I dimenticati dell’arte. Stefano Terra, l’artista solitario

Amato e stimato dai suoi colleghi, da Vittorini a Fofi, Stefano Terra fa parte dei tanti talenti che il nostro paese non ha saputo riconoscere, e attende ancora di essere scoperto dal grande pubblico

Ero un ragazzo senza arte né parte solitario / con il furore e le malinconie dei senza amici”. Con queste parole si raccontava Giulio Tavernari (1917-1986), noto con lo pseudonimo di Stefano Terra, una delle figure più singolari e libere della letteratura italiana del secolo scorso.

Chi era Stefano Terra

Nato a Torino durante la Prima Guerra Mondiale da un padre bolognese e una madre torinese, si rende indipendente a tredici anni, iniziando a lavorare come operaio, per poi svolgere mansioni diverse, dal fattorino alla guardia di frontiera: subito dopo aver compiuto vent’anni comincia a frequentare giovani antifascisti e diventa amico di Cesare Pavese e Leone Ginzburg. A causa del suo credo politico viene costretto a lasciare l’Italia e fuggire al Cairo, dove raggiunge gli esuli del gruppo Giustizia e libertà: negli stessi anni inizia una carriera di giornalista, collaborando a diverse testate come il Corriere d’Italia e i Quaderni di Giustizia e libertà, dove assume la carica di redattore capo. Nel 1943 torna in Italia, prima a Roma e poi a Milano, per dirigere il quotidiano Italia libera: Elio Vittorini lo invita a collaborare a Il Politecnico, accanto a Franco Calamandrei, Franco Fortini e Vito Pandolfi: in quel periodo esce a puntate in Francia la traduzione in francese del suo primo romanzo, Il ritorno del prigioniero, uscito nel 1944, definito da Terra come una “cronaca amara di chi vede il fallimento di una generazione”. Nel 1950 lavora a Belgrado come corrispondente della Rai e dell’Ansa, per seguire la formazione del terzo blocco dei paesi non allineati: incontra Tito e ne racconta la personalità nel saggio Tre anni con Tito (1953), seguito da Il sorriso dell’imperatrice. Viaggio in Grecia e in Medio Oriente (1958), appassionato memoir della sua attività di inviato.

Stefano Terra, La Fortezza del Kalimegdan
Stefano Terra, La Fortezza del Kalimegdan

I romanzi di Terra

Come scrittore Terra pubblica diversi romanzi, tra i quali spicca La fortezza del Kalimegdan (1956). Nel 1968 smette la sua carriera di giornalista e si dedica interamente alla scrittura e pubblica Calda come la colomba (1971), Alessandra (1974, Premio Campiello), Le porte di ferro (1979), Albergo Minerva (1982), Un viaggio una vita (1984). Goffredo Fofi lo scopre grazie adun suggerimento di Elsa Morante e se ne innamora: “La fortezza del Kalimegdan è forse il suo libro più bello, che parla della ricerca di una persona scomparsa in tempo di guerra tra Grecia ed Egitto, Siria e Libano e Jugoslavia. Un mondo di cui i lettori italiani conoscevano piuttosto poco, salvo quelli che c’erano stati da militari o diplomatici… e fu anche per questo che i suoi libri mi affascinarono”. Le porte di ferro colpisce invece Claudio Magris, che nel 2018 scrive sul Corriere della Sera: “Torinese, uomo di tanti mestieri, viaggi e avventure, emigrato antifascista, giornalista e scrittore di ventura, nomade nell’esistenza e nell’anima e di robuste radici piemontesi e libertarie, poeta ma soprattutto narratore, Terra è un vero, forte scrittore”. Amato e stimato dai suoi colleghi, Stefano Terra fa parte dei tanti talenti che il nostro paese non ha saputo riconoscere, e attende ancora di essere scoperto dal grande pubblico.

Ludovico Pratesi

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Ludovico Pratesi

Ludovico Pratesi

Curatore e critico d'arte. Dal 2001 al 2017 è stato Direttore artistico del Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro Direttore della Fondazione Guastalla per l'arte contemporanea. Direttore artistico dell’associazione Giovani Collezionisti. Professore di Didattica dell’arte all’Università IULM di Milano Direttore…

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