vittorio de Feo, Vittorio Gregotti, Aldo Rossi, Renzo Piano, Giancarlo de Carlo, Gae Aulenti, Vico Magistretti e il sottoscritto, che risultò vincitore del concorso.
Nel 1992 iniziò la costruzione, e nel 2000 venne inaugurata e premiata con la medaglia dell’American Institute of Architecture.

Che importanza ha il Genius Loci all’interno del tuo lavoro?
Il Genius Loci è fondamentale nel fare architettura, inteso come “il progetto del vuoto”, che lega l’edificio al luogo dove dev’essere costruito.
Un esempio è la cantina per i Marchesi Frescobaldi (realizzata nel 2011), che hanno un mio schizzo come emblema per le etichette. La terra che abbiamo scavato per le fondamenta è stata riportata sulla copertura del tetto, che riproduce, in piccolo, un “segno” del territorio. Quando si cammina sulla copertura si nota la continuità morfologica tra il paesaggio circostante e la cantina, cioè tra “intorno” e manufatto. Non solo: l’Ammiraglia è una soluzione assolutamente ecologica per i seguenti motivi: a) la terra tolta per le fondazioni ritorna in copertura; b) la barricaia è in cemento armato, come la foresteria, mentre le parti restanti sono in legno lamellare con i gocciolatoi a vista, che trasudano gran parte dell’anno. Il modello per la cantina è stato ripreso da Antinori cinque anni più tardi, per la loro sede al Bargino.

Piero Sartogo

Piero Sartogo

PASSATO E FUTURO SECONDO SARTOGO

Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro?
Sicuramente il passato e il futuro sono connessi: a mio avviso senza passato non può esistere il futuro. La Storia è particolarmente necessaria in Italia, dove esiste una stratificazione unica al mondo.

Quali consigli daresti a un giovane che voglia intraprendere tua strada?
Lascia perdere, è troppo complicato.

In un’epoca definita della post verità, ha ancora importanza e forza il concetto di sacro?
Il concetto di sacro è completamente scomparso, mentre sarebbe importante la
continuità con il presente; invece è sparito almeno per quanto riguarda l’architettura. Non è un caso che alla Biennale di Venezia, dove il Vaticano ha cercato di far disegnare agli architetti una serie di cappelle che alludono al sacro, il risultato sia stato fallimentare, in quanto molte di queste cappelle assomigliano più a stabilimenti balneari. Per me l’architettura nasce quando il modello viene distorto per qualche motivo. Lo studio Sartogo-Grenon ha costruito una chiesa alla Magliana, il Santo Volto di Gesù, che ha una caratteristica peculiare: il sagrato si apre in prospettiva sulla croce.

Come immagini il futuro? Sapresti darci tre idee che secondo te guideranno i prossimi anni?
Le tre idee che posso dare per il futuro hanno solo un nome: metaverso.
Nel prefigurare il futuro, c’è un qualcosa che mi sembra vincente. La parola metaverso contiene questo aspetto: secondo me i prossimi anni saranno dominati dal metaverso.

Ludovico Pratesi

http://www.sartogoarchitetti.it

Gli episodi precedenti

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Ludovico Pratesi

Ludovico Pratesi

Curatore e critico d'arte. Dal 2001 al 2017 è stato Direttore artistico del Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro Direttore della Fondazione Guastalla per l'arte contemporanea. Direttore artistico dell’associazione Giovani Collezionisti. Professore di Didattica dell’arte all’Università IULM di Milano Direttore…

Scopri di più