Architetti d’Italia. Adolfo Natalini, il nostalgico

Tornano gli affondi di Luigi Prestinenza Puglisi sull’architettura nostrana. Stavolta i riflettori si accendono su Adolfo Natalini, ex membro di Superstudio impegnato in una reinterpretazione della storia e della tradizione che spesso sfocia in una retorica conservativa.

Adolfo Natalini appare come un mistero. Da giovane inventa e promuove Superstudio, uno dei gruppi radicali dell’avanguardia degli Anni Sessanta. Nella maturità vira improvvisamente verso il tradizionalismo, diventando il principale esponente della architettura vernacolare, tra il kitsch storicista e i giocattoloni alla Disneyland. In tempi recenti realizza opere più spigliate e, tra queste, il Museo dell’Opera del Duomo a Firenze che fanno pensare a una riconversione alla modernità.
Secondo gli estimatori, Natalini è al di sopra degli stili e non avrebbe senso giudicarlo in base a cliché critici oramai superati quali il progressismo o il tradizionalismo.
Ad avvalorare questo punto di vista è la dichiarazione di Rem Koolhaas di essere stato, durante gli Anni Sessanta e Settanta, influenzato dall’architetto pistoiese. Dichiarazione che, data l’enorme popolarità dell’olandese, ha riacceso i riflettori su Superstudio, trasformandolo nell’incubatore dell’architettura radicale di oggi, o almeno di una delle sue articolazioni più rilevanti. D’altra parte, lo stesso Koolhaas in questi anni sta manifestando un sempre maggior interesse verso l’architettura tradizionale e il pastiche stilistico. Sua è la dichiarazione che oggi si può scegliere di giocare con gli antichi romani o con i razzi spaziali, basta sapersi divertire con intelligenza. La lezione di Natalini appare quindi, anche in tale prospettiva, anticipatrice.

RIVOLUZIONI BORGHESI

Per confutare questa tesi, a mio parere malata di nichilismo postmodernista, vorrei provare a sviluppare un ragionamento diverso, notando che, se Superstudio ha influenzato Rem Koolhaas, il debito ci racconta più dell’approccio cinico e intellettualista dell’olandese che della capacità di generare buone architetture di Natalini.
Manfredo Tafuri, già negli Anni Ottanta, aveva notato qualcosa che non funzionava in Superstudio. Aveva, infatti, rilevato un doppio registro. Il primo, infantile nel suo radicalismo sovversivo, consisteva in “un luddismo intellettuale tanto più irresponsabile quanto più verbalmente dedotto dalla frettolosa lettura delle riviste della nuova sinistra”.
Il secondo era astuto e mercantile. Notava Tafuri che, attraverso tale atteggiamento, spesso ironico, “i loro prodotti riescono a conquistare il mercato rimasto precluso ai più lambiccati oggetti neoliberty…”.
Insomma, secondo Tafuri, Superstudio, così come altri gruppi d’avanguardia del periodo, proclamava la rivoluzione ma all’interno di un atteggiamento di auto promozione neo borghese, ancora più efficace del coevo e meno appetibile neoliberty di Ernesto Nathan Rogers, Roberto Gabetti e Vittorio Gregotti.

Superstudio, Atti Fondamentali. Vita. Supersuperficie. Pulizie di Primavera, 1971 - courtesy Fondazione MAXXI, Roma

Superstudio, Atti Fondamentali. Vita. Supersuperficie. Pulizie di Primavera, 1971 – courtesy Fondazione MAXXI, Roma

SUPERSTUDIO VS ARCHIGRAM

A questo punto sarebbe interessante valutare il contributo di Natalini alla ricerca architettonica degli anni successivi, paragonandolo con quello degli Archigram che, negli stessi anni di Superstudio, operavano in Inghilterra. Da un lato aspirazioni confuse che portano a disegni belli ma di scarso interesse pratico, segnati da monumenti continui e reticoli di reti sovrapposte ai paesaggi naturali; dall’altro, nel caso degli Archigram, una prospettiva visionaria e, insieme, operativa per confrontarsi con le acquisizioni tecnologiche della società contemporanea. E, difatti, Peter Cook, esponente di punta degli Archigram, dagli Anni Sessanta a oggi è stato un protagonista della sperimentazione, un talent scout delle migliori energie architettoniche, un polemista infaticabile e, con la Kunsthaus a Graz, un architetto attento, acuto e aggiornato. Mentre Natalini, anziché impegnato a testimoniare il superamento dello scontro fra progressismo e tradizionalismo, lo abbiamo visto sempre in prima fila nell’accademia e nei convegni sull’italianità dell’architettura italiana: l’avanguardia del gambero, quella che non contraddice il proverbio che si nasce incendiari, si muore pompieri.

IL VALORE DELLA STORIA

Progettista di edifici kitsch oltre ogni decenza, Adolfo Natalini fa del populismo la sua arma migliore. In un’intervista a Giorgio Tartaro racconta che il progetto a Groningen, bocciato senza pietà dalla giuria dei critici, fu realizzato grazie al voto popolare: una percentuale bulgara dello 83%. Il suo refrain è che l’architettura deve giocare sulla lunga durata e che ogni moda, quindi anche l’architettura moderna, è destinata a invecchiare. Motivo per il quale ha pensato di abbandonare la novità e di dedicarsi alla storia, riprendendone la lezione. D’altra parte, aggiunge, chi l’ha detto che Rembrandt sia stato superato da van Gogh e, a sua volta, van Gogh da Mondrian?
Ci verrebbe da rispondere che il problema non è se sia più bravo Rembrandt o Mondrian, ma se abbia oggi senso rifarsi a Rembrandt dal quale ci separa proprio quella storia che per noi ha senso e valore e, proprio per questo, non può essere bypassata o scimmiottata.
Ma, a questa risposta, Natalini svicolerebbe mostrando che proprio lui, oltre a ispirarsi a Rembrandt, sa ispirarsi a van Gogh e a Mondrian. E parlerebbe delle opere più recenti che, come il Museo dell’Opera del Duomo o la scala degli Uffizi, sfuggono al linguaggio dei puffi utilizzato in Olanda e si offrono moderne quanto basta da mostrare che, se solo volesse, anche lui saprebbe progettare senza appoggiarsi alle stampelle della tradizione.

MACEDONIE ECLETTICHE

Dobbiamo crederci o si sta proiettando un film già visto? Non è questa la vicenda di Marcello Piacentini: la ricorrente storia dell’architetto di successo, sempre pronto a strizzare l’occhio al cattivo gusto e alla retorica dei committenti ma anche tanto spavaldo, di fronte ai giovani razionalisti, da mostrarsi, all’occasione, più aggiornato di loro?
Come Piacentini, inoltre, Natalini ha notevole talento progettuale, senso dello spazio, occhio per la misura. Anche le sue opere peggiori mostrano un architetto capace. La sua non è una mano nera alla Vittorio Gregotti, alla Mario Botta, alla Gae Aulenti, alla Franco Purini. E prova ne sia che molti bravi architetti sono stati suoi allievi alla facoltà di architettura di Firenze dove ha a lungo insegnato.
Ma così come erano valide contro Piacentini, sarebbero ancora oggi valide le osservazioni di Edoardo Persico, che ce l’aveva con le macedonie eclettiche di chi non riesce mai a credere in nulla di preciso.
Raccontando la storia della propria carriera di architetto, Natalini insiste sulla svolta del 1978 quando abbandona Superstudio e inizia la propria attività professionale. Emblematici sono tre progetti realizzati in quegli anni: in Lombardia, in Emilia Romagna e un terzo, di cui non gira documentazione, nella costiera adriatica (?).
Domina l’imperativo contestuale. Da qui la scelta di progettare il primo edificio in marmo in onore dei maestri comancini, il secondo in mattoni perché siamo appunto in Emilia Romagna e il terzo – a quanto ci racconta Natalini – in cemento. Al di là del risultato formale delle tre opere, ci si chiede cosa c’entri il cemento con il mare e per quale motivo Natalini abbia lavorato con così banali stereotipi culturali. Come se in Cina fosse auspicabile il tetto a pagoda o in Germania il tetto a guglie gotiche. La risposta che l’architetto pistoiese ci fornisce nelle sue interviste è: per un interesse alla cultura dei luoghi, alla storia.

LA DISNEYLAND DEL PRESENTE

Ma questa, come ci ricorda Jean Baudrillard, non è la storia della nostra tradizione intellettuale più avveduta, è la post-storia dei centri commerciali, di Disneyland, di Las Vegas: quella che ci fa credere che la scorciatoia per entrare in sintonia con il passato sia, appunto, rifarsi a Rembrandt, a van Gogh o a Mondrian. Mentre il nostro problema dovrebbe consistere come, dopo loro, esserne all’altezza.
Diceva Baudrillard a proposito delle tante imitazioni che girano nelle società ipertecnologiche sempre pronte a venderci una storia fatta di copie, di cliché e di stereotipi: tra duemila anni non ci accorgeremo più della loro falsità. Ma è proprio questa differenza tra una visione autentica e una falsa della storia che continua a darci energia e guida ancora la nostra esistenza.
Ecco tutto: l’eclettismo nostalgico, sia che si presenti nella sua versione passatista sia che si proponga come neo-moderno, questa energia non ce la dà. Basta però, a questo punto, accettare Natalini per quello che è: come uno dei costruttori della Disneyland del nostro sempre più omogeneizzato futuro, dove appunto – come notava Rem Koolhaas – ci sarà spazio anche per architetture avveniristiche. Si può essere pompieri anche fingendosi moderni.

Luigi Prestinenza Puglisi

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Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi (Catania 1956). Critico di architettura. Collabora abitualmente con Edilizia e territorio, The Plan, A10. E’ il direttore scientifico della rivista Compasses (www.compasses.ae) e della rivista on line presS/Tletter. E’ presidente dell’ Associazione Italiana di Architettura e Critica…

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