I dimenticati dell’arte. Enrico Pea, lo scrittore scoperto da Ungaretti

Nonostante una esistenza travagliata, Enrico Pea trovò nella scrittura il suo linguaggio. E in Ezra Pound e Giuseppe Ungaretti due estimatori del proprio lavoro

Il suo libro autobiografico, Moscardino (1922), è stato tradotto in inglese da un gigante come Ezra Pound, mentre il primo, Fole (1910), è stato pubblicato per intercessione di un altro famoso poeta, Giuseppe Ungaretti. Entrambi estimatori di Enrico Pea (Seravezza, 1881 ‒Forte dei Marmi, 1958), capace di raccontare la vita popolare di terra e di mare con una passione straordinaria.

Enrico Pea. Courtesy Archivio Famiglia Bellora

Enrico Pea. Courtesy Archivio Famiglia Bellora

LA STORIA DI ENRICO PEA

Nato a Seravezza, figlio del marmista Mattia e di Giuseppa Gasperetti, da ragazzo vive un’infanzia drammatica, segnata prima dalla distruzione della casa di famiglia a causa di un’alluvione e poi dalla morte del padre per un incidente sul lavoro, e di suo fratello minore, a causa di una malattia. Così a nove anni Enrico si ritrova a vivere in un podere di campagna con il nonno Luigi, che scompare nel 1894; costretto a trovarsi un lavoro, si impiega come garzone, mandriano, rigattiere e apprendista meccanico, prima di essere assunto come mozzo sul mercantile Ciucciariello. Due anni dopo lascia la Toscana insieme al fratello maggiore Gino alla volta di Alessandria d’Egitto, dove la madre si era trasferita anni prima: lì si impiega come meccanico presso le Ferrovie dello Stato egiziano. Purtroppo nel 1902 cade da una locomotiva in riparazione: a seguito dell’incidente si dimette dal servizio e lavora come falegname e mercante di marmi in un deposito. Allora incontra Giuseppe Ungaretti, di pochi anni più giovane, e insieme trasformano l’edificio nella “Baracca rossa”, una sorta di università popolare, frequentata da anarchici, idealisti ed emarginati. Semianalfabeta, impara a leggere e a scrivere: è proprio Ungaretti, che aveva colto le sue potenzialità narrative, a spingerlo a diventare scrittore per poter collaborare con Il Messaggero egiziano (1909-12). Grazie a lui pubblica Fole, una raccolta di versi e prose ambientati nella Lucchesia e scritti in dialetto, con un linguaggio fortemente visionario ed espressivo. Per due anni Pea fa la spola tra l’Egitto e la Toscana, dove mantiene contatti con gli intellettuali che collaborano con la rivista La Voce, mentre in Egitto pubblica due raccolte di versi e prose, Montignoso (Ancona 1912) e Lo Spaventacchio (Firenze 1914), entrambe ambientate in una Versilia magica e superstiziosa.

Enrico Pea ‒ Fole (Industrie Grafiche, Pescara 1910)

Enrico Pea ‒ Fole (Industrie Grafiche, Pescara 1910)

ENRICO PEA E LA SCRITTURA

Nel 1914 lascia la sua attività al fratello Gino e torna in Italia per stabilirsi con la famiglia a Viareggio, dove gestisce il teatro Politeama dal 1921 al 1944. In questo periodo scrive una serie di pièce teatrali a sfondo religioso ma di ispirazione anarchica, tra le quali Rosa di Sion (1920), Giuda (1918) e Prime piogge d’ottobre (1919). “Nell’opera narrativa di Pea”, scrive Giona Tuccini, “ricorrono il rapporto dell’individuo con la comunità, l’esperienza religiosa, il concetto di moderno, con la sua forza perturbatrice che provoca trasformazioni sociali e politiche, e la condizione dell’esiliato”. Il suo capolavoro è considerato la Trilogia di Moscardino (Moscardino, 1922, Il volto santo 1924, Il servitore del diavolo, 1931), di evidente matrice autobiografica, dato che da ragazzo Enrico veniva soprannominato appunto “Moscardino”. Grazie al primo dei tre romanzi Pea venne considerato subito “scrittore d’eccezione”: nel 1955 esce la traduzione in inglese del libro, curata da Pound, che Pea aveva conosciuto nel 1941. Complesso e a tratti contradditorio il suo rapporto con il regime: se inizialmente aderisce al fascismo perché attento alla conservazione delle tradizioni popolari, a seguito della pubblicazione de Il forestiero (1937) e La maremmana ‒ vincitore del premio Viareggio nel 1938 ‒ i rapporti con il regime si guastano, tanto da spingere Pea a lasciare Viareggio nel 1943, con l’accusa di antifascismo. Nel dopoguerra si trasferisce a Lucca, dove scrive altri romanzi e il fortunato memoriale Vita in Egitto (1949). A Lerici nel 1952 figura tra i fondatori del premio di poesia Lerici Pea. Malato di tubercolosi, muore nel 1958 nella sua casa di Forte dei Marmi.

Ludovico Pratesi

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Ludovico Pratesi

Ludovico Pratesi

Curatore e critico d'arte. Dal 2001 al 2017 è stato Direttore artistico del Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro Direttore della Fondazione Guastalla per l'arte contemporanea. Direttore artistico dell’associazione Giovani Collezionisti. Professore di Didattica dell’arte all’Università IULM di Milano Direttore…

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