Futuro Antico. Intervista al direttore della Pinacoteca di Brera James Bradburne

Dai valori illuministici all’importanza di prendersi dei rischi, una discussione sul ruolo del museo nel XXI secolo con James Bradburne, direttore della Pinacoteca di Brera e dell'annessa Biblioteca Braidense

Nato in Canada ma cittadino britannico, ha diretto diverse strutture culturali: il New Metropolis Science and Technology Centre di Amsterdam, il Museum Angewandte Kunst di Francoforte sul Meno, la Next Generation Foundation nel Regno Unito.
Più di recente, James Bradburne (Toronto, 1955) è stato a capo di importanti istituzioni museali italiane. È stato direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi a Firenze dal settembre 2006 al giugno 2015, data dalla quale ricopre a Milano la carica di direttore generale della Pinacoteca di Brera e della Biblioteca Nazionale Braidense.

INTERVISTA A JAMES BRADBURNE

Quali sono i tuoi riferimenti ispirazionali nell’arte?
Io non sono né un artista né uno storico dell’arte, ma piuttosto un professionista dei musei e un public educator, per questo motivo le mie ispirazioni sono i grandi visionari come Aby Warburg, Ernst Gombrich, Michael Baxandall, e i grandi direttori di museo come Fernanda Wittgens, Fernando Russoli, Alfred Barr o educatori come Cominius o Gianni Rodari, e ovviamente tra i filosofi Wittgenstein, figura dalla quale ogni comunicatore contemporaneo non può prescindere. Tutte persone che hanno avuto una visione del futuro progressiva e soprattutto legata ai valori dell’Illuminismo, del razionalismo, della tolleranza e della democrazia.

Qual è il progetto che ti rappresenta di più? Puoi raccontarci la sua genesi?
Se non siamo traditori della nostra formazione, ogni progetto che intraprendiamo dovrebbe avere un legame forte con il nostro impianto valoriale.
Posso citare gli ultimi due progetti fatti a Brera che sono tutti un’espressione di quello che credo debba essere il ruolo del museo nella società: il primo è lo spettacolo intitolato Great Men, incentrato sull’esperienza delle figure dei figli di Dante e Napoleone trasportati nel mondo contemporaneo, ai tempi del Covid. È uno spettacolo che si tiene in due teatri diversi connessi con Zoom e che sarà ospitato sulla piattaforma BreraPlus.
Il secondo progetto è Peregrin and the Giant Fish, un’opera di marionette per famiglie e bambini molto utopica e problematica che parla della possibilità di vivere diversamente insieme. Oltre a questi due progetti penso anche alla mostra allestita ora nella Biblioteca di Brera in cui sono esposti libri viennesi per bambini di Otto Prutscher da inizio Novecento in poi. Punto molto sull’accoglienza delle famiglie soprattutto per il potere che si sprigiona dal dialogo intergenerazionale, la forza sta in questa trasmissione tra il vissuto passato e il contemporaneo e il museo e la biblioteca sono luoghi privilegiati per creare il contesto che abilita questa conversazione.
Tutto ciò che facciamo a Brera è incarnare l’espressione del valore morale dell’Illuminismo e questi valori li ho recuperati dall’oblio quando sono arrivato. Il museo è un’espressione della sua società, è la grande casa della città, una realtà che dovrebbe affiancare il cittadino dalla sua nascita fino alla sua morte, in ogni momento del bisogno per contemplare, per disperarsi, per innamorarsi e soprattutto per educare.
Non è una questione di accessibilità ma di inclusione: a Brera se sei un immigrato siriano che arriva con molta difficoltà a Milano entri nel museo e puoi trovare un Imam che descrive un’opera rinascimentale riuscendo così a capire perché quell’opera è importante per te in quel momento.

Quale importanza ha il Genius Loci all’interno del tuo lavoro?
Ciò che rende un luogo ricco di Genius Loci è il vissuto che lo abita. I giapponesi non fanno pulire il loro argento poiché non vogliono eliminare la parte vissuta dei loro oggetti.
Il Genius Loci non lo possiamo facilmente inventare, pochi architetti ci sono riusciti ma è molto difficile poiché è una cosa che cresce con le cicatrici, con i danni, con i restauri, è una cosa che porta una memoria. Il vissuto di un luogo è molto comunicativo perché va oltre le parole e io, in quanto architetto, credo molto nella semiotica, nell’importanza dei segni lasciati che non sono necessariamente verbali ma che hanno un potere in se stessi.
Una domenica al mese portiamo 200 libri nel museo e invitiamo le famiglie a venirli a consultare. Costruiamo anche delle casette per i bambini, i quali interpretano queste architetture come un invito a entrare, nascondersi e leggere e il tutto accade senza dire una parola e credo che questa sia una definizione perfetta di Genius Loci, cioè un luogo in cui le forme architettoniche incorporano segni e inviti non verbali.

James Bradburne

James Bradburne

PASSATO E FUTURO SECONDO JAMES BRADBURNE

Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro?
Le categorie di passato, presente e futuro sono difficili poiché l’unica cosa che abbiamo è questo istante e un secondo dopo è già passato. Il valore dell’istante presente per il futuro è la capacità che abbiamo di saperlo rileggere, riassorbire e reinterpretare e non importa che sia un momento di cinque minuti fa, di cinque secoli o cinque millenni.
Se non continuiamo a riportare il vissuto passato nel presente perdiamo l’occasione di individuare possibili risposte a sfide future.
Non esiste il passato ma solamente momenti contemporanei che sono passati e per affrontare il futuro abbiamo una bussola morale e l’esperienza di altri che come noi hanno affrontato sfide presenti avendo una visione limitata: quando Fernanda Wittgens nel 1940 comunica allo stato italiano che avrebbe svuotato il museo per mettere in salvo le opere non sapeva cosa sarebbe successo da lì a poco e comunque ha continuato a fare mostre con ciò aveva a disposizione, cioè gli artisti contemporanei della sua epoca.

Quali consigli daresti a un giovane che voglia intraprendere la tua strada?
Non ho mai voluto dirigere un museo, non avevo questa ambizione, ho sempre cercato progetti che mi permettessero di sperimentare e di esplorare. Nella prima fase della mia vita ho preso le opportunità che mi sono capitate guidato dalla curiosità, nella seconda fase invece sono stato guidato dal senso di responsabilità nei confronti della mia famiglia e soprattutto dall’allergia alla parola “no”, e cercato posti che mi permettessero di dire “sì”. Ho sempre rischiato nella mia via, il rischio è la benzina della crescita. È sempre più prudente dire di no quindi io ho sempre preso posizioni in cui potevo rispondere a ogni richiesta di realizzare un progetto dicendo “Sì, ma spiegami come!”.

In un’epoca definita della post verità, ha ancora importanza e forza il concetto di sacro?
Se possiamo separare il sacro dalla formalizzazione che fanno le fedi, la mia risposta è sì.
Io considero la vita sacra, quando vedo la complessità di un organismo qualsiasi, penso che il sacro è fondamentale poiché il sacro è legato all’idea di rispetto della diversità e della complessità dell’altro. Il sacro per me è un modo di chiamare l’altro.
Se parliamo di sacro in termini di fede sono meno convinto, poiché credo che nessuna fede abbia tutte le risposte. Quando cerchiamo di codificare lo spirito, la lettura diventa sempre limitata rispetto alle sue potenzialità.

Fernanda Wittgens

Fernanda Wittgens

Come immagini il futuro? Sapresti darci tre idee che secondo te guideranno i prossimi anni?
Dipende se sono in un umore ottimistico o pessimistico.
Io rimango fedele alle mie origini degli Anni Sessanta, a un’idea, forse utopistica, di civiltà basata sul rispetto e sulla cooperazione, vedo ancora nei progetti con le persone con cui lavoro che c’è l’idea di un mondo in cui i bambini possano crescere in pace e serenità.
Dall’altro lato, se sono di umore più pessimistico, penso che prima si estinguerà l’Homo Sapiens Sapiens meglio sarà per il pianeta. È un animale crudele e violento per natura, il suo successo è quello di dominare il pianeta e portarlo quasi alla distruzione. Purtroppo il fatto che possiamo fare sinfonie e opere d’arte è una speranza debole, è difficile essere ottimisti senza essere un po’ ingenui.
Come diceva Fernanda Wittgens: “L’arte è la nostra arma contro la bestialità dell’umanità” e credo fermamente in questo ma solo come forma di consolazione, poiché non credo che abbiamo speranza di salvarci dal destino che ci siamo creati.

Marco Bassan

https://pinacotecabrera.org/collezioni/</
https://www.spaziotaverna.it/

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Marco Bassan

Marco Bassan

Curatore d’arte contemporanea, fondatore di Spazio Taverna. Ha curato progetti per istituzioni quali il MAECI, Fondazione CDP, CONAI, i Musei Capitolini, il Museo Nazionale Romano, il Parco Archeologico dell’Appia. Nel 2023 ha consegnato la tesi di dottorato presso Roma Tre…

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