Futuro Antico. Intervista sul futuro a Michelangelo Pistoletto

La rubrica di interviste curata da Spazio Taverna stavolta vede protagonista Michelangelo Pistoletto, invitato a definire il futuro

Passato e futuro sono da sempre i cardini della ricerca di Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933), che ha innescato un dialogo fra queste due dimensioni temporali negli ormai celebri quadri specchianti. In questa intervista riflette sulle potenzialità del domani e sull’importanza del legame uomo-natura

Quali sono i tuoi riferimenti nel mondo dell’arte?
I miei riferimenti al mondo dell’arte partono da quando si è cominciato a pensare creativamente sino a oggi. Come creatore della prospettiva non posso non citare Piero della Francesca, specialmente la sua Flagellazione di Cristo. Per me la prospettiva è fondamentale perché non è un’invenzione artistica che appartiene esclusivamente al mondo dell’arte, ma è fenomenologica.
Definisce in maniera forte e chiara la strada della scienza, la crescita scientifica che porta alla modernità.  La storia della prospettiva passa poi attraverso Mondrian, che ne propone una chiusura totale: passando dal disegno di alberi ai rami che diventano planimetrie. Poi arriva Fontana che cerca di bucare il muro del White Cube per vedere se al di là di questa fine storica un qualche tipo di prospettiva possa ancora esistere.
I miei quadri specchianti sono un modo per vedere se è possibile trovare una nuova prospettiva, in cui il buco non è più attraverso il muro tradizionale ma attraverso lo specchio. Tu vedi tutto quello che esiste davanti ai tuoi occhi ma anche allo stesso tempo ciò che sta alle tue spalle.

Qual è l’opera che ti rappresenta maggiormente? E qual è la sua genesi?
Sicuramente il quadro specchiante di cui ho appena accennato. Non è solo un’opera ma un progetto che prosegue nel tempo, nasce nel 1961 con le prime tele nere che rispecchiano l’artista e lo spettatore e poi evolvono nel ’62, quando nascono le superfici specchianti con le immagini fissate che riflettono la vita nel suo esistere e nel suo manifestarsi.
In quest’opera la superficie specchiante produce una prospettiva riversa, capovolta, l’opera quindi non è più espressione dell’artista ma è fenomenologica. Il riflesso del quadro racconta immediatamente, senza interventi umani, ciò che è l’esistenza nel suo prodursi continuo, uno spazio tempo che diventa l’elemento essenziale.
La genesi dell’opera sta nell’evoluzione che il concetto di materia ha avuto in me, a partire dagli artisti della mia contemporaneità come Pollock e Burri in cui si cercava di far crescere la materia. Io, invece, ho deciso di fare un’operazione opposta, di spianare la materia fino a farla scomparire e in effetti lo specchio è la scomparsa della materia. La materia non rappresenta più se stessa ma rappresenta solo ciò che ha di fronte, un elemento speculare di verità sulle cose.

Che importanza ha per te il genius loci?
Per me il Genius loci principale è Cittadellarte, che è la fondazione nata a Biella, città in cui sono nato. Nonostante la sua fondazione sia avvenuta per una serie di combinazioni, l’idea è quella di dare vita a un’opera che coinvolge la società della città. A partire da Biella sono nate, man mano, delle possibilità straordinarie che hanno la capacità di interagire con ciò che sta fuori da questo territorio raggiungendo frontiere che sono globali.
Il Genius loci infatti diventa importante quando riesci a globalizzare il territorio che senti più vicino.

Michelangelo Pistoletto, Ragazza che fotografa, Musée du Louvre, 2013. Photo Pierluigi Di Pietro

Michelangelo Pistoletto, Ragazza che fotografa, Musée du Louvre, 2013. Photo Pierluigi Di Pietro

PASSATO E FUTURO SECONDO PISTOLETTO

Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro? Credi che il futuro possa avere un cuore antico?
Quando io parlo della doppia prospettiva nelle opere specchianti, mostro otticamente tutto ciò che sta dietro alle mie spalle. Mentre in passato lo specchio ha rappresentato o l’impossibilità di entrare nella virtualità dell’opera oppure il luogo dell’irrealtà e della fantasia, nel mio lavoro lo specchio è fenomenologico in senso scientifico.
Se fai un passo indietro di un metro, entri nello specchio di un metro; se fai dieci passi indietro entri nello specchio di dieci passi; se prendi un chilometro di distanza, entri nello specchio di un chilometro… è come avere gli occhi dietro alla testa!
Se vai indietro all’infinito cammini verso un futuro ed entri in una “fenomenologia speculare”, in cui il futuro e il passato si incrociano nel presente, un punto in cui l’infinito si apre nelle due parti sia verso il passato che verso il futuro.

Quali consigli daresti a un giovane che voglia intraprendere la tua strada?
Io penso che la strada dell’arte sia fondamentale nel nostro tempo, è necessaria per riaprire una via che, a causa della modernità, è giunta a un estremo.
Sviluppare la creatività è fondamentale non soltanto nell’ambito dell’arte ma in tutte le attività umane. Le persone, oltre che essere creative, devono essere creatrici: utilizzare la capacità creativa per creare qualcosa nel mondo, agire con la coscienza che ogni qualvolta che agiamo nel mondo stiamo creando qualcosa. Nella politica, nell’economia, nell’organizzazione sociale creiamo in continuazione, ma dobbiamo farlo con la cognizione profonda di questa consapevolezza. Dobbiamo pensare che nelle nostre azioni abbiamo la possibilità di creare un nuovo mondo rispetto a quello che abbiamo creato ultimamente.
Ci siamo concentrati sulla creazione di un mondo che sta deteriorando radicalmente la natura, al punto che stiamo desertificando zone del Paese con la nostra capacità logico scientifica speculativa. Per raggiungere un equilibrio di ecologia e sostenibilità con la natura che ci circonda abbiamo bisogno di una nuova capacità creatrice, che contenga in sé un nuovo senso di responsabilità.
Un giovane che vuole fare arte deve diventare uno specialista di questa capacità di attivare il mondo per proseguire verso il futuro in maniera nuova. Gli artisti devono diventare i maestri del cambiamento.

In un’epoca definita della post verità, ha ancora forza il concetto di sacro?
Quando si parla di post verità si intende quella verità posta dalla religione come elemento connettivo. Purtroppo questa verità non può essere verificata, possiamo affidarci a delle storie e alle parole di verità che queste veicolano, ma non possiamo più parlare di verità vera sull’esistenza. Con quel bisogno di indagare nell’ignoto, la scienza ha man mano sostituito la religione. Verificare contiene la parola verità e per questo possiamo affidarci alla scienza che verifica ogni passaggio di ciò che dichiara. La strada della verifica include un concetto di verità che porta fenomenologicamente al vero.
In questo nuovo contesto l’arte è fondamentale poiché è proprio la dinamica artistica che dà vita sia all’immaginazione, che prima era religiosamente trascendente, sia a una concezione spirituale oggi immanente.
La parola sacro è un po’ pericolosa perché fa pensare al sacrificio ed è quello che ha usato il cristianesimo per unire le persone. Le persone hanno bisogno di essere unite da qualche cosa e la religione (religare) significa unire ma stiamo attenti perché l’abbiamo fatta diventare qualcosa di diverso: relegare, cioè chiudere dentro ai paradigmi definiti anche l’uno contrario all’altro. Noi artisti vorremmo superare le guerre di religione e lavorare in questo senso per un futuro responsabile.

Michelangelo Pistoletto, Esposizione permanente, Cittadellarte - Fondazione Pistoletto, 2021. Photo Damiano Andreotti

Michelangelo Pistoletto, Esposizione permanente, Cittadellarte – Fondazione Pistoletto, 2021. Photo Damiano Andreotti

PISTOLETTO, IL SACRO E IL DOMANI

Quindi il sacro quando può avere senso?
La parola sacro può avere senso se pensiamo al sacro come quell’elemento che unisce il fisico con l’oltre fisico, l’arte è metafisica poiché non si ferma al pensiero ma ci muove fuori dalla realtà per tornare alla realtà.
Ad esempio nel quadro specchiante non abbiamo più l’oro delle icone (che era un materiale che parlava di trascendenza), che poteva far pensare a qualcosa di straordinariamente lontano, abbiamo invece una superfice che non può mentire, non può deformare e non può cambiare semanticamente.
Il quadro specchiante è la verità sulle cose, non la verità in senso assoluto, ma la verità di un continuo cambiamento delle cose e della relazione continua sulle cose che cambiano.
Dobbiamo far assumere all’arte la libertà straordinaria che la modernità ha offerto all’artista. Ma questa libertà e autonomia non escludono di unirsi e collegarsi nel concetto di libertà comune. Ci deve essere questo incontro interpersonale che fa società, questo è fondamentale perché non c’è l’uomo da solo e l’individuo si deve connettere con altri individui e creare una società che sia artisticamente e scientificamente connessa a un nuovo pensiero.

Come immagini il futuro? Sapresti darci tre idee che secondo te guideranno i prossimi anni?
Le tre idee le raduno in una sola: investimento. Dobbiamo investire in tre elementi essenziali che sono l’investimento culturale, l’investimento economico e l’investimento socio-politico. Stiamo parlando di un cambiamento radicale necessario, ma non possiamo troncare la riscossione degli investimenti fatti fino a ora, perché metteremmo sul lastrico milioni di persone, bisogna però cominciare a fare degli investimenti economici e culturali diversi che prevedano una possibilità di resa nel futuro.
Dobbiamo cominciare a immaginare investimenti che anziché rovinare il pianeta lo sanifichino. Il profitto non deve cambiare ma deve migliorare nel senso che deve diventare un profitto allargato, non solo economico ma anche culturale e sociale a livello planetario.
Il virus ci insegna che non c’è niente oggi che non può essere immediatamente planetario, non possiamo pensare che esista da una parte un’umanità che muore di fame e dall’altra parte un’umanità che può permettersi di distruggerla.
Le desertificazioni di alcune parti del globo ci riguardano perché causano le migrazioni che subiamo da parte di quei Paesi. Se fino a oggi ci siamo difesi dalle minacce che la natura crea, ora dobbiamo difenderci anche dai problemi creati da noi. Il mio consiglio quindi è di proteggersi ma farlo immaginando l’umanità e la natura come se fossero un corpo unico.

Marco Bassan

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Marco Bassan

Marco Bassan

Curatore d’arte contemporanea, fondatore di Spazio Taverna. Ha curato progetti per istituzioni quali il MAECI, Fondazione CDP, CONAI, i Musei Capitolini, il Museo Nazionale Romano, il Parco Archeologico dell’Appia. Nel 2023 ha consegnato la tesi di dottorato presso Roma Tre…

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