Futuro Antico. Intervista all’etologo Enrico Alleva

La rubrica curata da Spazio Taverna cede la parola a un esperto di comportamento animale e umano: Enrico Alleva mette in guardia dalle sfide che l’uomo dovrà affrontare nel prossimo futuro

Enrico Alleva (Roma, 1953), laureato in scienze biologiche nel 1975, approfondisce gli studi in etologia alla Scuola Normale di Pisa. Ha fondato e diretto il Centro di Riferimento per le Scienze Comportamentali e la Salute. Siede dal 2010 nel Consiglio scientifico della Enciclopedia Treccani e ha presieduto il Consiglio tecnico scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana. È attualmente vicepresidente del Consiglio Superiore di Sanità e membro del Comitato Nazionale per lo Sviluppo del Verde Pubblico Urbano (Ministero della Transizione Ecologica). In questa intervista lo abbiamo invitato a riflettere sul futuro.

Quali sono i tuoi riferimenti ispirazionali nell’arte?
Anche se nella mia vita ho frequentato tanti poeti, di cui uno poi insignito del Nobel, di fatto mi sento un incolto, un analfabeta del senso artistico…
Rita Levi Montalcini, con la quale ho intessuto una lunga amicizia, era profondamente umanista. Direi che in fondo il mio contatto “incantato” fin da piccolissimo con la natura in generale, e con il mondo animale in particolare, è il mio riferimento ispirazionale di tutta la mia vita. Il richiamo dell’allocco o dell’assiolo che rompe il silenzio della notte, così come il frinire di alcune specie di cavallette o la scia acre che la volpe lascia quando passa, per me rientrano in ispirazioni artistiche… Direi questo, anche se è una risposta che puzza di scienza, odora di tristanzuola militanza materialistica.

Qual è il progetto che ti rappresenta di più? Puoi raccontarci la sua genesi?
Ho molte storie che abitano il mio cuore… Hanno tutte a che fare con l’interpretazione della mente animale, con quel lavoro di progressiva trasmutazione delle menti animali che è poi l’essenza del lavoro da Etologo. Il primo progetto al quale penso è stato quello intrapreso durante il mio perfezionamento alla Scuola Normale di Pisa, in cui mi sono immedesimato nel pensare come un colombo viaggiatore. Già vivevo da adolescente con una colombaia di viaggiatori sul tetto di casa, in una zona piuttosto centrale di Roma (una volta era lecito). Prima avevo lavorato sulle capacità cognitive dei ramarri e prima ancora, durante il liceo, ho cominciato ad addestrare falchi. I progetti professionali forse più importanti sono stati quelli svolti con Levi Montalcini: con lei abbiamo fatto una lunga cavalcata sul cervello e sul comportamento sociale di topi e persone. E poi con Giorgio Parisi, con cui abbiamo esplorato il volo degli storni. Sono da sempre circondato da Nobel, dovrei sentirmi frustrato ma succede il contrario.

Che importanza ha il genius loci all’interno del tuo lavoro?
I miei luoghi sono abitati da animali. La diversità straordinaria del Madagascar; il senso di minuscola, fragilissima azione dell’uomo nel Borneo, il vento incessante nella Terra del Fuoco; ma anche le cornacchie che osservo ogni mattina mentre faccio colazione a Roma sono per me fonti di ispirazioni legate ai luoghi. Senza troppa differenza emozionale.
Il dramma della mia vita è che cerco sempre una spiegazione logica e meccanicistica a quanto vado osservando: quale peptide o neurotrasmettitore si produce repentino nel cervello di un maschio di colombo che tuba eccitatissimo o di un piccolo falco che teneramente mendica cibo da una madre rapace. Anche se colgo la poesia del canto degli uccelli che mi accompagnano la mattina quando mi sveglio, dentro di me alberga tutta l’aridità di una spiegazione “popperiana”. Perché stamattina il primo uccello a rumoreggiare nel buio che scema è stato un gabbiano reale? ieri fu una cornacchia. I pappagalli invece tacciono sempre fino a quando la luce non è più forte.

Enrico Alleva – La mente animale. Un etologo e i suoi animali (Codice, Torino 2021)

Enrico Alleva – La mente animale. Un etologo e i suoi animali (Codice, Torino 2021)

IL FUTURO SECONDO ENRICO ALLEVA

Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro? Credi che il futuro possa avere un cuore antico?
Per un esperto di comportamento animale, ma anche umano, ragionare sul cervello umano come ricapitolazione darwiniana del cervello dei rettili, dinosauri inclusi, è fondamentale. La storia della vita si basa su epoche passate anche molto remote.
Una nota editoriale: sulle migliori riviste scientifiche chi ha l’ultima parola sulla accettazione di una pubblicazione non di rado verifica che nella bibliografia ci sia qualche articolo pubblicato decenni addietro, a testimonianza della autorevolezza di un problema che così a lungo è rimasto sul tavolo. Nelle riviste più dozzinali invece soprattutto in Paesi o gruppi di lavoro molto pragmatisti, si incitano gli studenti a non citare articoli che siano più vecchi di cinque anni: perché in questo lustro sarebbero cambiate le metodologie e con loro la precisione delle misure e dunque tutto quel lavoro passato sarebbe inutile considerarlo. Come traviare i giovani verso quella mediocrità così ben definita da Auden.

Quali consigli daresti a un giovane che voglia intraprendere la tua strada?
Abborrisco i miei coetanei che dicono che la scienza in Italia sia un mestiere da pezzenti e che non ci siano mai abbastanza fondi. Così come non amo gli imbroglioni, quelli che sostengono che se hai una buona idea scientifica i soldi per realizzare la ricerca si trovano con facilità.
Il consiglio principale che posso dare a un giovane è di non focalizzarsi, come vedo succedere, sull’imparare tecniche da inserire nel proprio curriculum, ma piuttosto di seguire la propria appassionata curiosità per un problema, prendendo ispirazione da persone come Rita Levi Montalcini, che hanno studiato una sola proteina, il NGF, tutta la vita professionale.
Maneggiare molteplici tecniche è importante per rispondere ad alcune specifiche domande scientifiche, ma non basta per “mettersi sul mercato” sperando che qualcuno ti possa prima o poi assumere. A meno che desideri condannarti da sola o da solo a un destino di esecutore tecnico. Il mio punto di vista è comunque bastardo: quello di una generazione che tra i 25 e 30 anni aveva già trovato una sistemazione stabile lavorativa dignitosa, modesta ma dignitosa, mentre oggi le cose sono certamente più complicate.

I CONSIGLI DI ENRICO ALLEVA

In un’epoca definita della post verità, ha ancora importanza e forza il concetto di sacro?
Aiutami a capire che cos’è la post verità per uno che pubblica da decenni su aride ma rigorose riviste scientifiche. Da vicepresidente del Consiglio Superiore di Sanità non vorrei proprio essere confuso per un novax! Popperianamente posso dire che la costruzione di una teoria presuppone una sua necessaria falsificazione. La teoria spiega un certo numero di fenomeni, ma rimangono sempre delle eccezioni alla verità che comunque esiste. Una teoria più potente euristicamente spiegherà alcune di queste eccezioni.
Karl Popper attaccava Thomas Kuhn che parlava di progresso scientifico che si sviluppa a partire da una rottura di un paradigma, ovvero di un progresso discontinuo fatto di fasi di stasi e improvvise “rivoluzioni” nel modo di guardare al mondo reale. Io continuo a pensare che Khun avesse ragione.
All’interno di un “pensiero scientifico” il sacro rimane qualcosa complicata da definire: seppure il Darwinismo mantiene una grande potenza esplicativa del mondo vivente, non mi spingerei nel dire che possiede una sua sacralità.
L’immagine che mi viene in mente quando penso al sacro è quella di un bellissimo falco che si chiama Falco sacro: questi rapaci volano talmente in alto che, come nelle iconografie egizie, si possono perdere nel Sole, quando ali e raggi si fondono in un tutt’uno abbagliante. La bellezza però è che l’uomo falconiere può sempre richiamarlo: con un semplice gesto, quasi attraendo il Sole sulla sua mano.

Come immagini il futuro? Sapresti darci tre idee che secondo te guideranno i prossimi anni?
Prima di tutto io ho 69 anni e non spetta ormai a me immaginare il futuro, soprattutto dei giovani. La prima idea che vorrei però condividere è di evitare di voler “governare “le comunità viventi del pianeta a tutti i costi. La riforestazione frettolosa creerà più danni della siccità, e non ci rendiamo conto che quando cerchiamo di aggiustare la natura siamo sempre nell’ambito dell’antropocentrismo. L’essere umano, che da Linneo in poi si è lugubremente denominato Homo sapiens sapiens, adesso desidererebbe riparare tutto quanto ha devastato perché possiede la tecnica, la tecnologia e una autocelebrata sapienza specista, ma è un’allettante idea perniciosa. Questo non significa essere inerti nei confronti degli eventi ma dobbiamo ricordare che i tecnocrati rosi dall’ambizione e solitati decisori sommessi sono pericolosi nemici del futuro dell’umanità. Quindi la prima idea è quella di un futuro che sappia guardarsi dalle tecnocrazie autoreferenziali e perciò strutturalmente mendaci.
Una seconda cosa che mi appassiona molto è l’addensarsi di tutte le culture umane dentro megalopoli sempre più grandi: il modello che mi affascina di più è quello delle affamate Favelas periferiche che circondano guardinghe gated communities di pochi ricchi. Un futuro dal quale dovremmo in qualche modo difenderci se non altro per senso morale. Io lo guardo con l’occhio dello studioso di formicai, però avere a che fare con gli esseri umani è ben meno semplice che osservare degli insetti.
Un’ultima considerazione: la globalizzazione mette in mano a un numero sempre minore di veri decisori la gestione dell’economia e dell’umanità. Mi chiedo come evitare che chi gestisce le decisioni abbia un diritto acquisito a una formazione superiore. Credo che sia necessario ridistribuire il potere decisionale: non abbiamo bisogno di sempre meno decisori e sempre più esecutori analfabeti, magari con sei lauree e master, ma pur sempre analfabeti in quanto privi di addestramento al comando. Bisogna bilanciare la globalizzazione che crea un numero sempre più ristretto di decisori e un’umanità di esecutori sempre più raffinati ma schiavi inconsapevoli di correnti di pensiero spudoratamente mediocri e inconsistenti, il fluttuante mainstream che rischia di affogarci tutti.

Marco Bassan

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Marco Bassan

Marco Bassan

Curatore d’arte contemporanea, fondatore di Spazio Taverna. Ha curato progetti per istituzioni quali il MAECI, Fondazione CDP, CONAI, i Musei Capitolini, il Museo Nazionale Romano, il Parco Archeologico dell’Appia. Nel 2023 ha consegnato la tesi di dottorato presso Roma Tre…

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